Menu

Roma: orto autogestito da migranti a rischio sgombero

Per chi conosce un po’ le periferie romane, la Valle dell’Aniene sembra appartenere ad un altro mondo. Pochi chilometri, e ci si ritrova in mezzo ad ampi spazi di terra ad uso agricolo lasciata andare, tenuta in condizioni di assoluta inutilità in attesa che qualche manovrina palazzinara la trasformi in area edificabile. Solita storia insomma, speculazione edilizia che uccide il verde. Una volta, fino agli anni Sessanta, aree come queste venivano curate da cittadini romani. Erano gli “orti di guerra” che davano da mangiare prodotti freschi e permettevano, soprattutto alle persone anziane, di mantenere viva una cultura in cui il seminare e raccogliere, il tenere animali da cortile, erano parte essenziale di un rapporto diverso con la natura. Ad ascoltarle oggi, queste testimonianze narrano di un tempo mitico in cui le verdure, le uova, avevano sapori genuini, c’era l’orgoglio della produzione in piccola scala, erano prodotti che ora a pieno titolo definiremmo biologici ma allora neanche si utilizzava il termine.
Un anno fa, per l’esattezza lo scorso febbraio, un gruppo “misto”, di immigrati e di autoctoni, ebbe l’idea semplice e geniale di sperimentare oggi questa forma (antica) di autorecupero: presero possesso di uno di questi terreni, in Via Tor Cervara 200, a due passi dalla consolare Tiburtina, e iniziarono a produrre derrate alimentari. Verdure, tante, e poi allevamento: oltre 300 fra polli, conigli, anatre e pecore. Il terreno, bonificato, pulito e arato, è stato diviso in piccoli lotti e sono state costruite 5 recinzioni per gli animali. Agli animali viene dato come cibo lo scarto delle verdure, la produzione è rigorosamente biologica e rispetta il ciclo delle stagioni, i risultati sono venuti rapidamente. Ormai decine di famiglie hanno i prodotti di questa terra come elemento base dal punto di vista nutrizionale, hanno trovato occasione di lavoro e affrontano, grazie ai prodotti della terra, il disagio della crisi economica. I mesi di marzo e aprile saranno centrali per la seminatura, soprattutto per le piante odorose da vaso utili in cucina e le spezie… ma i tempi della natura rischiano di bloccarsi per colpa dei tempi della politica.
Il 2 febbraio, infatti, circa 80 agenti si sono presentati all’alba per sgomberare l’insediamento e solo una lunga trattativa ha impedito che un anno di lavoro andasse in fumo. Ora si sta aprendo un tavolo di discussione, dalla Regione e dalla Provincia arrivano segnali incoraggianti, ma ancora si attendono risposte concrete che garantiscano il proseguimento dell’esperienza. Nel frattempo, da oggi, i protagonisti hanno deciso un’accelerazione del progetto, con l’inaugurazione di una “Scuola di Pratiche Sostenibili”. Si è costituita una associazione, “Dhaka Zila” (distretto di Dacca), che organizza un vero e proprio corso di coltivazione e semina, rivolto a bambini e adulti principianti che intendono imparare a coltivare l’orto e insieme vogliono conoscere il patrimonio naturalistico romano. Appuntamento alle 11 (ci si arriva con la metro B fermata Rebibbia e poi autobus 447 0 437), per una dimostrazione tecnico pratica di semina degli ortaggi. Alle 12 l’incontro “L’uovo non è prodotto in fabbrica, viva gli animali”, organizzato dall’associazione Dhumcatu. Alle 13 un pranzo “etnico” gratuito e nel pomeriggio una visita guidata alla riserva.
A lavorare stabilmente nel terreno sono un piccolo gruppo di cittadini asiatici (Bangladesh, India e Pakistan) e alcuni italiani, persone rimaste senza lavoro che stanno cercando di costruirsi un futuro e contemporaneamente mettono in campo conoscenze antiche trasformando in pratica quotidiana un rapporto migliore con l’ambiente. La fattoria è in crescita, pochi giorni fa è anche nato un agnellino e i lavoratori lo hanno preso come un buon auspicio: la nascita come speranza concreta. Le decisioni ora tornano ai tavoli politici, il presidente del V municipio ha inviato una richiesta a Regione, Provincia e Comune, affinché si discuta istituzionalmente di come non interrompere una esperienza positiva ed inclusiva. Tempi burocratici permettendo, prima o poi si dovrà decidere se lasciare all’incuria o peggio ancora a nuove colate di cemento questa terra fino a ieri incolta. O se invece accettare l’idea che da un piccolo gruppo di agricoltori possa nascere una esperienza da salvaguardare, anzi magari da esportare in altre aree abbandonate, non solo della capitale.

Stefano Galieni