La solidarietà a Nadia Lioce e a tutti i prigionieri politici – Intervista all’Avv.ta Caterina Calia
Intervista all’Avv.ta di Nadia Lioce – Continuare e elevare la solidarietà a Nadia Lioce e a tutti i prigionieri politici, con una mobilitazione di massa estesa a tutti i sinceri democratici.
Passiamo quindi dall’appello alle assemblee! Dal virtuale al reale per concretizzare e rendere più visibile e sonoro quel grido! Ma per fare ciò è necessario riprendere nelle proprie mani, concretamente, la vicenda emblematica di Nadia Lioce. Una storia che ancora dobbiamo scrivere e che è interna all’azione repressiva dello Stato sulla classe sfruttata. Una storia che si regge sulla scienza e la conoscenza, non su dogmi, bufale e inquisizioni! Consigliamo pertanto la lettura del documento di Nadia Lioce, depositato al Tribunale penale di L’Aquila il 24/11/2017, l’articolo di Paolo Persichetti del 14/11/2017 e lo stralcio di intervista a Caterina Calia, che riproponiamo, qui sotto, trascritto.
Dall’intervista di Pagine contro la tortura a Caterina Calia (pubblicata il 17 novembre su https://www.ondarossa.info/newstrasmissioni/2017/11/intervista-sul-41bis-caterina-calia):
Sappiamo che tra i tuoi assistiti c’è anche la compagna Nadia Lioce, che è l’unica donna fra i tre compagni attualmente detenuti in 41 bis e la sezione in cui si trova è appunto quella all’interno del carcere dell’Aquila, che è anche l’unica in Italia, predisposta alla detenzione femminile in questo regime. Vista la natura segregativa del cosiddetto carcere duro, spesso circolano delle inesattezze relative alle reali condizioni di vita al suo interno, che potrebbero risultare fuorvianti. Dopo tutti questi anni di colloquio con Nadia tu puoi sicuramente riferirci con precisione la sua testimonianza diretta, proprio per l’esperienza da lei vissuta. Puoi parlarcene?
Certo! Ci sono delle situazioni in cui gruppi di persone, che comunque hanno fatto delle attività contro il 41 bis, denunciato la tortura che rappresenta il regime del 41 bis e in alcuni casi si è parlato anche delle condizioni di Nadia Lioce, magari a volte dicendo e facendo passare delle notizie inesatte, perché magari erano notizie prese da internet, da fonti aperte, quali ad esempio le misure delle celle o cose di questo genere.
In realtà il problema del 41 bis non è legato agli spazi, perché forse, se noi abbiamo una panoramica complessiva sul carcere, vediamo che le condizioni di vivibilità in carcere sono ancora peggiori per i detenuti comuni, che sono ammucchiati in 6, anche 8 persone per cella, quindi con la possibilità quasi di non muoversi, insomma un’assenza di movimento quasi totale, a differenza del 41 bis, dove certamente non c’è il problema del sovraffollamento, ma c’è il problema dell’isolamento.
Quindi sicuramente la cella in cui vive Nadia è una cella assolutamente normale, anche con una finestra luminosa, perché poi spesso quando vanno le visite ispettive si limitano a guardare solo questo, anche quando per esempio ci sono le visite del comitato di prevenzione della tortura, si guarda se c’è una areazione abbastanza sufficiente, visto che le persone poi ci devono vivere per 22-23 ore al giorno.
Nel caso di Nadia posso confermare che lei vive in spazi che sono abbastanza vivibili da questo punto di vista, così come l’aria per esempio, un’area abbastanza grande, dove può fare ginnastica. Il problema vero è che tutto questo viene fatto nell’isolamento più totale e quindi si fa ginnastica per un’ora al giorno, si esce all’aria per un’ora al giorno, ma si esce in totale solitudine, senza la possibilità di interscambio con altre detenute.
Nadia è in 41 bis dal settembre 2005, quindi parliamo di 12 anni di isolamento praticamente assoluto. E’ detenuta dal 2003 ed effettivamente anche dal 2003 al 2005 è stata comunque in un regime di isolamento, nel senso che era classificata come detenuta AS2, è stata sempre detenuta in carceri dove non c’erano altre detenute appartenenti allo stesso circuito, quindi di fatto in isolamento, con la possibilità però di effettuare colloqui regolari, quindi quattro colloqui al mese.
