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Omicidio Verbano, distrutti i reperti che avrebbero riaperto il caso

Nel settembre di due anni fa, all’inizio delle ricerche per la mia tesi su Valerio Verbano, esistevano a Piazzale Clodio due faldoni distinti. Uno sul processo contro di lui del 20 aprile 1979 e l’altro riguardante l’omicidio di Valerio del 22 febbraio 1980. Del primo ho ricevuto copia integrale, però senza alcuni documenti e fotografie sequestrate dalla Digos il giorno del suo arresto. Del materiale sull’istruttoria per l’omicidio contro ignoti, venni informato dalla segreteria della Presidenza del Tribunale, dopo oltre un mese di attesa, che era mancante del “faldone portante”. A un mese dalla misteriosa sparizione, con la madre di Verbano, abbiamo informato la stampa e il giorno stesso Il Velino ha scritto che il faldone era stato prontamente ritrovato da un carabiniere in un archivio separato della Procura. Questa notizia era falsa.
Due settimane dopo l’Ansa riportava invece che il faldone era stato ritrovato «fuori posto» vicino al suo luogo naturale: il vecchio archivio del giudice istruttore (…) All’interno del faldone non si trovava però il “dossier Verbano”, l’ingente materiale sequestrato in casa Verbano dalla Digos e nessuno ha saputo darmene spiegazione. (…)Il 26 febbraio 1980, quattro giorni dopo l’omicidio, i legali della famiglia informarono l’opinione pubblica che la documentazione era sparita dall’ufficio corpi di reato. Due giorni dopo la documentazione, sotto forma di fotocopia, fu consegnata dalla Digos di Roma al Giudice D’Angelo, che ne fornì una copia al collega Mario Amato che stava indagando sull’estrema destra, prima di essere assassinato dai Nar il 26 giugno 1980. Nell’ottobre 1980 D’Angelo rifiutò di consegnare una copia di quella documentazione ai legali della famiglia Verbano. Nel 1984 la Corte d’Appello di Roma ordina la distruzione del reperto come “prova non più interessante ai fini processuali”. A oggi, l’ufficio corpi di reato non mi ha fornito alcuna prova di quella distruzione. (…)
Il 20 aprile ’79 Valerio e quattro suoi amici vengono arrestati in un cascinale abbandonato nella Borgata Fidene. Fra l’altro, in casa Verbano, furono sequestrati una rubrica marrone, «contenente – dice il verbale – un elenco di nomi principiante con “A. Sergio e terminante con Z. Salvatore con stampigliato simbolo raffigurante la falce, il martello e un fucile» – e altri due quaderni con elenchi di persone e ritagli di giornale. Poi altri 26 liste di persone, l’agenda di Valerio del ’77. Il verbale parla anche di «Consegne di pattuglie di Polizia Stradale, ricostituiti, parzialmente, fra vari frammenti costituiti da 6 fogli interi e 8 frammenti, altri quattro fogli di varia dimensione contenenti nomi e indirizzi;dodici fotocopie di scritti a mano su carta quadrettata; tre fogli di nomi scritta a macchina, altri sei a quadretti manoscritti, quattro fogli con indirizzi vari, un opuscolo di 48 pagine, «cominciante con “Martedì 4 Novembre” e terminante con “….che non hanno uguali”»; e tre foto di «appartenenti a forze dell’ordine». (…)
L’8 marzo 1980 una telefonata anonima in questura afferma che Walter Sordi, arrestato 9 giorni prima per il lancio di molotov contro “Paese Sera”, è implicato nel delitto Verbano. Ma Sordi, pentito, attribuirà la responsabilità dell’omicidio ai fratelli Bracci a Massimo Carminati, anche loro terroristi dei Nar e in affari stretti con la Banda della Magliana. Nel settembre 1980 la vicenda del dossier torna prepotentemente sui giornali mentre si svolgono le indagini sulla strage di Bologna che portano all’arresto di decine di estremisti di destra in tutta Italia. Si sostiene un legame fra la morte di Verbano, quella del giudice Amato e la strage di Bologna. 1981: la pentita neofascista Laura Lauricella fa indagare Egidio Giuliani (Nar) e Roberto Nistri (Terza posizione). Ma entrambi negheranno. Ma le dichiarazioni dei pentiti non saranno comprovate da fatti. Dopo nove anni la lunga istruttoria non riesce a trasformarsi in un processo. (…) Per il rotolo di nastro adesivo usato per immobilizzare i coniugi Verbano, il guinzaglio, il passamontagna e il berretto di lana degli assassini, unitamente al negativo della pellicola estratta dalla macchina fotografica di Valerio, viene ordinata la distruzione. La distruzione di questi corpi di reato impedisce di fatto qualsiasi altra indagine scientifica successiva. Oggi che l’analisi del dna è possibile anche da campioni minimi di materiale biologico, sarebbe stato possibile riaprire il caso a partire proprio da quelle prove distrutte.
Ad oggi nessun magistrato sta indagando per scoprire questa verità.
Marco Capoccetti Boccia da Liberazione