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La riforma Fornero colpisce ancora. Niente pensione per i condannati di “lotta armata”

Dalla primavera di quest’anno i condannati per terrorismo e mafia che hanno raggiunto l’età pensionabile e non hanno un reddito sufficiente per sopravvivere o si trovano in gravi condizioni di salute non percepiscono più nessuna forma di prestazione sociale e assistenziale.

La revoca dell’indennità di disoccupazione, dell’assegno sociale, della pensione sociale e della pensione d’invalidità civile durante il periodo di esecuzione pena, colpisce chi ha subito condanne in via definitiva per i reati previsti agli articoli 270- bis, 280, 289- bis, 416bis, 416- ter e 422, secondo quanto previsto dall’art. 2, commi 58- 63, della legge Fornero. Questa discriminazione, introdotta con un emendamento della Lega nord votato senza batter ciglio da tutti i gruppi parlamentari ( la legge è passata con 433 voti a favore e soli 6 astenuti), è divenuta operativa soltanto nel marzo scorso.

Prima di questa data l’Inps non disponeva di una banca dati con la posizione giuridica dei suoi utenti. Vuoto colmato solo nel febbraio 2017 con la stipula di una convenzione con il ministero della Giustizia. Se si scorre la circolare applicativa del 5 giugno 2017, n. 2302, ci si accorge che la lista delle prestazioni e delle indennità revocate è lunga; soprattutto colpisce il fatto che ad essere tagliati sono proprio quegli ammortizzatori sociali che fornivano un minimo di sollievo alle situazioni sociali più difficili.

Contrariamente a quanto sostenuto al momento della sua approvazione, questa misura non colpisce affatto i boss mafiosi che possono continuare a fare affidamento su eventuali ricchezze rimaste nascoste. Nelle organizzazioni criminali l’accumulazione dei capitali illeciti riguarda i vertici del gruppo, non vi è alcuna ripartizione del profitto. La manovalanza ne resta esclusa. Ricevere una condanna per il 416 bis non è garanzia di ricchezza ma solo di lunghi anni di carcere duro. Obiezione che trova ancora più fondamento per le formazioni della lotta armata che perseguivano obiettivi privi di qualunque scopo di lucro.

Senza una reale giustificazione, questa ulteriore pena accessoria, introdotta a corollario di quelle già contenute nel codice penale, viola diversi articoli della costituzione ( dalla parità di trattamento dinanzi alla legge, al diritto alla salute, al fine rieducativo e non afflittivo della pena) ed estende lo sta- to di eccezione dal campo giudiziario ( penale e carcerario) a quello amministrativo, istituzionalizzando l’esistenza di una categoria di persone minus habens che legittima un criterio di assegnazione tipologica delle prestazioni anziché censitario. La revoca delle prestazioni si caratterizza, inoltre, per la sua natura demagogica e per la ferocia nei confronti di chi versa già in condizioni economiche disagiate e di salute precaria.

Come se non bastasse, dopo che l’Inps ha ricevuto dal ministero della Giustizia la lista delle persone condannate, sono state sospese le pensioni anche a chi aveva terminato la pena da diversi anni ed oggi è in libertà. Questo perché il ministero si è guardato bene dal segnalare nelle informazioni inviate quelli che hanno terminato di scontare le condanne, con un aggravio di burocrazia sulle altre amministrazioni ( gli uffici esecuzione dei tribunali devono certificare il fine pena e l’Inps deve aprire delle procedure del tutto inutili dovendo prima sospendere e poi riattivare l’erogazione), mentre nel frattempo gli ex condannati restano senza quel misero reddito.

In tutto questo ci sono persone che si sono viste comunque rifiutare l’erogazione dell’assegno nonostante avessero certificato il fine pena, perché abusivamente ritenuto «illegittimo». Questa vessazione economica si aggiunge al fatto che la conclusione delle condanne non mette fine alle pene accessorie, come l’interdizione dai pubblici uffici, la perdita del diritto di voto attivo e passivo, sancendo in sostanza l’esclusione permanente dalla cittadinanza piena. Una volta usciti dal carcere permangono forme di sanzione ed esclusione perenni.

Paolo Persichetti

da il dubbio