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Morto in carcere “ per infarto” ma la famiglia: «Era pieno di lividi»

Il trentottenne moldavo era detenuto a Terni. «aveva sangue che usciva dal naso, dalla bocca e dalle orecchie», ha raccontato un amico. La presidente della regione, Catiuscia Marini: «chiederò approfondimenti al garante dei detenuti»

È stato ritrovato senza vita nel carcere di Terni, ma i familiari non credono che si sia trattato di un infarto. Grazie ad alcuni dettagli pubblicati da Il Giornale, emergerebbero due fatti gravissimi: la denuncia di maltrattamenti e le cure mediche. Secondo quanto affermato dal quotidiano, il corpo dell’uomo sarebbe stato pieno di lividi e per questo la famiglia vuole vederci chiaro. Secondo i familiari, arrivati dalla Moldavia, la situazione era tranquilla quando sono andati a trovarlo in carcere. Il moldavo, 38enne, era stato arrestato a Milano, appena sceso dall’aereo che arrivava dal suo paese. «Aveva commesso un piccolo furto – ha detto un amico al quotidiano – e per questo era finito sotto processo. Lui non si presentò in aula e lasciò l’Italia e per questo fu condannato a un anno e otto mesi».

A Terni era arrivato dopo due mesi di carcere a Milano e lì sarebbero cominciati i problemi: fino ad essere trovato cadavere nella sua cella il mattino del 14 settembre 2018. Da sei mesi, da quando era in carcere a Terni, aveva cominciato a lamentare dei dolori alla pancia. Era stato visitato, ma i medici non avrebbero riscontrato nulla e gli avrebbero somministrato un farmaco che, almeno a detta dell’amico, gli avrebbe provocato maggior dolore. L’uomo si è sempre lamentato delle pessime condizioni carcerarie: diceva alla sorella che le galere italiane erano peggio di quelle africane. I soldi che chiedeva alla sorella, che vive a Londra, a lui non sarebbero mai arrivati.

Ancora ignote, invece, le cause del decesso. La famiglia ha chiesto di vedere il corpo e «all’inizio non volevano neanche farlo vedere ai genitori. Poi hanno cambiato idea. Era tutto pieno di lividi, con il sangue che usciva dal naso, dalla bocca e dalle orecchie. Non può essere stato un infarto», dice sempre l’amico. Sul caso interviene pubblicamente anche la presidente della Regione Umbria, Catiuscia Marini. «È stato pestato? Da chi? Oppure non ha ricevuto cure sanitarie? Chiederò al garante dei detenuti di approfondire e riferire alla Regione, intanto la Asl sta approfondendo la parte di sua competenza», ha scritto su Facebook. Se ci siano stati maltrattamenti è ancora tutto da verificare e presto si saprà di più, ma rimane l’allarme dal punto di vista sanitario. Il diritto alla salute sembra passare in secondo piano di fronte al sistema punitivo. Un altro caso, oltre a quello del carcere di Terni, riguarda Ciro Rigotti. Il detenuto sta morendo nel suo letto del reparto rianimazione all’ospedale Cardarelli: ha un tumore alla faccia e al cervello, che gli lascia poco tempo ancora da vivere. La malattia avrebbe presentato i primi sintomi quattro mesi fa, quando il 62enne, nella sua cella del carcere di Poggioreale ( dove deve scontare nove anni per droga) ha avvertito i primi dolori all’orecchio, con conseguenti perdite di sangue dal naso. Secondo Nunzia, sua figlia, non ci sono dubbi: gli avrebbero somministrato antidolorifici e tamponato la perdita con dell’ovatta. Ma il dimagrimento sempre più forte del padre ha portato la famiglia a chiedere una visita specialistica, che ha riscontrato un polipo nel naso a metà luglio. Purtroppo, però, la tac richiesta è stata fatta solo una settimana fa ed ora è troppo tardi.

Al fianco dei familiari, anche Pietro Ioia, presidente dell’associazione degli ex detenuti, che racconta come nel carcere di Poggioreale «quando scorre sangue a qualche detenuto», questo viene curato con «antidolorifici o la cosiddetta pillola di Padre Pio». E tutto ciò perché nel penitenziario napoletano «non ci sono medici specialistici per interventi celeri». La famiglia di Rigotti ha presentato un esposto alla Procura, che potrebbe aprire a breve un fascicolo per accertare eventuali responsabilità. Nel frattempo però Ciro Rigotti è ufficialmente detenuto e quindi, anche se è un malato terminale, non può ritornare a casa dove passare gli ultimi mesi circondato dall’affetto dei suoi cari. Di fatto è un detenuto, quindi i familiari possono vederlo solo di giovedì, così come accade in carcere per i colloqui.

Damiano Aliprandi

da il dubbio