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Egitto: Giovane ucciso in caserma, in centinaia assaltano la polizia al Cairo

La procura apre un’inchiesta dopo l’esplosione di rabbia nel quartiere operaio di Moqattam per la morte del 22enne Mohamed Afroto. I poliziotti: morto in una rissa tra detenuti, anzi per overdose

È stata notte di scontri al Cairo, epicentro la stazione di polizia dove un giovane egiziano è morto a poche ore dall’arresto.

Mohamed Afroto, 22 anni, era stato arrestato venerdì con l’accusa di spaccio di droghe. Poco dopo, in serata, ne è stata annunciata la morte, per i poliziotti sopraggiunta a seguito di una rissa con altri detenuti. Poi hanno cambiato versione: è stata overdorse. Tesi contrastanti che hanno fatto esplodere la rabbia di familiari e amici: centinaia di persone hanno preso d’assalto la caserma nel quartiere operaio di Moqattam.

Mohamed Afroto

Mohamed Afroto

Hanno dato alle fiamme pneumatici e dieci automobili, lanciato sassi sui poliziotti considerati i veri responsabili del decesso di Afroto e tentato di entrare nell’edificio. La polizia ha risposto con i lacrimogeni, ferendo 9 persone e arrestandone 40.

La situazione si è calmata ieri mattina, dopo l’intervento della procura che ha promesso di aprire un’inchiesta e ordinato il sequestro delle telecamere di sorveglianza, l’autopsia sul corpo del 22enne e l’esame tossicologico. L’attenzione dimostrata ha una sua spiegazione: i morti in detenzione sono una miccia che in Egitto prende fuoco con estrema facilità.

Basta un nome, Khaled Said: il ragazzo ucciso nel 2010 dalle botte di un gruppo di poliziotti ha dato il là alla rivoluzione di piazza Tahrir. Con 60mila prigionieri politici e altri decine di migliaia di prigionieri comuni, con centri di detenzione che si moltiplicano (non-luoghi di tortura e mancata assistenza medica, dove è facile sparire dai radar di familiari e legali), la questione tocca moltissime famiglie.

E le morti in custodia sono drammaticamente frequenti, sebbene di dati certi non ce ne siano a causa della chiusura forzata delle ong che monitorano torture e uccisioni extragiudiziali. Come al-Nadeem Center, esperienza ventennale e spina nel fianco del regime di al-Sisi che ne ha imposto la chiusura nel febbraio dello scorso anno. Fino ad allora aveva raccolto, per quanto possibile, i dati sugli anni di presidenza al-Sisi.

L’ex generale parla di casi isolati. Così non è: 71 i morti in custodia tra gennaio e fine luglio 2016, 137 nel 2015 e 90 nel 2014  solo nei governatorati di Giza e Il Cairo. Tra loro anche Giulio Regeni.

Chiara Cruciati

da il manifesto