Dal settembre 2005 le condizioni di vita naturalmente sono peggiorate perché ha potuto usufruire dei colloqui con la famiglia col vetro divisorio a tutta altezza, come previsto per i detenuti in 41 bis, nella misura inizialmente di due colloqui al mese perché il tribunale di sorveglianza, in quel caso era il tribunale territoriale di Firenze, aveva ritenuto che, trattandosi di prigioniera politica e non appartenente ad organizzazione di criminalità organizzata, non fosse la famiglia il veicolo di contatto verso l’esterno e quindi gli venivano comunque garantiti due colloqui al mese anziché uno. Successivamente il Ministero è intervenuto negando la possibilità ai tribunali di sorveglianza di poter differenziare queste posizioni e quindi anche per lei, così come per gli altri prigionieri politici e per tutti i detenuti in 41 bis, la regola è quella di un colloquio mensile della durata di un’ora, cumulabile in due ore soltanto se non si fanno colloqui per due o tre mesi di seguito.
Ci spieghi cosa si intende per isolamento e per socialità, quando riferiamo questi due concetti al 41 bis?
Prima ho detto una cosa inesatta, è vero che Nadia è in isolamento totale, ma in realtà lei potrebbe fare la socialità con un’altra detenuta. In 41 bis la socialità può essere fatta al massimo con 4 persone e cioè i detenuti in 41 bis passano 22 ore al giorno in cella, hanno la possibilità di uscire per due ore al giorno di cui un’ora all’aria e un’ora in una saletta che è detta della socialità, che una saletta spoglia, dove non c’è assolutamente nulla, al massimo un mazzo di carte e ci si può stare in quattro.
Ora generalmente nella costruzione di questi gruppi, se parliamo del carcere maschile, magari vengono inserite all’interno del gruppo persone che non hanno la possibilità di andare all’aria, per esempio perché sono in sedia rotelle e sono tantissime, pensiamo al carcere di Parma per esempio, dove ci sono tantissimi malati con patologie molto gravi che non vanno quasi mai all’aria, per cui anche se sono gruppi da quattro, di fatto magari sono in due le persone che vanno all’aria.
Per quanto riguarda invece il carcere dell’Aquila, è questa la particolarità: una sezione
dove sono attualmente 7 detenute, ma sono state in sezione anche quattro detenute, quindi si poteva benissimo organizzare il carcere, la vita carceraria, facendo sì che tutte e quattro le detenute potessero parlare tra di loro; ma evidentemente per una politica che è stata decisa, non so se direttamente dal DAP o dalla direzione del carcere, la socialità delle detenute a L’Aquila è prevista soltanto a gruppi di due.
Nadia ha rifiutato di entrare in un gruppo di socialità, intanto perché le detenute sono 7 e quindi di fatto una persona sarebbe rimasta fuori dai gruppi e comunque lei ha rifiutato di fare la socialità con la persona decisa dalla direzione perché in realtà questa avrebbe rappresentato un vincolo, nel senso che ogni volta che Nadia avesse deciso di fare una protesta per delle vessazioni che sono continue all’interno del carcere, ne avrebbe pagato le conseguenze anche l’altra detenuta, perché per quella rigidità, che è propria di questo regime, non è che l’altra detenuta sarebbe stata accorpata ad un altro gruppo di socialità, ma sarebbe rimasta in isolamento anche lei visto che Nadia, per una serie di proteste che ha fatto nel corso degli anni, è stata in isolamento anche per 2 anni continuativi (cioè sanzione disciplinare di 15 giorni, pausa di un giorno e di nuovo sanzione disciplinare di 15 giorni, per arrivare quasi a 2 anni di isolamento). Per questo
Nadia ha fatto la scelta di non essere vincolata, di non dover sentire, diciamo, la responsabilità dell’isolamento, del peggioramento delle condizioni di vita per l’altra compagna che faceva parte del gruppo e quindi non ha accettato di fare il gruppo con nessuno, per cui lei dice “io faccio gruppo da sola”.
