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Milano: Processo alla street art

Finisce in tribunale Daniele Nicolosi, in arte Bros. Il più famoso writer milanese, che ha esposto al Pac e a Palazzo Reale, è la prima vittima della guerra ai graffitari dichiarata dalla giunta Moratti. In nome del «decoro»

Ci sono bambini che a Milano hanno imparato a leggere soffermandosi sui suoi rebus già scoloriti dal tempo – SFI poi due dadi dipinti, poi un fiore e poi ancora una bilancia con la lancetta su 0,1 = SFI/DADI/FIOR/ETTO – e ci sono gallerie d’arte di livello internazionale che ormai lo ospitano come fosse… un vero artista. Perché è così.
Daniele Nicolosi, classe 1981, in arte (appunto) Bros, è un vero artista, anche se suo padre con saggezza lo invita a rimanere con i piedi per terra – «tu sei solo un imbianchino» – e anche se il vicesindaco Riccardo De Corato, degno rappresentante della giunta comunale più grigia d’Italia, lo ha mandato a processo per imbrattamento molesto chiedendogli un risarcimento di 52 mila euro.
Ieri è iniziato il processo penale (il primo di questo tipo) e il vicesindaco, invece di arrossire per l’imbarazzo, ha alzato il tiro prendendosela con il pm che ha contestato a Bros solo due dei diciassette dipinti che la sua scolorita task-force avrebbe rintracciato durante appostamenti degni della miglior tragicommedia all’italiana (i vigili di Milano hanno una «banca dati delle tags» – parlano proprio così! – grazie alla quale avrebbero attribuito a Bros una serie di opere a lui rinconducibili). E questo è niente, basti dire che la giunta di Milano per dichiarare la guerra santa ai graffiti è pronta a spendere 34 milioni di euro! Il dibattimento, destinato a proiettare la città dell’Expo in una dimensione da riunione di condominio, proseguirà il 19 maggio.
Allora Bros, per Vittorio Sgarbi tu sei il Giotto moderno e per De Corato solo un recidivo.
Insomma, chi sei?
Chi sono… sono un ragazzo a cui piace dipingere. Comunico così cercando di fare un’informazione differente, come Rivera che dipingeva sui muri scene colorate di vita messicana, o come gli artisti che per secoli e secoli hanno affrescato le chiese d’Italia. Cerco di rappresentare un mio pensiero da condividere, anche se mio padre continua a dire che sono solo un imbianchino… e forse ha ragione lui.
Sei il primo writer italiano che subisce un processo penale. Oltre a ringraziare il vicesindaco, vuoi dire qualcosa a tua discolpa?
Sì, mi stanno processando per due lavori: uno su un muro di San Vittore realizzato nel 2004, per cui il reato è già prescritto, e un altro su una pensilina dell’Atm.
Ti hanno mai beccato con la bomboletta in mano?
Una volta sola, era il 29 novembre 2007. Da quella volta sono andati in giro a fotografare tutti i graffiti di Milano e i vigili hanno deciso che era tutta roba mia, diciamo che è stata una specie di perizia artistica sui generis. Ed eccomi qui in tribunale… E’ tutta propaganda, come al solito. Prima mi invitano alle mostre del Comune di Milano e poi mi denunciano, una bella incongruenza no? Hanno voluto ripulire la città per via dell’Expo, per presentarsi lucidi come uno specchio davanti ai commissari che esaminavano la candidatura, ma io credo che una città che vuole davvero avere un respiro internazionale dovrebbe prestare un po’ più di attenzione a certe forme artistiche di strada, non è sufficiente costruire grattacieli, alti, dritti o storti. Ma a questa amministrazione non interessa niente. Preferiscono continuare a prendere voti dei cittadini che si spaventano per un disegno piuttosto che scandalizzarsi per la pubblicità invasiva di Clear Channel che sponsorizza le biciclette del sindaco Moratti.
Hai esposto al Padiglione d’arte contemporanea, a Palazzo Reale, ti hanno anche proposto per l’Ambrogino d’oro. Essere diventato un writer mainstream ha cambiato il tuo modo di vedere e dipingere le cose?
Inutile negarlo, ormai c’è un interesse commerciale verso i miei disegni, ma questo aspetto non mi imbarazza più di tanto. I miei dipinti continuano ad essere orientati verso una dimensione pubblica. Preferisco sempre un cachet offerto da un Comune per realizzare un lavoro che una committenza privata. Se poi c’è un riccone che vuole avere un mio disegno per tenerselo in casa e farlo vedere agli amici, allora è giusto che paghi… e io mi faccio pagare, così mi rilasso per qualche mese.
Le tue opere hanno una quotazione, oppure il mercato non ti ha ancora messo addosso il cartellino con il prezzo?
Due anni fa ho letto su una rivista un articolo sulle quotazioni relative all’arte contemporanea, per i miei lavori parlavano di una cifra attorno ai 6500 euro per metro quadro di superficie dipinta. Mah. Se è così, allora in tutti questi anni ho regalato un sacco di soldi al Comune di Milano…
Sarà come dice tuo padre, ma tu con la tua arte adesso ci campi?
Sì, questo è il mio lavoro.
Ma li fai ancora i muri, oppure ormai sei proiettato su una dimensione, diciamo così, più protetta?
Beh… diciamo che quando mi invitano a una mostra chiedo sempre di avere un muro pubblico a disposizione, perché cerco ancora di abbattere i confini che rinchiudono l’arte contemporanea. In piazza Cadorna c’è un enorme ago e filo di Claes Oldenburg, e quella è arte. Come le installazioni all’aperto di Cattelan.
Veniamo al paradosso. Un’arte nasce illegale, dunque pericolosa, e poi viene venduta a migliaia di euro. Cosa ti fa pensare?
Che le cose funzionano così, che hanno sempre funzionato così. Nella storia dell’arte, tutte le espressioni di rottura in un primo momento non erano nemmeno considerate arte, mi viene in mente il salon dei refusées degli impressionisti… Poi arriva il momento in cui il lavoro, il sacrificio di un artista, viene riconosciuto. Parlando di arte contemporanea non penso sia giusto utilizzare categorie come giusta o sbagliata, oppure legale o illegale, credo che l’importante sia che qualunque creazione artistica possa essere vista dal maggior numero di persone possibili.
Cosa consiglieresti ai ragazzini che con la bomboletta cominciano a provarci?
Di pensarci bene prima di agire, di tenere conto delle esperienze fatte da altri, di considerare soprattutto ciò che è già stato già fatto o è capitato prima, perché l’aspetto fondamentale è riuscire sempre a portare qualcosa di nuovo, sono convinto che l’arte di strada non morirà mai.
Cosa stai pensando di «imbrattare»?
Sto preparando una cosa molto importante, ci sto lavorando da quattro mesi, posso solo dirti che sarà in un contesto urbano e che utilizzerò un supporto molto grande.
Ti costerà un altro processo, oppure è tutto legale?
Beh, questa volta spero che piaccia anche a loro.
Milano è in Europa?
Io amo l’Italia in generale, viaggio spesso nel nostro paese… e non credo proprio che un artista sia bravo solo perché lavora a New York. Se tutti noi ci sentissimo parte di una collettività piuttosto che seminare astio e intolleranza, allora sarebbe bella Milano e sarebbe bella l’Italia.
Perché ti chiami Bros?
Mi piaceva il suono.
Luca Fazio
fonte: il manifesto