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Tortura legale

A che serve introdurre il crimine di tortura nell’ordinamento giudiziario? Perché il parlamento sembra pronto, dopo tanti anni, ad approvare una legge in tale senso?  Sembrano domande retoriche, ma non  lo sono, perché niente, in questa materia, è come appare. Si potrebbe (si dovrebbe) pensare che il legislatore agisca con il sincero intento di offrire i migliori strumenti possibili per punire casi concreti di tortura e prevenire gli abusi di potere, ma non è così. Se fosse questa la motivazione, l’azione parlamentare sarebbe molto semplice: si tratterebbe di copiare e dare forma di legge al testo della Convenzione contro la tortura firmato circa trent’anni fa in sede di Nazioni Unite. Si potrebbe fare in poco tempo e l’onore del nostro paese sarebbe in salvo.

Questa possibilità è stata subito scartata dai maggiori gruppi parlamentari, mossi evidentemente da altre esigenze, ad esempio accontentare i vertici delle forze dell’ordine italiane, notoriamente e platealmente contrari al testo della Convenzione Onu, che pure fu sottoscritto da decine di paesi democratici, incluso il nostro. Questo no – per quanto anacronistico e molto mal motivato – ha paralizzato il parlamento per decenni e se ora si ipotizza di approvare una legge sulla tortura, è solo per le brutte figure (cioè le condanne) già subite davanti alla Corte europea per i diritti umani e per le molte altre in arrivo (per i casi Diaz e Bolzaneto) nonostante i benevoli ritardi accumulati dai giudici di Strasburgo.

Date queste premesse, non sorprende che siamo alle prese con una legge-pasticcio, o meglio una non-legge sulla tortura, frutto di mediazioni spericolate verso un inconfessabile obiettivo: approvare una legge sulla tortura che non cambi lo stato delle cose e sia gradita a chi una  legge non la vorrebbe proprio (cioè i vertici delle nostre forze dell’ordine).

Il risultato è noto: il testo approvato al Senato il 17 maggio – in discussione  in aula alla Camera il 24 giugno – più che un passo avanti, rispetto al vuoto legislativo attuale, sarebbe un passo falso. Un gruppo di giuristi, magistrati, attivisti, testimoni di tortura ha definito quel testo una “legge truffa“, spiegando in dettaglio i motivi di simile gravissima valutazione).

In breve, possiamo dire che si tratta di una norma così contorta e bizzarra da risultare pressoché inapplicabile a casi noti e concreti di tortura contemporanea (specie nell’ambito della tortura psichica, la più praticata); inoltre la definizione del reato e altri dispositivi (come la necessità di azioni plurime perché possa configurarsi il crimine  e la possibilità di prescrizione), oltre che distanti dal testo della Convenzione Onu, sono in aperto antagonismo con la stessa giurisprudenza della Corte europea per i diritti umani.

Si potrebbe dire: meglio qualcosa che niente, meglio una brutta legge che nessuna legge. Non è così, perché in materia di tortura una cattiva legge – come quella  in discussione alla Camera – avrebbe un effetto perverso, ossia finirebbe per legittimare alcune forme di tortura: tutti quei casi di abuso e maltrattamento che resterebbero impuniti a causa di una legge mal scritta, o meglio scritta con malizia.

In aggiunta, se osservato sotto questa luce, con attenzione alla genesi oltre che al risultato,  è ben evidente che un dispositivo così concepito non avrebbe alcuna efficacia a fini di prevenzione: anziché mettere in allarme le forze dell’ordine e spingerle a riflettere su episodi del passato e rischi del presente, la non-legge manderebbe un improprio messaggio di non-cambiamento.

È il caso di affermarlo con forza: l’Italia, approvando una legge del genere, rischierebbe di uscire – di fatto, anche se non formalmente – dalla Convenzione europea sui diritti umani, il documento che fu firmato nel 1950 e la cui applicazione è garantita dalla Corte di Strasburgo, le cui precise richieste – formulate anche nella sentenza Cestaro contro Italia dell’aprile 2015 sul caso Diaz – sono state ignorate in blocco.

È questo che si vuole? È così che si tutela la dignità e la qualità democratica delle nostre forze dell’ordine? Sono domande che attendono una risposta chiara, perché non tutto è perduto. Mercoledì 14 giugno a Roma, durante un importante convegno – titolo: “Legittimare la tortura?” (Sala dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro, piazza Capranica 72, ore 10/16) –  molte delle migliori competenze esistenti oggi in Italia esporranno critiche e punti di vista, ma si può già prevedere che dal convegno uscirà la proposta di una via d’uscita: fermare l’iter della legge-truffa, ripartire dal testo della Convenzione Onu e riportare il nostro paese lungo i binari percorsi dalle migliori democrazie, binari lungo i quali le forze di polizia italiane non avranno nulla da temere. Si può fare in poco tempo. Perché no?

Lorenzo GuadagnucciComitato Verità e Giustizia per Genova

da Comune-Info