Menu

Ilaria Cucchi: «Perché vale così poco la vita di un arrestato?»

Sono Ilaria, la sorella di Stefano Cucchi.
Ho letto con attenzione la relazione dell’inchiesta amministrativa del Dap sul decesso di mio fratello dagli esiti sconcertanti.
Da sorella, madre, cittadina di mi pongo queste domande che ritengo di condividere con Voi. (…)
Mi sconcerta quello che dice un agente: «Mi limitavo a chiedere informazioni anche perché non è facile lavorare con le altre forze di polizia». Lo stesso agente specifica: «Questo significa che non intendevo approfondire la natura delle lesioni che constatavo perché l’arrestato era nella diretta responsabilità dei colleghi»; e poi ancora: «Assumevo atteggiamento differente solo quando ritenevo che con la consegna dell’arrestato dovevo tutelarmi per eventuali questioni che potevano insorgere».(…) Cosa significa che “non è facile lavorare con le altre forze dell’ordine”? (…)
Perché vale così poco lo stato di salute di un arrestato?
Perché valeva così poco lo stato di salute di mio fratello?
Ho letto nelle testimonianze degli agenti sentiti tutta l’indifferenza e la superficialità rispetto alla sofferenza che mio fratello manifestava mentre era in Tribunale e al successivo ingresso in carcere (…).
Mio fratello Stefano è arrivato ad affermare di fronte a due agenti che lo hanno condotto in ospedale che «i tutori dello Stato gli avevano fatto questo», intendendo le lesioni che aveva riportato, e ha aggiunto che «non ce l’aveva con loro, ma che voleva parlare con il suo avvocato e avrebbe messo tutto in chiaro». Sapete cosa ha fatto uno dei due agenti? «Da quel momento non ho più parlato con il Cucchi, ho preso le distanze pensando che ognuno doveva rimanere al suo posto».
Perché, poi, tanti agenti sentono mio fratello fare riferimento al “suo avvocato” con cui voleva assolutamente parlare, ma alla fine a Stefano viene assegnato un difensore d’ufficio?
Guarda caso nel verbale con cui mio fratello è stato consegnato dai Carabinieri alla Polizia Penitenziaria, firmato alle ore 13.30 del 16 ottobre, si indica come avvocato, anche se d’ufficio e non di fiducia, l’Avv. Stefano Maranella che all’epoca era effettivamente il legale della nostra famiglia: perché se Stefano aveva esattamente indicato il nome dell’avvocato da cui voleva essere assistito non è mai risultata questa nomina di fiducia? Perché nessuno durante il suo ricovero al Pertini ha fatto in modo che Stefano riuscisse a parlare con il suo difensore?
Perché valevano così poco le esigenze, le volontà e i diritti di mio fratello? Forse perché era un tossicodipendente?
Altre cose emerse dalla relazione mi lasciano sconvolta.
Perché durante la notte trascorsa nelle celle di sicurezza di Tor Sapienza, quando poco dopo le 5 è stata chiamata l’ambulanza, i Carabinieri non chiariscono i motivi della richiesta del soccorso sanitario né i sanitari chiedono spiegazioni ai Carabinieri, accontentandosi del riferimento ad un generico “lamentarsi” di Stefano?
È normale che una cella di sicurezza, oltre ad essere di ridottissime dimensioni tali da entrarvi solo uno alla volta come riferito dai sanitari, sia anche al buio, illuminata solo dalla luce del corridoio?
E poi il trattamento al Pertini.
La relazione delinea un quadro incredibile; ben otto i rimproveri del Dap (…). Perché ben quattro medici del Pertini, convocati a rendere dichiarazioni nell’ambito dell’inchiesta del Dap, non si sono nemmeno presentati? (…) Non posso non manifestare tutta la mia indignazione perché la dannata “normalità” delle lesioni sulle persone arrestate, la dannata “normalità” di non interessarsi a tali lesioni finché non diventa “affar proprio”, la dannata “normalità” del disagio di una persona tossicodipendente in stato di restrizione, è una “normalità” che, quando viene percepita sistematicamente come tale, porta inevitabilmente ad una disumana, indegna e degradante indifferenza da parte di chi opera con le persone in stato di restrizione.
Un’ indifferenza che uccide.(…) E allora, da sorella, madre e cittadina, Vi chiedo di intervenire affinché questa “normalità” non venga più tollerata, affinché non venga dimenticato ciò che è successo a mio fratello e affinché non si aspetti nell’inerzia la prossima morte indegna che una famiglia distrutta sarà costretta ad urlare a tutto il Paese.

Ilaria Cucchi