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Vincenzo Sapia, un’altra morte poco «accidentale»

A processo i tre carabinieri che lo immobilizzarono durante un Tso. Prossima udienza, il 5 giugno

Aveva 30 anni, Vincenzo Sapia, pesava 130 chili, era in cura da tempo al Centro di Igiene mentale di Rossano Calabro. Era affetto da disturbi schizo-affettivi. Periodicamente soffriva di allucinazioni, manie di persecuzione e deliri, prima dell’insorgere della fase depressiva. Il 24 maggio del 2014 stava cercando di forzare una porta nel centro di Mirto Crosia, l’antica Krusion, ai piedi della vallata dell’antico Traes, teatro nel 510 a.C. della battaglia decisiva nella guerra tra Crotone e Sibari. In questo territorio mitologico, affastellato tra mare e colline, si è dipanata la dolorosa esistenza di Vincenzo Sapia.

Sempre a spasso con il suo cane, credeva, in quella notte di fine maggio, che dentro quella casa ci fosse proprio il suo cane. Sapia voleva riprenderselo. Intervennero i carabinieri che gli chiesero i documenti. Lui prese a spogliarsi di fronte ai militari per dimostrare che ne fosse sprovvisto. Scoppiò una colluttazione, pare che Sapia, preso dal panico, abbia messo a segno un paio di cazzotti per poi essere bloccato. Venne preso per il collo, avvinghiato da dietro. Anche il sindaco del paese, passato di lì, a un certo punto provò a calmarlo, così è scritto nell’ordinanza di allora.

Ma il ragazzo riuscì a scappare. Pochi metri e la sua corsa ebbe fine sull’asfalto per via dello sgambetto di un terzo carabiniere. Fu trattenuto per il collo e per i capelli, bloccato dal torace e dalle gambe. Prima un ginocchio e poi un piede sulla schiena. Riuscirono anche ad ammanettarlo solo per una mano. A quel punto Sapia non faceva più resistenza, venne allertato invano il 118. Un medico che passava per caso dichiarava il decesso di Vincenzo Sapia.

I magistrati inquirenti, al termine delle indagini preliminari, metteranno nero su bianco che la morte sarebbe stata determinata «da alterazioni elettriche al cuore in un soggetto con il cuore messo male da coronosclerosi, coagulopatia, ipertrofia cardiaca, trombosi coronarica e minato dagli psicofarmaci». Tutto ciò per escludere l’asfissia da manovre violente. Insomma, un infarto, una morte improvvisa con relativa richiesta di archiviazione.

Ma la gip di Castrovillari, Letizia Benigno, non si adeguò alla richiesta del pm: i carabinieri non rispettarono le regole nel trattamento di una persona in stato di disagio psichico. «Diversi sono gli aspetti meritevoli di approfondimento che non consentono un pacificante accoglimento della richiesta di archiviazione». C’era da chiarire se l’azione fosse avvenuta secondo quei protocolli operativi che prevedono comportamenti prudenziali nei casi di arresto e fermo di persone in condizioni di disagio psichico.

Tra le regole di ingaggio quella di «evitare di invadere lo spazio della persona in stato di agitazione mantenendosi a una distanza utile, stabilire un dialogo, dimostrare di comprendere lo stato d’animo dell’interlocutore, evitando di ingenerare sensi di colpa». Ancora: «Evitare l’immobilizzazione a terra e in posizione prona, trattenerlo possibilmente in piedi; sia l’arresto che l’eventuale ricovero dovranno avvenire in posizione seduta o sdraiata su un fianco evitando in ogni caso posture che comportino qualsiasi forma di compressione toracica».

I tre carabinieri indagati furono, così, rinviati a giudizio e il processo è in corso a Castrovillari da un anno. Prossima udienza il 5 giugno. La famiglia Sapia, con la battagliera sorella di Vincenzo, Caterina, si è affidata agli avvocati Fabio Anselmo e Alessandra Pisa, legali di Ferrara che seguono parecchi casi simili. «Abbiamo fiducia nell’operato della magistratura. Ci aspettiamo chiarezza e giustizia per nostro fratello», spiega Caterina Sapia. Cucchi, Budroni, Magherini, Aldrovandi, vicende che in Italia hanno acceso i riflettori dell’opinione pubblica verso gli abusi in divisa.

Drammi come quello di Andrea Soldi, anch’egli sofferente di problemi psichici, per la cui morte avvenuta durante un Trattamento sanitario obbligatorio due giorni fa sono stati condannati in primo grado i tre vigili urbani e lo psichiatra che lo immobilizzarono, testimoniano tutta l’inadeguatezza degli agenti chiamati ad intervenire. Soggetti spesso privi di formazione, preparati solo ad un uso della forza che in alcuni casi può sfociare in tragedia.

Claudio Dionesalvi, Silvio Messinetti

da il manifesto