Joy, altri due mesi in ostaggio nel Cie di Modena
Il 9 aprile Debby e Priscilla, rinchiuse nel cie di Torino, si sono viste notificare la proroga di due mesi di detenzione. Il 12 aprile, la stessa cosa è accaduto a Joy, rinchiusa nel cie di Modena. Noi non siamo complici invita a telefonare ai Cie per protestare [Cie di Modena : 05451690, Cie di Torino: 011.558.99.18 – 011.558.87.78 – 011.558.98.15, Cie Roma: 06.658.542.15].
Ripubblichiamo un articolo uscito il 26 marzo sul numero 10 di Carta settimanale, sulla storia di Joy.
La storia di Joy comincia in un giorno del 2000, quando una donna entra nel negozio dove lei fa la parrucchiera, in Nigeria. Dopo che Joy si è presa cura dei suoi capelli, la signora le propone di andare a fare lo stesso lavoro in Italia. Joy aveva diciotto anni e sognava un futuro diverso. Così decide di tentare l’avventura. In segreto, però, perchè la madre l’aveva messa in guardia sulla fine che fanno le ragazze nigeriane: in Europa vengono costrette a prostituirsi. Joy si fida di quella che da lì a due anni sarebbe diventata la sua sfruttatrice e le chiede di non dire nulla a nessuno. La «madame», così vengono chiamate le donne nigeriane che gestiscono il traffico di altre donne, torna in Italia e da lì manda un suo uomo per accompagnare Joy fino in Marocco. Un viaggio lungo e difficile. In Marocco i due vengono fermati dalla polizia e rimandati indietro. Nel 2002, finalmente, Joy sale sul barcone che la porta in Spagna.
«Una volta in Spagna, una mia compaesana che non conoscevo mi compra il biglietto del treno per l’Italia – racconta Joy – e così sono arrivata a Milano. Alla stazione mi aspetta la donna che avevo conosciuto in Nigeria. Mi portano a casa. Dopo qualche giorno, una sera mi dice che devo andare a lavorare. ‘Tu ora vai in strada, mi ha detto, mi devi cinquantamila euro e ora devi lavorare’. Quando ho capito che mi aveva ingannato, che voleva che mi prostituissi, ho rifiutato – continua Joy – Lei mi ha picchiato e alla fine sono andata in strada».
Per cinque anni Joy viene costretta a prostituirsi, finchè nel 2007 fugge. Accolta a casa di alcune amiche, tra il 2007 e il 2008 Joy finalmente riesce a fare il suo mestiere, la parrucchiera. «Ho cominciato a costruirmi una vita piano piano – spiega Joy – Ma la ‘madame’ ha mandato nel mio paese un mafioso, che ha ucciso mio padre. Mia madre mi ha chiamato piangendo e dicendomi che dovevo finire di pagare il debito. Prima di scappare avevo già pagato 35 mila euro. Allora ho ricominciato a prostituirmi, la ‘madame’ mi ha mandato da suo fratello, in un’altra città. Lui mi ha pagato un posto dove potevo lavorare di giorno. Di notte era pericoloso, c’era troppa polizia. Ho rimborsato altri settemila euro. Ma non bastavano. Il fratello della ‘madame’ è venuto a casa mia, mi ha picchiato e si è preso tutta la mia roba. Allora gli ho garantito che avrei lavorato fino a pagare gli altri ottomila euro del debito. E’ in quel momento che mi hanno arrestato e portato nel Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli, a Milano. Subito il fratello di ‘madame’ mi ha chiamato per chiedermi dov’ero e ho giurato che appena fuori avrei ricominciato».
Nel Cie, la strada di Joy incrocia quella dell’ispettore capo di polizia Vittorio Addesso. «Mi aveva chiesto il numero di telefono. Io gli ho chiesto ‘che cosa ci fai?’ e lui mi ha risposto che quando sarei uscita mi avrebbe cercato per fare l’amore. Gli ho risposto che non ero una puttana e che non lavoravo più, gli ho detto di lasciarmi stare. All’inizio di agosto – era circa mezzanotte – faceva troppo caldo nella stanza allora ho portato il mio materasso fuori, nel corridoio, per prendere un po’ d’aria. Ho visto qualcuno avvicinarsi, poi mi ha toccato le tette. Ho gridato: ‘Ispettore, perche? fai cosi??’ e ho iniziato a fare casino». Hellen, che condivideva la cella con Joy, richiamata dalle grida, interviene, il poliziotto lascia perdere.
Il 13 agosto, dopo che i detenuti hanno scoperto che il «pacchetto sicurezza» appena approvato dal governo avrebbe allungato la detenzione nei Cie fino a sei mesi, e per di più con valore retroattivo, scoppia una protesta. «Quando c’è stata la rivolta – prosegue Joy – l’ispettore è venuto da me e ha cominciato a picchiarmi». Anche Hellen viene picchiata.