Quindi abbiamo detto il prossimo 24 novembre si svolgerà la terza udienza di questo processo che la vede imputata. Puoi dirci quali sono i motivi?
I motivi sono molteplici, il motivo specifico per cui ha subito questa denuncia è il fatto che di fronte all’ennesima perquisizione dentro la cella, dove naturalmente le tue poche cose vengono buttate all’aria e in più sono perquisizioni che debordano e appaiono completamente gratuite, considerato che non hai rapporti con nessuno, non incontri nessuno, non puoi scambiare oggetti con nessuno, sei sempre sotto un controllo continuo e costante, per cui chiaramente non puoi detenere assolutamente nulla in cella tanto da dover essere sottoposta continuamente a perquisizioni, di fronte a l’ennesima perquisizione appunto, aveva preso una bottiglietta d’acqua vuota e aveva battuto contro il cancello della cella. Tutto questo avveniva alle 9:15 di mattina ed è stata accusata di aver disturbato la quiete delle detenute sottoposte al regime del 41 bis. Naturalmente nessuna detenuta si è lamentata di questa battitura, che è durata il tempo di un quarto d’ora, ma questa è stata interpretata dagli agenti della polizia penitenziaria come una forma di insubordinazione da parte della della detenuta e quindi è stata deferita all’autorità giudiziaria. Visto che nelle volte precedenti si erano limitati a infliggergli 15 giorni di isolamento e che in realtà poi non cambiava nulla perché lei è comunque in isolamento permanente, hanno pensato di rivolgersi all’autorità giudiziaria per cui il processo è per queste ragioni, per aver disturbato la quiete, per non dire la morte civile, delle detenute in 41 bis.
Quindi da quanto ci dici sembra che da quelle sezioni non possa uscire alcuna testimonianza diretta, neanche appunto il suono di una protesta. Ci domandiamo se chi è rinchiuso/rinchiusa abbia il diritto alla parola…
A volte appunto la mia assistita dice proprio che nel suo caso e comunque nel caso dei detenuti in 41 bis, non sono segregate solo le persone ma è segregata addirittura la parola!
Se noi consideriamo che nell’arco di un anno lei fa colloqui con i familiari per un’ora al mese e quindi all’interno di questa ora lei parlerà per mezz’ora, abbiamo 6 ore in cui può articolare la parola. Altre 6 ore le possiamo aggiungere per i colloqui con i difensori e quindi parliamo di una persona che nell’arco di 365 giorni parla per neanche il tempo di una giornata, parla per 12 – 15 ore nell’arco di un anno.
Posso raccontare un aneddoto che Nadia mi ha raccontato, un episodio che è emblematico di come funziona il sistema del 41 bis. C’è il divieto assoluto di parlare con le altre detenute e quando passa il carrello del cibo, se tu devi dire “voglio un mestolo di pasta” o “un mestolo di minestrone” non lo puoi dire alla persona che ti deve versare il cibo nel piatto ma ti devi rivolgere all’agente della polizia penitenziaria, che poi a sua volta lo dirà alla detenuta e che poi dovrà interloquire nuovamente con l’agente della polizia penitenziaria. Quindi c’è questa sorta di triangolazione. Ovviamente lei rifiuta assolutamente questa spersonalizzazione, in cui sei ridotta peggio di un animale, e parla direttamente con la detenuta. In quel caso specifico la detenuta non aveva risposto, però ha avuto un rapporto disciplinare perché l’aveva guardata, quindi nonostante non avesse parlato.
Ecco, questa è la situazione concreta, che non ha nulla a che vedere né con la sicurezza all’interno dell’istituto e tanto meno con i rapporti verso l’esterno. Quindi è chiaro che di fronte a vessazioni che sono totalmente gratuite ed assurde ci sono le proteste che Nadia continua a mettere in campo, quelle che può opporre appunto, per sentirsi ancora una persona più che una prigioniera politica o una compagna insomma, perché lì emerge chiaramente come tutto il sistema del 41bis sia finalizzato all’annientamento psicofisico della persona.
Parliamo di 41bis = tortura, puoi avvalorare questa affermazione portando degli esempi relativi alle condizioni di vita imposte da questo regime?
