Umiliazioni, abusi pestaggi e torture: benvenuti nell’inferno delle carceri libiche
Il rapporto di Human Right Watch. Nel penitenziario di Ain Zara i detenuti vengono regolarmente bastonati, privati del cibo e lasciati sul pavimento per giorni
Bastonate, frustate e calci di fucile come benvenuto. Tutto ciò i primi giorni di prigione, prima che i colpevoli siano trasferiti nella prigioni libiche come quella di Ain Zara. Dopodiché inizia il vero incubo. Secondo un rapporto di Human Rights Watch che si è occupato di «detenzioni arbitrarie prolungate e casi di tortura nelle carceri gestite da Tripoli nell’ovest della Libia», diversi detenuti avevano denunciato di avere subito dei trattamenti equivalenti alla tortura – malmenati con tubi di plastica, cavi elettrici, bastoni e a mani nude -, altri ancora hanno affermato di essere stati appesi al soffitto per ore o di essere stati tenuti in celle di isolamento per diverso tempo.
Ma è il documento dell’Onu a fare una panoramica impietosa del sistema penitenziario libico. Si stima che a partire da ottobre 2017 circa 6.500 persone siano detenute in carceri ufficiali supervisionate dalla Polizia Giudiziaria del Ministero della Giustizia. Non ci sono, invece, statistiche disponibili per strutture nominalmente sotto i Ministeri dell’Interno e della Difesa, né per quelle gestite direttamente dalle altre milizie. «Queste strutture sono note per torture endemiche e altre violazioni o abusi dei diritti umani», afferma il rapporto. Ad esempio, la struttura di detenzione della base aerea di Mitiga, a Tripoli, ospita circa 2.600 tra uomini, donne e bambini, la maggior parte senza possibilità di avere contati con le autorità giudiziarie. Nella prigione di Kuweifiya, il più grande centro di detenzione nella Libia orientale, si ritiene che sia detenute circa 1800 persone.
Nel Paese nordafricano, come se non bastasse, centinaia di corpi di individui presi e detenuti da gruppi armati sono stati scoperti nelle strade, in ospedali e discariche di rifiuti, molti avevano gli arti legati, segni di tortura e ferite da arma da fuoco. Nel carcere di Ain Zara, già nota ai tempi di Gheddafi per essere uno dei principali centri di tortura, una delegazione di Amnesty International ha scoperto che decine di detenuti erano stati picchiati e lasciati per giorni sul pavimento della prigione. Accadde che alcuni agenti penitenziari in tenuta militare entrano nel blocco 3B per fare una perquisizione. Hanno ordinato a un gruppo di detenuti di seguirli in un’altra ala del carcere. Li hanno poi obbligati a spogliarsi, tenendosi addosso solo le mutande, e iniziano a picchiarli con bastoni e tubi di gomma. Quando i detenuti hanno perso i sensi, li rianimano a secchiate d’acqua per poi ricominciare le torture. Dopo la mezzanotte, il pestaggio termina. Nelle successive 48 ore, i 20 detenuti sono rimasti lì, sul pavimento della cella.
Un carcere, quello di Ain Zara, oggi al centro della cronaca estera per essere evasi, in 400, e stanno scatenando il caos per le strade. Sono riusciti a scappare dopo una rivolta nel carcere che si trova nel sobborgo meridionale di Tripoli, teatro di violenti scontri tra milizie rivali, a causa dei quali il governo ha dichiarato lo stato d’emergenza. La maggior parte degli evasi sono detenuti comuni, ladri, assassini e sono dentro ben prima delle rivolte del 2011 che portarono alla capitolazione di Gheddafi. Questo accade in un Paese dove lo stato di diritto non esiste e le persone che hanno commesso dei reati, anche quelli più indicibili, non vengono riabilitati ma punite duramente. Se escono, come in questo caso, riversano la loro violenza sulle strade.
Damiano Aliprandi
da il dubbio