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Roma: Sgomberato il gazebo dei rifugiati eritrei in Piazza Venezia

Svegliati all’alba e caricati su un pullman i rifugiati che, dopo lo sgombero di via Curtatone, s’erano accampati in Piazza Venezia dopo il corteo del 26 agosto

Sgombero è una parola imbarazzante: per questo le veline di Via Genova, la questura di Roma, non la adoperano per spiegare quello che sta succedendo ai margini di Piazza Venezia nel gazebo dove, da otto giorni, gli sgomberati di Via Curtatone, restati senza casa dopo le violenze di polizia, si mostravano alla città notte e giorno, in uno spicchio di giardino di ghiaia delimitato da due striscioni sul diritto alla casa.

“Intervento” delle forze dell’ordine, lo chiama l’Ansa in ossequio al dispaccio ufficiale, al presidio nei giardini vicino ai Fori Imperiali, al centro di Roma, dove da giorni si trovano migranti sgomberati dal palazzo di via Curtatone. Secondo quanto si è appreso, sono in corso controlli e probabilmente i migranti verranno allontanati.

Da testimonianze dirette, si apprende che l’”intervento” è iniziato stamattina alle 6 quando la polizia ha svegliato le persone sotto il gazebo chiedendo i documenti poi le ha caricate su un pullman per portarle ai centri di accoglienza, uno sulla Casilina e uno a Casalotti ma le persone hanno rifiutato e non sono volute scendere dal pullman. Nessuno di loro sarebbe stato portato in questura.

Scriverà l’Ansa: sono 57 le persone controllate questa mattina nel corso dell’intervento «programmato», effettuato in piazza Madonna di Loreto da una task force composta da polizia, carabinieri, polizia locale, Sala operativa sociale del Comune e dall’Ama. Lo rende noto la Questura di Roma spiegando che l’intervento era «finalizzato al controllo ed all’adozione di misure di assistenza delle persone aventi diritto». Ai promotori del presidio non più autorizzato da lunedì scorso sono state contestate – aggiunge la Questura – «le violazioni previste dalla normativa di settore». Sequestrati il gazebo e lo striscione. Il presidio – conclude la Questura – «inizialmente autorizzato, era poi divenuto abusivo, alimentato dalla presenza di persone estranee allo sgombero di via Curtatone». Gli estranei, secondo la neolingua orwelliana della questura sono i solidali, cittadini indignati, antirazzisti, attivi nei movimenti, sia italiani che stranieri.

Tutto ciò mentre governo e Campidoglio tentano di assecondare un senso comune razzista trasversale alle forze politiche e ai quartieri di Roma. L’annuncio sull’utilizzo di caserme dismesse o alloggi sfitti per l’emergenza casa altro non è che il tentativo di rappresentare il quadro dell’emergenza dividendo cattivi e buoni e alimentando la guerra dei penultimi contro gli ultimi. Il giorno dell’annuncio congiunto Minniti-Raggi è stato anche il giorno in cui è venuta chiaramente fuori la natura dell’episodio di Via del Frantoio, nel quartiere di Tiburtino III. Qui, una donna ha raccontato di essere andata fuori dal centro di accoglienza a cercare l’uomo che poco prima aveva tirato i sassi ai suoi figli, di essere stata trascinata per i capelli e sequestrata, per circa un’ora assieme al nipote di 12 anni da un gruppo di migranti che avevano chiuso il cancello che dà sulla strada per evitare di farla uscire. Ora la donna è stata iscritta nel registro degli indagati della procura di Roma, per lesioni aggravate dall’uso di arma. Per gli inquirenti avrebbe responsabilità nel ferimento del cittadino eritreo avvenuto martedì sera, ricoverato in ospedale con una ferita d’arma da taglio alla schiena, con una prognosi iniziale di 30 giorni. E le ferite che mostrava la donna le erano state inferte dal marito almeno un giorno prima dei fatti. Comincia così a chiarirsi il quadro di quanto sarebbe accaduto quella notte, quando, accorsi per dare aiuto alla donna, un gruppo di residenti ha assediato il centro accoglienza per migranti.

Ma tutto ciò non ha fermato la gazzarra fascistoide di gruppi come “Roma ai romani”. Un gruppo di eritrei, tra cui donne e bambini, che stava partecipando a una messa organizzata dalla comunità di Sant’Egidio in una parrocchia del quartiere è rimasto bloccato, sabato, l’altroieri, perché fuori si sono radunati gruppi di destra. Poco prima davanti al centro c’era stato un sit-in di protesta di una trentina di abitanti contro la struttura. «Donne e bambini bloccati in chiesa – spiega la presidente della Cri di Roma, Debora Diodati, organizzazione che gestisce il presidio umanitario di via del Frantoio – Erano andati a pregare per la pace con i cittadini del quartiere e la comunità di Sant’Egidio. Non ho parole. Se non vergogna per chi usa metodi nei fatti violenti. Mi aspetto una reazione di tutti in primis del Comune di Roma».