Certo, il 41 bis è tortura perché è pensato, è strutturato, è costruito proprio a tal fine. Il 41-bis significa incidere concretamente su ogni minuto del tuo tempo, su ogni centimetro del tuo spazio e quindi significa non avere nessuna possibilità di autodeterminazione su nulla.
Prima siamo stati a discorrere su chi può fare la socialità in gruppi da 2 o chi la può fare in gruppi da 4, però ci abituiamo ormai a denunciare soltanto il fatto che si faccia socialità nel gruppo da due, come se invece potesse essere più legittimo se il gruppo fosse da 4 o da 5, senza considerare in realtà che quello che conta è che sono gruppi di persone che sono decise dall’amministrazione, quindi che non hanno assolutamente nulla in comune, anzi si evita tutto quello che è vita, storia, comune. Se si proviene dalla stessa regione si ha il piacere magari di mangiare un piatto di pasta della tua regione e non lo puoi fare, perché non puoi stare con persone che sono della tua regione e non puoi cucinare, perché il cibo è vietato.
Ed è vietato a un solo fine: il 41 bis è e deve essere pensato come tortura. Non si può cucinare perché è vero che non c’è nessun pericolo per l’ordine e la sicurezza (che sarebbe la ragione per cui invece dovrebbe essere posto un divieto) ma in realtà questo divieto viene utilizzato al contrario, cioè non ti faccio cucinare perché questo serve a ucciderti ogni giorno di più, perché il cibo, la socialità è vita, ma la socialità vera.
In realtà in questo caso noi parliamo di 41bis come isolamento permanente e illegale, cambia poco se quell’isolamento è rotto da un rapporto imposto dalla direzione, in cui tu puoi parlare esclusivamente con una persona al giorno, non importa cosa condividi o cosa non condividi con quella persona. E questo vale per tutto, vale per i libri, per la posta che viene censurata, per il divieto di scriversi con detenuti in 41 bis (che prima era totale, poi invece è stato riammesso il potersi scrivere tra detenuti in 41 bis che sono fratelli magari) e così via.
Dall’analisi di tutte le misure, adesso strettamente riportate in quel cosiddetto decalogo, si comprende quali sono le linee politiche che hanno portato al 41 bis. Nel decalogo c’è uno studio approfondito attraverso il 41 bis delle dinamiche anche dei gruppi di quattro e appena si crea un minimo di collante che può essere solidaristico – solidarietà che poi sappiamo è vietata perché ad esempio, se uno ha finito le sigarette non può chiedere una sigaretta all’altro compagno, pure del gruppo, perché è vietato il passaggio di qualsiasi oggetto – scatta la sanzione.
Stai parlando dell’ultima circolare del DAP, quella del 2 ottobre?
Sì, sto parlando dell’ultima circolare del DAP, dove viene proprio regolamentato ogni oggetto che può entrare al 41 bis e quindi può entrare esclusivamente quello e in quella quantità. Ad esempio nel decalogo c’è uno dei fatti per cui Nadia ha protestato durante le varie proteste, rispetto a regole che considerava vessatorie. A L’Aquila c’è l’acqua buona che esce dal rubinetto della cella, ma tu per andare all’aria ti devi portare una bottiglietta d’acqua sigillata, che non ti viene passata dall’amministrazione, ma che devi comprare. Dopodiché quella bottiglietta d’acqua, se ne hai bevuto solo un sorso, l’indomani non te la puoi portare, te ne devi portare un’altra sigillata, nonostante all’aria ci sei solo tu e la bottiglietta. Ecco, questo è il 41 bis e credo che nessuno possa dire che non sia tortura. C’è soltanto una parvenza di legalità nello stabilire quei contenuti minimi, ad esempio della socialità in gruppi da 2 a 4, ma soltanto appunto per salvare l’apparenza della legalità di uno stato democratico. In realtà non è socialità quella, perché non c’è condivisione, non c’è autodeterminazione e c’è l’annichilimento di tutti i soggetti sottoposti al 41 bis.
Quindi perché questo regime cessi, quali sono le condizioni dettate dallo Stato? Cioè cosa richiede in cambio lo Stato al detenuto o alla detenuta?
