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Chiaiano, tolleranza zero

Incendio, violenza o minaccia a pubblico ufficiale, interruzione di pubblico servizio, furto sono le accuse mosse ieri dalla procura di Napoli a cinque protagonisti delle proteste contro l’apertura della discarica di Chiaiano del maggio 2008. Si sono mossi gli uomini della Digos per irrompere di mattina molto presto nelle case di tre attivisti del centro sociale Insurgencia e in quella di due ragazzi residenti nella zona dello sversatoio, per uno di loro gli arresti domiciliari e per altri quattro l’obbligo di firma. L’impianto accusatorio è di quelli a tinte forti: incendi, esplosione di ordigni con la partecipazione di frange del tifo organizzato e di pregiudicati. «Gli indagati – riferiscono fonti di polizia – sono coinvolti in numerose altre indagini e gravati da pregiudizi penali».
Un dispiegamento di forze che arriva dopo due anni. «In due anni 15 processi con accuse assurde e tutte da provare, oltre 40 le persone rinviate a giudizio a vario titolo, una schedatura di massa con richieste a comparire in questura senza fondamento giuridico, che si è arrestata grazie all’intervento degli avvocati» ricorda Antonio Musella, portavoce di Insurgencia, che prova a raccontare un’altra storia, quella di un presidio capace di fare esposti in procura contro gli sversamenti abusivi di rifiuti, di smascherare l’occultamento dell’amianto mai bonificato e lo smaltimento illegale di rifiuti speciali.
«I fatti contestati – spiega Antonio – riguardano il presunto danneggiamento di un autobus avvenuto durante le violentissime cariche della polizia del 23 maggio 2008. Furono feriti dai manganelli decine e decine di cittadini che protestavano a mani alzate contro l’avanzata della polizia. Lo stesso Romolo Sticchi, giornalista del Tg3, fu manganellato e gli fu distrutta la telecamera». Stesso clima il giorno successivo, le successive cariche provocarono la caduta di due ragazzi da un muretto, un volo di oltre dieci metri che provocò loro la rottura di entrambe le gambe. Picchiate anche una donna anziana trascinata via di peso, anche la nipote adolescente che mangiava un gelato, finita in ospedale con la frattura del braccio. L’esercito schierato, gli elicotteri e la zona militarizzata. Berlusconi con il consiglio dei ministri a Napoli ogni due settimane per varare le leggi speciali, mentre Bertolaso sfoggiava il piglio decisionista. Prima degli scandali che hanno investito la protezione civile, le sanzioni della comunità europea e i rifiuti che riappaiono in Campania da sotto il tappeto.
Tra gli attivisti da isolare a tutti i costi, secondo la procura, Egidio Giordano, Davide Brignola e Pietro Spaccaforno, quest’ultimo il più temuto con l’obbligo di firma quotidiano. Cosa lo rende così pericoloso? «Il sei maggio facemmo un blocco stradale – racconta – una signora ci diede una vecchia auto che non usava più. Mi hanno accusato di furto e processato per direttissima e hanno minacciato la signora di accusarla di complicità. Il 23, poi, ero pericolosamente armato con un megafono, ero 10 metri dietro le donne sedute a terra e dicevo loro di non alzarsi, di non lanciare nulla. Mi presero e trascinarono nella camionetta. Mi lasciarono libero solo la sera alle 21, accusandomi di aggressione, lesione e resistenza. Impossibile che fossi fuori a mettere bombe esplosive, come sostengono loro». Accanimento evidente anche per Egidio, arrestato a L’Aquila dalla Digos locale su delega della procura di Torino per l’inchiesta sugli scontri nel capoluogo piemontese precedenti il G8 abruzzese. «Aveva appena smesso di andare a firmare e gli ricomunicarono la stessa misura» commenta ironico Pietro. Il presidio però non disarma: ieri hanno occupato l’ottava municipalità con lo slogan «giù le mani dai nostri figli».

Adriana Pollice da il manifesto