Testimonianze No Tav: Mi colpivano selvaggiamente testa e gambe
- febbraio 20, 2010
- in lotte sociali
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«E’ volata qualche palla di neve e qualche gavettone peno d’acqua contro i poliziotti schierati a difesa della trivella. Erano le otto di sera e non eravamo molto lontani dalla zona del cantiere. Non ho visto lanciare nessuna pietra né bastoni. Quando andiamo a manifestare facciamo rumore e basta. Alcune volte abbiamo anche parlato con i poliziotti spiegando le nostre ragioni, tranquillamente. Ma due sere fa non è andata così. Li abbiamo sentiti urlare inferociti che ci avrebbero preso. Erano molto minacciosi, frasi terribili. Ci siamo spaventati. E’ partita una carica e tutti siamo scappati per i campi. Io ho perso mio marito perché ad un certo punto i lacrimogeni sparati ad altezza uomo ci hanno fatto perdere l’orientamento. Sono scivolata nella neve. E’ stata la mia fine. Mi sono volati addosso almeno in tre. Era tutto buio ed ho capito che era da sola. Mi colpivano in testa e sulle gambe, ma soprattutto al volto. Selvaggiamente. A un certo punto hanno smesso come se avessero capito che ormai ero solo più un mucchio di carne ed ossa rotte». Questa è la testimonianza di Marinella Ala, quarantuno anni, sposata. Dopo il pestaggio il suo volto era una maschera di sangue. Le hanno sfondato il setto nasale con infossamento dello stesso, l’osso della guancia è rotto scompostamente, il margine orbitario dell’occhio sinistro è fratturato. Ha riportato anche un trauma cranico. Una donna tranquilla, così lontana dal comodo stereotipo dell’anarco insurrezionalista che piace tanto ai media della religione Pro Tav.
Simone Pettinati, venticinque anni, invece non può rilasciare dichiarazioni. Secondo testimonianze di chi era presente anche lui una volta caduto a terra è stato colpito ripetutamente dai militari che gli sono arrivati addosso. Le sue condizioni restano gravi: ha un ematoma cerebrale post-traumatico e attualmente si trova in prognosi riservata all’ospedale Molinette di Torino. Se la caverà. I soldati a difesa della trivella posta in località Traduerivi, che sostengono di aver avuto anch’essi un numero elevato di feriti, sostengono che vi sarebbe stato un fitto lancio di oggetti contundenti ed un tentativo di sfondamento da parte dei manifestanti. Alberto Perino, leader della protesta smentisce categoricamente: «E’ una menzogna, possiamo testimoniarlo in centinaia. Non è volato nessun bastone, né pietra. Non avrebbe senso farlo. Purtroppo qualcuno deve inventarsi delle scuse per salvare una situazione vergognosa».
Il dialogo, il percorso condiviso, la partecipazione attiva e tutti gli altri buoni propositi sbandierati in sede di Osservatorio tecnico si confermano come le panzane che sono sempre state. La Tav si sta imponendo ad un territorio manu militari. L’opposizione, anche in virtù di queste scelte, è sempre più inferocita e viene da domandarsi come l’Unione Europea possa concedere seicento e passa milioni di euro in una situazione simile dove i valligiani fanno manifestazioni di massa e sono anche disposti ad essere brutalmente picchiati. E’ un clima pesante quello che si respira nelle case della valle. Pesante ma non lamentoso perché in questi trenta chilometri fatti di tenacia e dignità tutti sanno che il partito trasversale degli affari non avrà nessuna esitazione. E i fatti raccontano che dopo la violenza di ieri sera tutta la popolazione si è mossa. Bloccate per tre ore tutte le vie di comunicazione. E non sono quattro ragazzi quelli che operano così. Chi non comprende questa realtà non ha percezione di cosa sia questo territorio. Sull’autostrada, a bloccare una colonna di blindati alle undici di sera c’erano tremila persone comuni. Inferocite. Uomini e donne come Marinella. Chi continua a vivere nel comodo stereotipo del black block, dell’anarco insurrezioanalista, dell’antagonismo italiano tutto raggruppato in val Susa, lavora alacremente per non piantare nemmeno un chiodo in questa valle. Ed ora che sta scorrendo il sangue la situazione non potrà che peggiorare. Ogni manganellata fisica o mediatica che reprime o ridicolizza la protesta non fa che rafforzarla. In queste ore si stanno moltiplicando le assemblee in ogni comune, sindaci e istituzioni locali meditano se tornare tra la propria gente con le fasce tricolori indossate. La rabbia sta portando molte persone alla ricerca di manifestazioni pacifiche ma clamorose, su scala nazionale, non più il blocco dell’autostrada o della ferrovia.