Intanto bisogna ripartire dalla finalità del 41bis, almeno quella che secondo lo Stato è la finalità del 41bis, che è quella di impedire qualsiasi contatto con l’esterno, ma non con l’esterno in generale, con le organizzazioni di appartenenza. Naturalmente si esce dal 41 bis soltanto in due modi, quando si cessa di vivere o quando si collabora con lo Stato e quindi si accusano altre persone e si mettono, come diceva molto bene Musumeci, quando si mette qualcun altro al posto tuo.
Nel caso dei prigionieri politici io credo che si è andati anche oltre, perché che non ci sia un’organizzazione di appartenenza all’esterno è ben chiaro ed è chiaro anche per chi applica il regime del 41 bis alla detenzione politica. L’organizzazione Brigate Rosse per la costruzione del partito comunista, le cosiddette nuove BR, di cui faceva parte Nadia, è stata sgominata totalmente nel 2003, quindi quando è stato applicato per la prima volta il 41 bis, era un’organizzazione che già non esisteva, è un’organizzazione che non esiste, ormai è accertato, da almeno 14 anni, tuttavia il regime viene applicato e reiterato attualmente ogni volta di due anni in due anni. Le è stato rinnovato proprio poco tempo fa, quindi siamo in attesa della fissazione dell’udienza.
In questo caso quello che vuole lo Stato in cambio non è neanche la collaborazione. Una collaborazione che di fatto sarebbe anche impossibile, perché non c’è nessuno da arrestare all’esterno. Quindi, così come non c’è un’organizzazione all’esterno e quindi non dovrebbe essere applicata una misura come il 41 bis, non c’è neanche questo che si vuole in cambio.
Si vuole in cambio l’annientamento totale del soggetto naturalmente, quindi l’abiura di quelle che sono state le sue scelte politiche, l’abiura proprio di quelle che sono le sue convinzioni ideologiche. Tant’è che lei stessa, quando abbiamo fatto l’ultimo reclamo del 41 bis, ha detto chiaramente, nel corso dell’udienza, che era un reclamo impossibile da accogliere perché lei era una comunista e quindi come tale sarebbe potuta rimanere a vita in 41 bis, perché non si modificano le condizioni di conflitto che hanno portato poi alle scelte che aveva fatto al tempo in cui le ha fatte, ma anche non si modifica comunque il suo essere e sentirsi comunista. Quindi diciamo le ragioni per cui viene applicato, nel caso di Nadia il 41 bis, sono ben esplicitate nel decreto impositivo, in cui si riconosce addirittura il fatto che non c’è più un’organizzazione di appartenenza, però si dice che c’è una situazione grave a livello sociale, c’è un conflitto sociale che può esplodere, addirittura si fa l’esempio della disoccupazione che aumenta, di tutte quelle che sono le condizioni di vita che peggiorano per i proletari, per i lavoratori – anche se non si usano esattamente questi termini, ma il senso è questo – e soprattutto si dice che il fenomeno delle organizzazioni combattenti è anche un fenomeno ciclico, viene definito carsico, e quindi ineliminabile naturalmente in un tipo di società che è fondata sullo sfruttamento e sulla divisione in classi.
Di fatto si crea un corto circuito, in cui non si chiede soltanto che ci sia un’abiura da parte dei prigionieri politici, ma praticamente dovrebbe esserci la morte anche all’esterno, tant’è che a Nadia viene rinnovato il 41 bis perché, si dice, ci sono anche attestati di solidarietà all’esterno, persone che lottano contro il 41 bis, che denunciano le condizioni di vita e di tortura dei detenuti sottoposti al 41 bis e quindi una eventuale revoca del 41 bis sarebbe un segnale rispetto all’esterno, dimostrerebbe in qualche modo che la lotta paga e quindi praticamente, paradossalmente, chiunque lotta contro il 41 bis, sembrerebbe quasi fare un danno a chi sta in 41 bis. Quindi automaticamente non viene revocato il 41 bis, perché sennò all’esterno la revoca potrebbe essere interpretata come una vittoria, la lotta fatta contro un regime di segregazione assoluta, qual è quella imposta col 41 bis.
info: mfpr.naz@gmail.com