Il 20 agosto 2009, all’apertura del processo per direttissima contro i reclusi che si erano ribellati, nove in tutto, Joy accusa Addesso: «E’ un torturatore». E denuncia: «Ha cercato di violentarmi». A ottobre, il tribunale condanna otto dei nove accusati a pene tra i sei e i nove mesi di carcere. Joy, oltre alla pena, deve fare i conti con un’accusa di calunnia per aver denunciato molestie, tentate violenze sessuali e pestaggi. «Mentre ero in carcere non potevo usare il cellulare – racconta – La ‘madame’ ha cercato di chiamarmi e non riuscendoci dopo un po’ ha chiamato in Nigeria e ha mandato un’altra volta il mafioso a casa mia. E lui ha ammazzato mio fratello e mia sorella. Era il novembre del 2009. Io non sapevo nulla. Quando sono uscita, in febbraio, ho chiamato mia madre e solo allora ho saputo».
Dopo tre mesi nel carcere di San vittore a Milano – dove il 15 gennaio si suicida Mohammed, uno degli otto condannati di via Corelli, dopo aver saputo di dover tornare in un Cie dopo l’uscita dal carcere – Joy viene trasferita a Como. «L’11 febbraio ero andata a dormire, dopo aver preparato le mie cose per uscire il giorno successivo, ma mi hanno svegliato e trasferita al Cie di Modena dove sono rimasta per trentaquattro giorni. Poi mi hanno portato a Roma. Il 17 marzo arriva un funzionario dell’ambasciata nigeriana e mi chiede nome, luogo di nascita e altre informazioni come, per esempio, dove vive mia madre. Gli rispondo che non lo so. Lui mi dice che un aereo sarebbe partito il 18 per la Nigeria. Gli dico che per me sarebbe molto pericoloso tornare in Nigeria».
«Il 18 marzo, alle 13,50 – si legge in una nota del Viminale – è partito dall’aeroporto di Roma Fiumicino un volo charter diretto a Lagos, organizzato dalla Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia di frontiera e co-finanziato dall’Agenzia europea per le frontiere esterne ‘Frontex’, con il quale si è proceduto al rimpatrio di 51 cittadini nigeriani, 25 dei quali espulsi dall’Italia, 10 dalla Germania, 6 dalla Grecia, 5 dall’Austria e 5 dalla Norvegia, scortati da operatori di polizia dei rispettivi paesi di provenienza. L’iniziativa ha consentito di rinviare nel paese africano anche cittadini nigeriani, identificati in collaborazione con l’ambasciata nigeriana in Italia, dediti a reati predatori e al traffico di stupefacenti».
Il rimpatrio, conclude il ministero degli interni, «rientra in un progetto più ampio, denominato ‘Defender’, finalizzato a dare ancora più efficacia sul territorio all’azione di prevenzione e di repressione della cosiddetta criminalita? diffusa». Non una parola sulle donne vittime della tratta che erano su quello stesso aereo.
In Italia possono essere rinchiusi nei tredici Cie esistenti 1814 persone, quello di Ponte Galeria a Roma è il più grande. «Joy è diventata un simbolo, la battaglia per lei è al tempo stesso la battaglia per tutte le altre – dice Nicoletta, della campagna Noi non siamo complici – Il fatto che vengano deportate da un momento all’altro 51 persone è terribile». Joy e Hellen non sono state imbarcate sull’aereo grazie all’intervento dei loro avvocati e ai presidi di protesta organizzati a Milano, Bologna, Roma e Torino. «Il funzionario dell’ambasciata aveva dato il nulla osta per il rimpatrio ma poi abbiamo mandato un fax che chiedeva di non procedere al rimpatrio per una serie di motivi e, alla fine, ci hanno comunicato che al momento il rimpatrio di Joy è sospeso – spiega Eugenio Losco, l’avvocato difensore – Abbiamo chiesto un permesso per motivi di giustizia e non abbiamo ancora avuto una risposta. Joy sta chiedendo la protezione sociale grazie all’articolo 18, quello che tutela le donne che denunciano i loro sfruttatori: stava facendo i primi colloqui a Modena quando e? stata improvvisamente trasferita a Ponte Galeria, a Roma. Abbiamo anche presentato una denuncia formale nei confronti dell’ispettore Addesso per violenza sessuale».