Paolo Ferrero, segretario dell’unico partito che sulla vicenda ha una posizione precisa ha dichiarato: «La militarizzazione del territorio e questa repressione del dissenso sono inaccettabili. Io vedo un disegno politico da parte del governo, volto ad un aumento del cima di tensione volto ad avvelenare il clima per riuscire ad imporre l’opera».
Mai come oggi la Tav in val Susa, l’affare degli affari, la madre di tutti gli appalti, è stata così lontana.
Simone Pettinati, venticinque anni, invece non può rilasciare dichiarazioni. Secondo testimonianze di chi era presente anche lui una volta caduto a terra è stato colpito ripetutamente dai militari che gli sono arrivati addosso. Le sue condizioni restano gravi: ha un ematoma cerebrale post-traumatico e attualmente si trova in prognosi riservata all’ospedale Molinette di Torino. Se la caverà. I soldati a difesa della trivella posta in località Traduerivi, che sostengono di aver avuto anch’essi un numero elevato di feriti, sostengono che vi sarebbe stato un fitto lancio di oggetti contundenti ed un tentativo di sfondamento da parte dei manifestanti. Alberto Perino, leader della protesta smentisce categoricamente: «E’ una menzogna, possiamo testimoniarlo in centinaia. Non è volato nessun bastone, né pietra. Non avrebbe senso farlo. Purtroppo qualcuno deve inventarsi delle scuse per salvare una situazione vergognosa».
Il dialogo, il percorso condiviso, la partecipazione attiva e tutti gli altri buoni propositi sbandierati in sede di Osservatorio tecnico si confermano come le panzane che sono sempre state. La Tav si sta imponendo ad un territorio manu militari. L’opposizione, anche in virtù di queste scelte, è sempre più inferocita e viene da domandarsi come l’Unione Europea possa concedere seicento e passa milioni di euro in una situazione simile dove i valligiani fanno manifestazioni di massa e sono anche disposti ad essere brutalmente picchiati. E’ un clima pesante quello che si respira nelle case della valle. Pesante ma non lamentoso perché in questi trenta chilometri fatti di tenacia e dignità tutti sanno che il partito trasversale degli affari non avrà nessuna esitazione. E i fatti raccontano che dopo la violenza di ieri sera tutta la popolazione si è mossa. Bloccate per tre ore tutte le vie di comunicazione. E non sono quattro ragazzi quelli che operano così. Chi non comprende questa realtà non ha percezione di cosa sia questo territorio. Sull’autostrada, a bloccare una colonna di blindati alle undici di sera c’erano tremila persone comuni. Inferocite. Uomini e donne come Marinella. Chi continua a vivere nel comodo stereotipo del black block, dell’anarco insurrezioanalista, dell’antagonismo italiano tutto raggruppato in val Susa, lavora alacremente per non piantare nemmeno un chiodo in questa valle. Ed ora che sta scorrendo il sangue la situazione non potrà che peggiorare. Ogni manganellata fisica o mediatica che reprime o ridicolizza la protesta non fa che rafforzarla. In queste ore si stanno moltiplicando le assemblee in ogni comune, sindaci e istituzioni locali meditano se tornare tra la propria gente con le fasce tricolori indossate. La rabbia sta portando molte persone alla ricerca di manifestazioni pacifiche ma clamorose, su scala nazionale, non più il blocco dell’autostrada o della ferrovia.
Paolo Ferrero, segretario dell’unico partito che sulla vicenda ha una posizione precisa ha dichiarato: «La militarizzazione del territorio e questa repressione del dissenso sono inaccettabili. Io vedo un disegno politico da parte del governo, volto ad un aumento del cima di tensione volto ad avvelenare il clima per riuscire ad imporre l’opera».
Mai come oggi la Tav in val Susa, l’affare degli affari, la madre di tutti gli appalti, è stata così lontana.
fonte: liberazione
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