Conetta, migranti in marcia per la dignità e per la chiusura del mega-centro
A Cona, vicino Venezia, nella tarda serata di mercoledì 15 novembre, un altro migrante, un 35enne ivoriano, è morto travolto da un’auto, mentre in sella alla sua bicicletta cercava di raggiungere le centinaia di migranti partiti lunedì 13 novembre con una marcia di protesta dall’ex base militare di Conetta, oggi C.A.S., verso Venezia per raggiungere la Prefettura.
Gli ultimi due giorni li abbiamo vissuti fianco a fianco con i compagni migranti del centro di Cona in lotta per il loro diritto a vivere. Durante la giornata di martedì sono partiti in marcia per chiedere che quel campo infernale venga chiuso, e con lui tutti quegli spazi adibiti all’accoglienza delle persone migranti ma che in realtà sono topaie prive delle condizioni minime di decenza e salubrità, gestite da cooperative utilizzate come bancomat da chi, all’altro capo del rapporto di accoglienza, sfrutta l’esternalizzazione del comparto per fare soldi facili.
Appena abbiamo saputo dell’inizio della marcia in direzione di Venezia siamo subito partiti per raggiungerli e andare a dare supporto alla lotta messa in atto da loro assieme all’Unione Sindacale di Base, mentre altri compagni sono arrivati nelle ore successive dandosi il cambio per sostenere la marcia e portare viveri e beni necessari.
È stata una scelta improvvisa quella delle persone migranti di stanza a Conetta, ma non certamente inaspettata. La loro lotta infatti prosegue senza tregua da quando in quei freddi tendoni, lo scorso gennaio, perse la vita Sandrine Bakayoko.
Come dicevano gli stessi migranti, la morte di Sandrine non è diversa da quella di Abd Elsalam, ucciso durante un picchetto alla GLS di Piacenza, così come non è diversa dalla morte di Salif Traoré, investito ieri sera da un auto mentre cercava di raggiungere i suoi compagni: sono morti del sistema dello sfruttamento e della negazione dei diritti.
Le condizioni disumane in cui viveva Sandrine l’avevano debilitata fino ad ammalarsi, ma non ricevette le cure necessarie e il suo compagno ne trovò il cadavere sotto la doccia. Da allora la lotta, come è naturale, ha vissuto diverse fasi, ma importanti risultati sono stati conseguiti, come l’esclusione di donne e bambini da quel campo invivibile. Risultati possibili grazie al grande spirito combattivo dimostrato dai ragazzi del centro, e alla loro generosità nel mettersi a disposizione per la costruzione di organizzazione collettiva tramite le strutture dell’USB.
La #marciaperladignità è scaturita in questo contesto di lotte e sedimentazione di forze, e solo così ha potuto ottenere un primo importante risultato. Dopo lunghe trattative con il prefetto di Venezia, costretto a presentarsi per due giorni consecutivi alle tappe della marcia e a confrontarsi direttamente con i migranti e i loro rappresentanti, è stata ottenuta la conferma che per le prossime notti si disporrà di un tetto sopra la testa pur senza dover tornare a Cona, alloggiando in strutture messe a disposizione dal patriarca della diocesi di Venezia. Una cosa infatti è certa: nessuno dei migranti in lotta, le cui fila si sono ingrossate ora dopo ora, è disposto a retrocedere di un millimetro e a dover rivedere le fatiscenti camere del campo che martedì hanno deciso di abbandonare dopo aver raccolto i loro ben pochi averi.
La qualità organizzativa messa in campo, messa alla prova dalla velocità degli avvenimenti, è stata la fonte indispensabile da cui è scaturito l’importante risultato politico di questa sera. Ma anche la capacità di creare un ponte con le altre lotte, superando le divisioni che ci vengono imposte tra stranieri e lavoratori italiani, e di sapere puntare a obiettivi politici alti, individuando coscientemente le vere cause della catena dello sfruttamento.
I compagni migranti riconoscono ovviamente le responsabilità del razzismo, anche, ma non accusano i cittadini italiani, bensì il governo e le istituzioni di alimentare l’odio verso di loro. È una qualità nella produzione di discorso politico che ultimamente sempre più spesso vediamo anche nelle lotte coi facchini della logistica così come nei campi di pomodori del mezzogiorno, unita alla capacità di articolare le vertenze a tutto tondo e di saper chiamare alle loro responsabilità diversi soggetti padronali e istituzionali, riconoscibile anche durante le battaglie per il mondo dell’abitare, dalla resistenza agli sfratti alla difesa delle occupazioni.
Che le nuove figure del mondo del lavoro e del non lavoro sappiano intrecciarsi tra loro e comporre la spina dorsale del nostro blocco sociale è un’urgenza a cui nessuno può sottrarsi, e di cui nelle giornate del 10 e 11 novembre (sciopero generale e manifestazione di Eurostop) abbiamo visto l’ennesima buona rappresentazione, necessaria per dare forza e auto-riconoscibilità alle persone in lotta.