L’avvocato Salvatore Fachile, che segue Hellen, ha avuto un colloquio con lei, insieme a Joy, nel Cie di Ponte Galeria. «Joy ha già preso contatto con un’associazione romana che si occupa dell’articolo 18 – spiega Fachile – Sembra che la procura di Milano sia interessata ad approfondire la questione e a non espellerla. Per Hellen, che è una richiedente asilo, ogni forma di riconoscimento da parte dell’ambasciata è stata bloccata. Ora cercheremo, con l’avvocato Losco, di far valere anche in questo caso una nuova sentenza della Corte costituzionale che prevede una nuova udienza per ogni proroga al trattenimento nei Cie. Stiamo cercando di capire se siano stati rispettati questi nuovi obblighi oppure no. Il loro trattenimento è ancora prorogabile per almeno tre mesi, cercheremo però di interromperlo».
Joy è ancora in Italia, ma è molto provata. «Non riesco a mangiare – dice – Mia madre mi ha chiamato, dice che sono andati di nuovo a casa a fare casino, ho paura, sono molto preoccupata. Non so più che cosa devo fare, non so quando usciro? e se alla fine mi rimanderanno in Nigeria».
«Una volta in Spagna, una mia compaesana che non conoscevo mi compra il biglietto del treno per l’Italia – racconta Joy – e così sono arrivata a Milano. Alla stazione mi aspetta la donna che avevo conosciuto in Nigeria. Mi portano a casa. Dopo qualche giorno, una sera mi dice che devo andare a lavorare. ‘Tu ora vai in strada, mi ha detto, mi devi cinquantamila euro e ora devi lavorare’. Quando ho capito che mi aveva ingannato, che voleva che mi prostituissi, ho rifiutato – continua Joy – Lei mi ha picchiato e alla fine sono andata in strada».
Per cinque anni Joy viene costretta a prostituirsi, finchè nel 2007 fugge. Accolta a casa di alcune amiche, tra il 2007 e il 2008 Joy finalmente riesce a fare il suo mestiere, la parrucchiera. «Ho cominciato a costruirmi una vita piano piano – spiega Joy – Ma la ‘madame’ ha mandato nel mio paese un mafioso, che ha ucciso mio padre. Mia madre mi ha chiamato piangendo e dicendomi che dovevo finire di pagare il debito. Prima di scappare avevo già pagato 35 mila euro. Allora ho ricominciato a prostituirmi, la ‘madame’ mi ha mandato da suo fratello, in un’altra città. Lui mi ha pagato un posto dove potevo lavorare di giorno. Di notte era pericoloso, c’era troppa polizia. Ho rimborsato altri settemila euro. Ma non bastavano. Il fratello della ‘madame’ è venuto a casa mia, mi ha picchiato e si è preso tutta la mia roba. Allora gli ho garantito che avrei lavorato fino a pagare gli altri ottomila euro del debito. E’ in quel momento che mi hanno arrestato e portato nel Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli, a Milano. Subito il fratello di ‘madame’ mi ha chiamato per chiedermi dov’ero e ho giurato che appena fuori avrei ricominciato».
Nel Cie, la strada di Joy incrocia quella dell’ispettore capo di polizia Vittorio Addesso. «Mi aveva chiesto il numero di telefono. Io gli ho chiesto ‘che cosa ci fai?’ e lui mi ha risposto che quando sarei uscita mi avrebbe cercato per fare l’amore. Gli ho risposto che non ero una puttana e che non lavoravo più, gli ho detto di lasciarmi stare. All’inizio di agosto – era circa mezzanotte – faceva troppo caldo nella stanza allora ho portato il mio materasso fuori, nel corridoio, per prendere un po’ d’aria. Ho visto qualcuno avvicinarsi, poi mi ha toccato le tette. Ho gridato: ‘Ispettore, perche? fai cosi??’ e ho iniziato a fare casino». Hellen, che condivideva la cella con Joy, richiamata dalle grida, interviene, il poliziotto lascia perdere.
Il 13 agosto, dopo che i detenuti hanno scoperto che il «pacchetto sicurezza» appena approvato dal governo avrebbe allungato la detenzione nei Cie fino a sei mesi, e per di più con valore retroattivo, scoppia una protesta. «Quando c’è stata la rivolta – prosegue Joy – l’ispettore è venuto da me e ha cominciato a picchiarmi». Anche Hellen viene picchiata.
Il 20 agosto 2009, all’apertura del processo per direttissima contro i reclusi che si erano ribellati, nove in tutto, Joy accusa Addesso: «E’ un torturatore». E denuncia: «Ha cercato di violentarmi». A ottobre, il tribunale condanna otto dei nove accusati a pene tra i sei e i nove mesi di carcere. Joy, oltre alla pena, deve fare i conti con un’accusa di calunnia per aver denunciato molestie, tentate violenze sessuali e pestaggi. «Mentre ero in carcere non potevo usare il cellulare – racconta – La ‘madame’ ha cercato di chiamarmi e non riuscendoci dopo un po’ ha chiamato in Nigeria e ha mandato un’altra volta il mafioso a casa mia. E lui ha ammazzato mio fratello e mia sorella. Era il novembre del 2009. Io non sapevo nulla. Quando sono uscita, in febbraio, ho chiamato mia madre e solo allora ho saputo».