Così riporta anche Eleonora Camilli per Redattore sociale, una delle testate più attente alla vicenda

 “La polizia arriva, si mette i guanti e sgombera. Ancora e ancora. Ma dove dobbiamo andare, dove dobbiamo dormire? Dobbiamo andare sei mesi ancora in un centro? E poi? Come si fa a vivere così?”. Lo grida tra le lacrime una ragazza eritrea dopo che questa mattina all’alba le forze dell’ordine(una task force composta da personale della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri, da Polizia Roma Capitale, della sala operativa sociale del Comune e dall’Ama) hanno smantellato il presidio di piazza Madonna di Loreto, a due passi da piazza Venezia nel cuore di Roma. Qui sotto due gazebo dormivano da giorni 57 persone, donne, uomini, bambini. Il più piccolo, David, ha solo tre mesi. La mamma, 30 anni, lo sistema nella carrozzina: “Per fortuna lui può stare qui dentro – dice -. Noi dormiamo per terra. Ci dicono che dobbiamo andare nei centri, ma come faccio a separarmi da mio marito con un bambino così piccolo?”. Hagerie, 27 anni, invece sta finendo il nono mese di gravidanza, e dovrebbe partorire il 19 settembre: “Sono molto stanca, non ce la faccio più – dice – Io da sola al centro non ci voglio stare, voglio stare con mio marito, non è giusto che un padre non possa stare vicino a suo figlio”.

Il problema dei posti: “Non possono separare i nuclei familiari”. Dopo lo sgombero alcuni rifugiati (29 persone) hanno accettato inizialmente di trasferirsi temporaneamente nelle strutture di Casilina e Boccea. Ma quasi tutti starebbero già tornando indietro. Il problema, spiegano, è che i posti sono separati: da una parte le donne, dall’altra gli uomini, dall’altra ancora le mamme con bambini. I nuclei familiari, dunque, devono dividersi. “Queste persone vorrebbero provare a fidarsi, io li sto convincendo, ma il Comune deve assicurare un posto per tutti, e soprattutto permettere alle famiglie di stare insieme – sottolinea Gemma Vecchio, presidente di Casa Africa, che si sta facendo portavoce dei rifugiati eritrei sgomberati prima dal palazzo di via Curtatone, poi da piazza Indipendenza e oggi dal presidio di Madonna di Loreto. “Vogliamo avere la garanzia che sistemano tutti:120 uomini e 70 famiglie – aggiunge – non possono offrire solo venti posti ogni volta e in condizioni inaccettabili. Io sto facendo di tutto per trovare un punto di incontro con il Comune ma queste persone devono essere rassicurate, gli vanno proposte soluzioni reali”. La linea di Gemma si scontra con quella più dura dei movimenti per la casa. “La proposta fatta dal Comune per i migranti sgomberati questa mattina a piazza di Madonna di Loreto, è ancora una volta inadeguata. Li hanno portati in due centri: uno a Casalotti, l’altro sulla Casilina, che avevano già rifiutato il 20 agosto. Sono soluzioni provvisorie, inaccettabili – afferma la portavoce del Movimento per il diritto all’abitare di Roma, Margherita Grazioli-. La considerazione che hanno di queste persone lo dimostra che stamattina i loro beni personali sono stati caricati su un furgoncino dell’Ama”.

Biriam: “Ci dicono che tutti stanno lavorando per noi, non ci fidiamo più”. Per ora, dunque, soltanto alcuni avranno un tetto sotto cui dormire questa notte. Mentre gli altri continueranno a vagare per la città, dormendo ancora in strada. “Non lo so dove dormiremo – dice Biriam, 40 anni, eritreo -. Questa mattina quando sono arrivati ci hanno chiesto i documenti. Hanno visto che eravamo tutti in regola, ma ci hanno detto che da qui ce ne dobbiamo andare. Che il comune, il ministero, tutti stanno lavorando per noi, per trovare una soluzione. Ma noi non ci fidiamo – aggiunge – Chi ci garantisce che non questa non sia l’ennessima promesso che nessuno manterrà? Siamo rifugiati, se l’Italia non riesce a gestirci ci mandi via, superi la legge Dublino, ci permetta di andare in un altro paese”. Biriam, 40 anni, è arrivato nel 2003 in Italia. Dopo un periodo in Sicilia è stato portato in un centro di accoglienza a Roma e qui, mentre aspettava l’esito della domanda d’asilo, ha iniziato a frequentare un corso di lingua italiana alla Caritas. Poi si è iscritto a una scuola serale e ha preso un diploma in sistema energetici: “Mi alzavo la mattina alle 5 e andavo a lavoro al mercato, smettevo alle 16, alle 17 ero a scuola, alle 23 andavo a dormire e la mattina dopo andavo di nuovo a lavorare alle 5. Ci tenevo moltissimo a frequentare – racconta -. Poi dopo la maturità mi sono iscritto a Ingegneria meccanica alla Sapienza grazie a una borsa di studio. Poi l’ho persa. Ma ho continuato a frequentare, con più difficoltà. Mi manca solo un esame alla laurea. Nel frattempo ho perso il lavoro e sto facendo lavoretti saltuari, per questo ero andato a vivere a via Curtatone. Ma non avrei mai pensato di ritrovarmi per strada”.

Nel pomeriggio i rifugiati si sono raccolti in assemblea nei giardini di piazza Madonna di Loreto per valutare cosa fare nei prossimi giorni. Intanto, alcuni cittadini hanno iniziato a portare generi alimentari. Una signora ha riempito un bottiglione d’acqua, altri hanno portato qualcosa da mangiare. Un pacco pieno di biscotti per i bambini è arrivato da Santi Apostoli. Lo hanno preparato le famiglie accampate sotto i portici della basilica: “Se non ci aiutiamo tra di noi, non ci aiuta nessuno”.

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(seguiranno aggiornamenti)

Ercole Olmi

da popoff