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Bergamo, non ci sarà un processo per Aziz

18 anni, in Italia da 43 giorni, ucciso da un carabiniere in circostanza da chiarire
Tre anni e cinque mesi non sono bastati per dare conto dei dubbi sulla morte di Aziz Amiri, uno dei casi inseriti nel rapporto annuale della Clinton sui diritti umani violati.

Era dal 19 dicembre che si attendeva la decisione del tribunale di Bergamo. Ma non ci sarà un processo pubblico per il carabiniere che ha ucciso un ragazzo di 18 anni arrivato a Bergamo dal Marocco solo 43 giorni prima di essere ammazzato. La decisione è arrivata alle cinque del pomeriggio di un luglio. Archiviazione significa non luogo a procedere, che non viene aperto uno spazio pubblico per la formazione delle prove e per il diritto di difesa.

Per ben due volte la pm Maria Mocciaro aveva già provato ad archiviare la vicenda sostenendo che quel militare si sarebbe comportato correttamente, senza imprudenza, né negligenza: avrebbe solo reagito, per legittima difesa, a una situazione diventata pericolosa per cause indipendenti dalla sua volontà. Solo la lettura delle motivazioni, dopo l’estate, potrà dirci se davvero la decisione del gip bergamasco è la pietra tombale sulle speranze di verità e giustizia.

Secondo la ricostruzione, il carabiniere e un suo collega brigadiere stavano cercando di incastrare degli spacciatori e per farlo avevano tenuto sotto controllo un tossicodipendente, forse loro confidente. Era il 6 febbraio del 2010.

Aziz era arrivato da Ben Oualik, Marocco e non parlava l’italiano. Ma aveva due fratelli a Bergamo. Era con uno dei due quando a Mornico al Serio, i carabinieri si sono avvicinati separatamente all’auto Peugeot 206, Aziz era sul lato passeggero, e alla guida il fratello di 41 anni: il carabiniere, un appuntato, si era avvicinato dal lato guida, ma era scaturita una colluttazione col conducente fino alla pistolettata.

Ai giornalisti locali una signora racconterà di aver appreso dal figlio della presenza dei carabinieri in Via Verdi e di aver chiesto – non si capisce bene quando e come – a dei passanti cosa era successo, apprendendo che un automobile si era allontanata a grande velocità dal luogo di una sparatoria. Altre persone che erano all’oratorio – a poche decine di metri dal luogo del delitto – dicono di non aver sentito auto in corsa; uno di loro ricorda di aver sentito un rumore simile “al botto di un petardo”. Un testimone avrebbe visto due auto «sfrecciare per le strade del paese scontrandosi proprio in Via Verdi», si titola sul “Tragico inseguimento”, ne sarebbe seguito un corpo a corpo con sparatoria e un morto.

Una prima versione ufficiale parlerà del pedinamento di una vettura sospetta, una Peugeot 206. I due carabinieri, della caserma di via delle Valli di Bergamo, optano per il fermo, scendono, si qualificano e iniziano attimi concitati. Il guidatore ingrana la retromarcia nel tentativo di fuggire, sperona l’auto dei carabinieri e uno di loro cade in terra. Lo spazio per girare è poco e l’auto dei fermati urta contro il marciapiede forando; il guidatore scende e tenta la fuga a piedi ingaggiando un corpo a corpo con il carabiniere, nel frattempo rialzatosi. Ma un cittadino che abita davanti al luogo del delitto l’aveva già smentita. Mai sentito in fase di inchiesta preliminare racconta a Studio aperto, il giorno appresso al delitto, di aver sentito esplodere non uno ma ben tre colpi di pistola. Ma il commilitone scagiona lo sparatore: lui era dietro alla portiera del passeggero, perciò, se il collega avesse sparato avrebbe potuto prenderlo.

Il 23 marzo 2011 – a più di un anno dei fatti – il primo tentativo di archiviazione ma viene ritoccata la versione ufficiale: il guidatore dell’auto fermata non avrebbe tentato la fuga, ma avrebbe tentato di disarmare il carabiniere attraverso il finestrino aperto dileguandosi dopo lo sparo. Si dirà che, nella colluttazione il fuggiasco prova a rubare la pistola al carabiniere ed è in questo momento che parte il colpo che colpisce il giovane passeggero, uccidendolo. Avrebbe visto che l’uomo al volante girava le ruote nella sua direzione per investirlo, si è rialzato di scatto, dirigendosi verso il finestrino e puntando la pistola verso il guidatore intimandogli di fermarsi. Questo gli avrebbe però afferrato il braccio: in quell’istante sarebbe partito il colpo fatale che ha raggiunto il ventenne seduto sul lato del passeggero, raggiungendolo all’altezza del torace, nella parte sinistra. Un colpo sparato probabilmente dall’alto verso il basso.

E il procuratore legale incaricato dalla famiglia Amiri esprime i primi dubbi. Sembrerebbe che il carabiniere abbia sparato con la sua pistola privata e non con quella d’ordinanza. Aziz sarebbe stato ucciso da un proiettile di rimbalzo. Chi ha raccontato questa notizia a L’Eco di Bergamo? Per Hillary Clinton, segretario di stato Usa a cui è giunta l’eco del caso, la morte del giovane Aziz Amiri è ritenuta “un omicidio controverso” e viene inserita nel capitolo del rapporto annuale sui diritti umani intitolato “privazione arbitraria o illegale della vita”. Paolo Bulleri, che tutela la famiglia Amiri, si chiede quali fossero esattamente le disposizioni ricevute dai due militari in borghese. Molti i dubbi sollevati sulla dinamica dell’operazione antidroga.

Perché i due militari sono intervenuti senza chiamare rinforzi? Come è potuta finire in tragedia un’operazione contro due persone disarmate? C’entra qualcosa la cappa di razzismo e sicuritarismo che permea l’educazione di settori sempre più vasti delle forze dell’ordine? Lo sparatore aveva un porto d’armi per difesa personale così da giustificare l’uso eventuale di una pistola fuori ordinanza? S’era mai trovato in circostanze simili prima della notte al parcheggio di Mornico? Che arma è stata usata? Com’è possibile che da una pistola possa partire un colpo accidentale? E’ ancora in servizio? Solo un blog di controinformazione, BgReport, ha continuato a seguire il caso. Fino a ieri, appunto.


Checchino Antonini da Liberazione