Dopo tre mesi nel carcere di San vittore a Milano – dove il 15 gennaio si suicida Mohammed, uno degli otto condannati di via Corelli, dopo aver saputo di dover tornare in un Cie dopo l’uscita dal carcere – Joy viene trasferita a Como. «L’11 febbraio ero andata a dormire, dopo aver preparato le mie cose per uscire il giorno successivo, ma mi hanno svegliato e trasferita al Cie di Modena dove sono rimasta per trentaquattro giorni. Poi mi hanno portato a Roma. Il 17 marzo arriva un funzionario dell’ambasciata nigeriana e mi chiede nome, luogo di nascita e altre informazioni come, per esempio, dove vive mia madre. Gli rispondo che non lo so. Lui mi dice che un aereo sarebbe partito il 18 per la Nigeria. Gli dico che per me sarebbe molto pericoloso tornare in Nigeria».
«Il 18 marzo, alle 13,50 – si legge in una nota del Viminale – è partito dall’aeroporto di Roma Fiumicino un volo charter diretto a Lagos, organizzato dalla Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia di frontiera e co-finanziato dall’Agenzia europea per le frontiere esterne ‘Frontex’, con il quale si è proceduto al rimpatrio di 51 cittadini nigeriani, 25 dei quali espulsi dall’Italia, 10 dalla Germania, 6 dalla Grecia, 5 dall’Austria e 5 dalla Norvegia, scortati da operatori di polizia dei rispettivi paesi di provenienza. L’iniziativa ha consentito di rinviare nel paese africano anche cittadini nigeriani, identificati in collaborazione con l’ambasciata nigeriana in Italia, dediti a reati predatori e al traffico di stupefacenti».
Il rimpatrio, conclude il ministero degli interni, «rientra in un progetto più ampio, denominato ‘Defender’, finalizzato a dare ancora più efficacia sul territorio all’azione di prevenzione e di repressione della cosiddetta criminalita? diffusa». Non una parola sulle donne vittime della tratta che erano su quello stesso aereo.
In Italia possono essere rinchiusi nei tredici Cie esistenti 1814 persone, quello di Ponte Galeria a Roma è il più grande. «Joy è diventata un simbolo, la battaglia per lei è al tempo stesso la battaglia per tutte le altre – dice Nicoletta, della campagna Noi non siamo complici – Il fatto che vengano deportate da un momento all’altro 51 persone è terribile». Joy e Hellen non sono state imbarcate sull’aereo grazie all’intervento dei loro avvocati e ai presidi di protesta organizzati a Milano, Bologna, Roma e Torino. «Il funzionario dell’ambasciata aveva dato il nulla osta per il rimpatrio ma poi abbiamo mandato un fax che chiedeva di non procedere al rimpatrio per una serie di motivi e, alla fine, ci hanno comunicato che al momento il rimpatrio di Joy è sospeso – spiega Eugenio Losco, l’avvocato difensore – Abbiamo chiesto un permesso per motivi di giustizia e non abbiamo ancora avuto una risposta. Joy sta chiedendo la protezione sociale grazie all’articolo 18, quello che tutela le donne che denunciano i loro sfruttatori: stava facendo i primi colloqui a Modena quando e? stata improvvisamente trasferita a Ponte Galeria, a Roma. Abbiamo anche presentato una denuncia formale nei confronti dell’ispettore Addesso per violenza sessuale».
L’avvocato Salvatore Fachile, che segue Hellen, ha avuto un colloquio con lei, insieme a Joy, nel Cie di Ponte Galeria. «Joy ha già preso contatto con un’associazione romana che si occupa dell’articolo 18 – spiega Fachile – Sembra che la procura di Milano sia interessata ad approfondire la questione e a non espellerla. Per Hellen, che è una richiedente asilo, ogni forma di riconoscimento da parte dell’ambasciata è stata bloccata. Ora cercheremo, con l’avvocato Losco, di far valere anche in questo caso una nuova sentenza della Corte costituzionale che prevede una nuova udienza per ogni proroga al trattenimento nei Cie. Stiamo cercando di capire se siano stati rispettati questi nuovi obblighi oppure no. Il loro trattenimento è ancora prorogabile per almeno tre mesi, cercheremo però di interromperlo».
Joy è ancora in Italia, ma è molto provata. «Non riesco a mangiare – dice – Mia madre mi ha chiamato, dice che sono andati di nuovo a casa a fare casino, ho paura, sono molto preoccupata. Non so più che cosa devo fare, non so quando usciro? e se alla fine mi rimanderanno in Nigeria».
Sarah Di Nella da carta.org
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