Sembra che il 2018 sia destinato a passare alla storia come l’anno della violenza razzista, delle aggressioni e della «caccia al nero». Ma c’è davvero un “allarme razzismo”?
Qualche giorno fa, dopo l’annuncio di Michelle Bachelet, Alto commissario Onu per i diritti umani (ne abbiamo parlato qui), di voler inviare un team in Italia per verificare le ragioni del picco di violenza razzista degli ultimi mesi, sembra che il problema sia solo una questione di dati, numeri e percentuali.
Su di una cosa dobbiamo convenire, per una volta, con il Ministro dell’Interno: in effetti, non c’è nessun “allarme” e nessuna “emergenza” razzismo. Ma non per le stesse ragioni da lui addotte. E vi spieghiamo perché.
La colpa non è certo della «immigrazione di massa permessa dalla sinistra negli ultimi anni». Né tanto meno possiamo affidarci soltanto ai numeri e alle statistiche ufficiali sulle violenze razziste sbandierate in ogni dove. «Le forze dell’ordine smentiscono che ci sia un allarme razzismo», dichiara il ministro dell’Interno. Secondo gli analisti della Polizia (vedi le recenti dichiarazioni del capo Gabrielli), più che di “emergenza”, si deve parlare di fenomeni “emulativi”. Quindi, è solo una questione di “percezioni” (termine sempre più abusato) o di “episodicità”? O vi è qualcosa di più profondo?
Nel Quarto libro bianco sul razzismo in Italia, ma anche nelle sue edizioni precedenti, scrivevamo che “il razzismo è qualcosa di ben più complesso, diffuso e debordante di un fenomeno misurabile e osservabile con i semplici numeri”. Non potremo mai sapere con certezza quanti sono i casi in cui offese, minacce e aggressioni razziste restano confinate all’esperienza subita dalla vittima, per timore, o quanti sono gli omicidi che “nascondono” un movente razzista.
Potremmo tornare con la memoria ai mesi scorsi, e ricordare quanto accaduto a Macerata, con la tentata stage messa in atto da Luca Traini, o Firenze, con l’omicidio di Idy Diene. Ma potrebbero bastare anche solo i casi di quest’estate. Da Nord a Sud. A Vibo Valentia, dove il sindacalista Soumaila Sacko viene ucciso mentre raccoglie delle lamiere in una fabbrica dismessa. A giugno, a Caserta, dei ragazzi sparano contro due immigrati maliani. A luglio, a Roma, una bambina Rom viene colpita alla schiena con un pallino di gomma. Mentre a Vicenza, un 40enne ferisce con un colpo di carabina un operaio africano al lavoro. Ad agosto, a Pistoia, sono dei ragazzi italiani a sparare un colpo su un giovane del Gambia che sta facendo jogging. A Partinico, a ferragosto sei minori stranieri non accompagnati vengono picchiati da un’intera famiglia. A Mortara, il 1 settembre tre uomini di circa 50 anni aggrediscono un giovane del Benin accusandolo di “non potersi permettere” il monopattino su cui andava. E non ultimo il pestaggio di Sassari di due giorni fa (ne abbiamo parlato qui).
Un fatto è certo.
In Italia, così come in altri paesi europei, le violenze e le discriminazioni razziste sono sempre più frequenti. Affermare che siano o meno in crescita rispetto al passato sulla base dei dati non è possibile per diversi motivi: a) i dati ufficiali disponibili non consentono un’analisi accurata e disaggregata per movente; b) i dati recenti sui reati di matrice razzista del Ministero della Giustizia continuano a non essere accessibili, c) ma soprattutto molte sono le violenze razziste che restano invisibili. Quello che è certo però, e i casi sopra ricordati lo esemplificano molto bene, è che nel 2018 vi è stata una frequenza inusuale di violenze razziste gravi. E questo dovrebbe bastare a riconoscere che nel nostro paese il razzismo c’è e assume forme sempre più violente che hanno conseguenze gravi sulle persone che lo subiscono.
Non sono dunque i numeri su cui dovrebbero concentrarsi i media e i vari commentatori, ma sul clima sociale, economico, politico e culturale che genera i mostri che vanno in giro a picchiare “neri”, rom, richiedenti asilo e rifugiati. Ed è un clima che non nasce oggi né è nato il 4 marzo.
Non è certo rimandando al mittente le “accuse” fatte dal Commissario Bachelet con discorsi (“Ragioneremo con gli alleati sull’utilità di continuare a dare questi 100 milioni di euro per finanziare sprechi, mangerie, ruberie per un organismo che vorrebbe venire a dare lezioni agli italiani e poi ha paesi che praticano tortura e pena di morte”, ha dichiarato il Ministro dell’Interno, ndr) che è possibile affrontare il problema con “misure” adeguate.
Il razzismo non è un’“emergenza”, è un fenomeno che ha profonde radici storiche nel nostro paese che qualcuno sembra aver dimenticato. Oggi assume forme più violente rispetto al passato.
Ma le vere emergenze sono la legittimazione istituzionale che ne viene data, l’uso che se ne fa nella retorica politica (sconfinando spesso nella vera e propria istigazione al razzismo) e il grande consenso che sembra trovare in una parte dell’opinione pubblica. Chi derubrica tutto questo citando le statistiche per minimizzare la gravità di quanto accade, ci inganna. E lo sa.