A prescindere dall’esistenza o meno di una zona Sar (ricerca e salvataggio) attribuibile a Tripoli, la Libia non può essere considerata un porto sicuro per i migranti viste le condizioni in cui vengono trattenuti. Inoltre non si ha nessuna certezza che Malta avrebbe acconsentito allo sbarco dei migranti tratti in salvo il 15 marzo scorso dalla nave Open Arms.
Sono le due motivazioni principali che hanno portato il gip di Ragusa Giovanni Giampiccolo a rigettare ieri la richiesta di sequestro della nave della ong spagnola ferma nel porto di Pozzallo dal 18 marzo scorso su ordine della procura distrettuale di Catania, sequestro in seguito mantenuto dal gip della città etnea che ha però fatto cadere l’accusa di associazione a delinquere contestata al capitano della nave Marc Reig Creus, alla capo missione Ana Isabel Montes Mier e al coordinatore generale della ong Gerard Canals. I tre restano comunque indagati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E infatti l’avvocato Alessandro Gamberini, uno dei legali che assiste l’ong, si dice soddisfatto della decisone del gip ma, spiega, «abbiamo vinto una battaglia, credo che la guerra legale non finisca qui ma continuerà e sarà lunga».
Una guerra che sembra riguardare più in generale l’attività delle ong impegnate nel salvataggio dei migranti nelle acque antistanti la Libia. L’avventura giudiziaria della Open Arms comincia il 15 marzo, quando alla nave arriva dalla sala operativa della Guardia costiera a Roma un allarme riguardante tre gommoni carichi di migranti. Le imbarcazioni si trovano in acque internazionali ma l’intervento di una motovedetta libica, alla quale Roma attribuisce per la prima volta il coordinamento dei soccorsi, fa salire la tensione. I militari minacciano infatti con le armi gli attivisti della ong per farsi consegnare i migranti già tratti in salvo. La situazione si sblocca solo quando la motovedetta retrocede dalle sue intenzioni e si allontana.
Proprio la decisione di non consegnare uomini, donne e bambini ai libici viene contestata dalla procura distrettuale di Catania, convinta che la ong spagnola abbia fatto in modo di portare i migranti in Italia a tutti i costi. Accusa che i difensori della Opens Arms contestano, convinti che consegnare i migranti ai libici sarebbe equivalso a condannarli a subire maltrattamenti e torture. Una tesi condivisa dal gip di Ragusa Giampiccolo: le operazioni di soccorso, è scritto nel decreto, «non si esauriscono nel mero recupero in mare dei migranti, ma devono completarsi e concludersi con lo sbarco in un luogo sicuro» come previsto dalla Convenzione di Amburgo del 1979. Condizione fondamentale che non corrisponde però al paese nordafricano. Le informazioni disponibili, argomenta infatti il gip nelle 16 pagine del decreto – «indicano ancora la Libia come luogo in cui avvengono gravi violazioni dei diritti umani (con persone trattenute in strutture di detenzione in condizioni di sovraffollamento, senza accesso a cure mediche e ad un’adeguata alimentazione e sottoposte a maltrattamenti, stupri e lavori forzati)».
Il dissequestro della nave spagnola è vista come una vittoria. «Il ritorno in mare di Proactiva sarà fondamentale per salvare vite nel Mediterraneo centrale, è stato ad esempio il commento di Sos Mediterranee.
da il manifesto