La componente immigrata, spesso scappata da guerre esportate dai governi europei nella definizione dei comuni interessi dentro l’UE, è certamente tra quelle che maggiormente si sta mettendo a disposizione delle lotte di oggi, e che già più volte ha versato il suo sangue, senza scordare per ultima proprio la morte di Salif Traore.
Con le statistiche che ci parlano dei giovani autoctoni costretti all’emigrazione perché in patria sono costretti alla precarietà più brutale, quando non alla disoccupazione o al lavoro gratuito, istituzionalizzato con normative medievali come quella sull’Alternanza scuola-lavoro, non possiamo non renderci conto che un obiettivo politico centrale oggi è quello di unire le due gambe di questo maccanismo di import/export dello sfruttamento umano, baricentro della costruzione dei nuovi e più terribili contorni dello sfruttamento capitalistico governate dall’Unione Europea.
Noi Restiamo da Contropiano
Il racconto dalla marcia ai microfoni di Radio Onda d’Urto di
Marco, attivista di Melting Pot Europa. Ascolta o scarica.
Manuele di Clash City Worker. Ascolta o Scarica.
Marco di Melting Pot che intervista uno dei migranti di Cona. Ascolta o Scarica.
Intervista a cura di DinamoPress a Giulia dell’Unione Sindacale di Base, organizzazione che sta supportando la marcia per la dignità verso Venezia portata avanti dai 300 migranti del centro di accoglienza di Conetta, racconta le ragioni della mobilitazione . La protesta è cominciata lunedì e ha come obiettivo la chiusura del campo (nel quale sono stipate oltre 1.000 persone) e il trasferimento dei richiedenti asilo in strutture di accoglienza che possano garantire condizioni di vita dignitose.
Come nasce la protesta?
Questa protesta è nata dopo che i migranti all’interno del centro di accoglienza di Conetta hanno chiesto per l’ennesima volta il miglioramento delle loro condizioni di vita nel campo senza ricevere alcuna risposta. Una protesta che va avanti da oltre due anni e che USB ha seguito fin dall’inizio. I migranti nel corso di questo periodo si sono recati più volte a Venezia per cercare di interloquire con il Prefetto per ottenere un miglioramento delle condizioni di vita nel campo, ma non sono mai stati ascoltati. Lunedì 300 migranti hanno deciso di abbandonare il campo-nel quale non vogliono più vivere -e mettersi in marcia a piedi e in bicicletta, come atto simbolico, verso Venezia, per attirare l’attenzione a livello nazionale e pretendere diritti, dignità, casa e lavoro. Queste sono le parole d’ordine della protesta.
Che cosa è successo stanotte?
Questa notte ci siamo accampati nella piazza centrale di Codevigo. Verso l’1 di notte è stata aperta la chiesa per permettere alle persone di dormire. Durante la notte abbiamo appreso che un ragazzo del centro aveva preso la sua bicicletta per raggiungerci in piazza ed è stato investito da una macchina lungo la strada. Ci teniamo a ribadire che questo non è un semplice incidente. Se le condizioni del centro non fossero così drammatiche, il ragazzo non sarebbe stato spinto a lasciarlo nel cuore della notte, pedalando lungo strade completamente buie.
Come sta continuando la mobilitazione?
Ieri siamo stati bloccati già la mattina. Dopo due tentativi fallimentari di trattativa con il Prefetto, ci siamo fermati a dormire a Codevigo, un paesino vicino Cona. Avevamo concordato di poter continuare la marcia ma siamo stati bloccati lungo l’argine vicino a Bojon, a circa 30 chilometri da Venezia. Ci è stato impedito di continuare la marcia e ci è stato chiesto di rinunciare formalmente alla protesta. La trattativa è in corso, stiamo aspettando il Prefetto per riaccordare come poter continuare la nostra protesta. Le parole d’ordine continuano ad essere sempre le stesse, si continua a dire che indietro non si torna: i ragazzi non sono disposti a tornare al centro di accoglienza nell’attesa di soluzioni che non si sa quando e se arriveranno. Vogliono delle soluzioni immediate. Se la marcia deve fermarsi devono esserci delle sistemazioni temporanee dignitose in cui poter soggiornare. Attualmente la Prefettura non sta mettendo in campo alcuna soluzione alternativa al centro di accoglienza, quindi stiamo attendendo di avere un nuovo incontro con il Prefetto sperando che abbia un risvolto diverso da quello di ieri. La Prefettura da ieri continua a insistere affinché le persone tornino nel centro, sostenendo che da parte delle istituzioni ci sia un grande impegno quotidiano per migliorare le condizioni di vita di questi persone.
Ma i migranti continuano a ribadire a gran voce che si sentono prigionieri e privati della loro libertà e dignità. Il centro di Conetta deve essere chiuso.
Contemporaneamente continua la protesta anche all’interno del campo, animata da chi è rimasto, per supportare la “marcia della dignità” (così è stata chiamata dagli stessi migranti) in cammino verso Venezia.
Aspettiamo soluzioni immediate almeno per capire come passare la notte, in attesa di riprendere domani la protesta.