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Perquisizione arbitraria: la Cedu condanna l’Italia

La Corte di Strasburgo non avuto dubbi sul fatto che la ricerca in questione costituisse “un’interferenza delle autorità pubbliche’ nel diritto alla riservatezza e che tale interferenza violasse la convenzione”. Il ricorso è stato proposto da un cittadino che aveva ricevuto la visita della guardia di finanza

Perquisizioni arbitrarie e prive di garanzie legislative per la persona coinvolta, per questo l’Italia ha ricevuto una condanna dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo. Una perquisizione effettuata in una fase iniziale di un’indagine penale deve comprendere garanzie adeguate e sufficienti per evitare che essa serva a fornire alle autorità d’inchiesta elementi compromettenti su persone che non sono ancora sospettate di aver commesso un reato. Questo è in sintesi ciò che dice la Cedu nei confronti del nostro Paese. Considerato l’articolo 8 della Convenzione, la Corte è arrivata a concludere che il diritto nazionale italiano non offre le sufficienti garanzie contro gli abusi e le arbitrarietà che possano essere realizzati con la perquisizione. Il motivo di ciò va cercato nel fatto che manchi quel ‘ controllo effettivo’, che dovrebbe essere previsto in uno Stato di Diritto.

Il caso concreto riguardava una perquisizione effettuata dalla Guardia di Finanza presso la casa di un cittadino italiano. Nei motivi del ricorso il cittadino ricorrente contestava che ci fosse stato un attacco ingiustificato al diritto di inviolabilità della sua casa e della vita privata, in quanto per verificare la sua situazione fiscale si sarebbe anche potuta evitare la perquisizione e procedere invece al anche con altri mezzi. Il tema interessante è che nella legislazione nazionale, in mancanza di sequestro, non è previsto un mezzo di impugnazione per far valere la tutela del diritto di inviolabilità della casa. Infatti, davanti alla Corte di Cassazione, veniva riconosciuta solo la possibilità di elevare sanzioni disciplinari nei confronti degli agenti di polizia – che avevano condotto le operazioni-, senza la possibilità di avanzare un ricorso ammissibile mancando la violazione in tema di libertà personale.

È l’art. 8 della Convenzione quello che riconosce che “ogni individuo ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, della sua casa e della sua corrispondenza”. Aggiunge al paragrafo 2 che «nell’esercizio di questo diritto vi sarà l’interferenza di un’autorità pubblica solo nella misura in cui tale interferenza è prevista dalla legge e costituisce una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, il benessere economico del paese, la difesa dell’ordine e la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della moralità o la protezione dei dicontrollo ritti e delle libertà di altri”. Proprio a partire dalla lettera di tali garanzie, il richiedente sostiene di aver subito un’ingiustificata ingerenza nel suo diritto al rispetto della propria casa, in quanto la Guardia di Finanza avrebbe potuto verificare la situazione fiscale consultando gli archivi telematici, anche riferendosi alla Germania dove viveva stabilmente pur essendo residente in Italia e al fatto che egli avesse messo a disposizione una persona di fiducia per agevolare la ricerca telematica e che il decreto di perquisizione fosse generico, aggravavano la contestazione. Nessun dubbio per la Corte che tali considerazioni fossero meritevoli di accoglimento, considerato che non vi fosse incertezza alcuna sul fatto che la ricerca in questione costituisse “un’interferenza delle autorità pubbliche’ nel diritto alla riservatezza e che tale interferenza violasse la Convenzione, non soddisfando i requisiti dell’art. 8 paragrafo 2, sopra richiamato.

La Corte ha stabilito che, con riguardo agli articoli 247 e seguenti del codice di procedura penale, mancassero le adeguate e sufficienti garanzie contro l’abuso e l’arbitrarietà, cioè quelle che includono anche il ‘ controllo effettivo’ delle misure intrusive. Interessante è la considerazione finale: «L’esistenza di una richiesta di un mandato sottoposta a controllo giurisdizionale, non deve necessariamente essere considerata come una garanzia sufficiente contro l’abuso». Del resto, nel caso di specie la ricerca non ha portato alla raccolta delle prove e il procedimento è stato archiviato dal giudice per le indagini preliminari, che a suo tempo non aveva esaminato la legalità o necessità del mandato di perquisizione richiesto.

Damiano Aliprandi

da il dubbio