Gli effetti letali del Decreto sicurezza, voluto da Salvini e votato dall’attuale maggioranza con poche e trascurabili eccezioni, sono stati ampiamente discussi e criticati da giuristi, associazioni laiche e cattoliche, per non parlare dei movimenti anti-razzisti.
In poche parole, l’abolizione della protezione umanitaria per richiedenti asilo, la restrizione della cittadinanza e l’eventuale revoca in caso di reati di terrorismo ed «eversione», per non parlare dell’aumento della detenzione sino a 6 mesi nei Cpr, avranno l’effetto di moltiplicare l’irregolarità dei migranti e richiedenti asilo. Insomma, di aumentare in modo parossistico l’incertezza e la disperazione della loro condizione.
SI PUÒ PENSARE quello che si vuole di Matteo Salvini, ma non che sia privo di un tipo elementare ed efficace di astuzia politica (diversamente da gran parte dei suoi alleati di governo). Salvini sa benissimo di non poter mantenere la promessa di espellere i «clandestini», sia perché l’iter è lungo e complesso anche dopo questa legge, sia perché non esistono accordi con gran parte dei paesi d’origine degli stranieri (a parte Nigeria, Egitto, Marocco e Tunisia), sia soprattutto per mancanza di quattrini.
Proprio come la grottesca promessa elettorale di Berlusconi (l’espulsione di 600 mila «clandestini»), gli obiettivi di Salvini e Di Maio sono pura propaganda, naturalmente sulla pelle di migranti e richiedenti asilo. Sta qui la doppia infamia del decreto, che da una parte rende ancora più drammatiche le condizioni di vita degli stranieri e, dall’altra, avvelena ulteriormente l’atmosfera politica e sociale del nostro paese.
L’astuzia di Salvini consiste precisamente nel dare concretezza drammatica al governo mediante la paura, che pure, da sempre, è attivo nella gestione della questione migratoria. Da questo punto di vista Minniti e, prima di lui, gli altri leader di centrosinistra e di destra, si sono rivelati dei dilettanti. Non c’è provvedimento salviniano e governativo che non miri a tener viva le paure del corpo sociale: dalla giustizia sommaria fai da te sino al rigetto della timida riforma delle carceri. Vivendo nella paura e nell’illusione di neutralizzarla con l’odio per stranieri, marginali e devianti, l’elettorato moderato, privo di informazioni e incapace di valutazioni equilibrate, sarà al seguito, finché durerà l’imbonimento nazional-populista, di questi leader spregiudicati.
È LA STESSA LOGICA di Bolsonaro e della sua crociata in Brasile contro la corruzione e di Donald Trump quando mobilita l’esercito contro poche migliaia di potenziali migranti che arrancano nelle strade del Messico. Ed è in fondo, con tutte le distinzioni del caso, la stessa logica paranoica, alimentata contro nemici interni ed esterni, dei movimenti fascisti tra e due guerre.
Ridotti allo stato di fuori legge sociali, gli stranieri sono oggetto inesauribile della propaganda fascistoide di Salvini e soci. Ecco l’ineffabile ministro, ormai padrone incontrastato del governo, accorrere con il suo armamentario di slogan razzisti là dove, come a Macerata o San Lorenzo, qualche straniero sia coinvolto in un fatto di cronaca nera. Senza che mai siano ricordate le donne italiane uccise in famiglia, o quelle straniere uccise nelle strade o le vittime di caporali, estremisti di destra o semplici idioti.
Ogni giorno, le cronache riportano episodi di xenofobia e razzismo, privi di eco nello strepito dominante della paura alimentata dall’alto.
PIÙ DI ALTRI PAESI occidentali, l’Italia si sta abituando a questo strabismo politico e morale. Non si tratta di un fenomeno estemporaneo. Solo ora si rivelano i frutti avvelenati della campagna di criminalizzazione delle Ong e l’accoglienza degli stranieri, una campagna a cui anche l’ultimo governo di centro-sinistra ha stoltamente partecipato. Quello che Minniti ha seminato, Salvini raccoglie.
Un fenomeno che non si annuncia temporaneo. Ideale per stornare la rabbia sociale dalle promesse non mantenute, dalla crisi finanziaria alle porte e dall’isolamento politico del paese, il governo attraverso la paura, che ha ispirato il decreto Salvini, è destinato a durare, fin quando la misteria politica e strategica di questa maggioranza non si rivelerà agli occhi dell’opinione pubblica. Si tratta di capire se una qualche sinistra sarà in grado o no di intervenire contro il disastro sociale che ne deriverà.
Alessandro Dal Lago
da il manifesto
VICENZA: I DISCENDENTI POLITICI DEI COLLABORAZIONISTI REPUBBLICHINI REVISIONANO LA STORIA
(Gianni Sartori)
Nel mio articolo in memoria di Sarà Gesses (la bambina ebrea di Padova, prima segregata nel campo di Vò Vecchio, transitata poi per la Risiera di San Sabba e infine assassinata all’arrivo nel campo di Auschwitz) avevo stigmatizzato quanto sta scritto – inciso – nella lapide di Villa Contarini Venier in memoria dei deportati ebrei che non fecero ritorno a casa, ossia un generico: “…durante l’occupazione tedesca…”.
Sostanzialmente un modo per stendere un velo poco pietoso sulle responsabilità dei fascisti e della polizia nostrani.
Ieri (10 novembre) la cosa si è ripetuta a Vicenza, città medaglia d’oro della Resistenza, ma da qualche mese sotto un’amministrazione di destra, tanto di destra.
L’eccidio dei “Dieci martiri” (1944) viene ricordato ogni anno proprio dove sorge il piccolo monumento costruito sul luogo della fucilazione. Vicino al ponte della ferrovia, tra i fiumi Bacchiglione e Retrone. Qualcuno che all’epoca era ragazzino mi ha raccontato con emozione di aver assistito al macabro rito. I dieci giovani, prelevati dal carcere di Padova (una “concessione” alle richieste del vescovo Carlo Zinato che aveva chiesto ai nazifascisti di non infierire ancora sui vicentini, già provati, per non esasperarli!), vennero trascinati a forza lungo i binari. Aveva potuto anche assistere ai vani tentativi di alcuni di loro per sottrarsi alla stretta degli aguzzini. E poi le grida, gli spari…il colpo di grazia e infine silenzio.
Tra i fucilati, anche alcuni sinti che si erano integrati nel movimento partigiano. Una triste pagina di storia vicentina, città e provincia che hanno pagato un forte tributo di sangue alla causa della Liberazione (Torquato Fraccon, Dino Carta, Toni Giuriolo, Chilesotti, Ismene Manea…e poi i martiri di Grancona, di malga Zonta, gli impiccati di Bassano…).
Bene. Anzi, male, molto male. Ieri i manifesti del Comune – per la prima volta – non riportavano la tradizionale dicitura “i nazifascisti fucilavano per rappresaglia” bensì una rilettura l’edulcorata dell’eccidio “compiuto dalle truppe di occupazione”.
Stesso stile – e medesima ipocrisia da “italiani brava gente”- della lapide di Vò Vecchio.
Non solo. Nel manifesto adottato dall’amministrazione comunale i valori “della Costituzione” hanno sostituito quelli “della Resistenza” delle precedenti versioni.
Il vicesindaco, Matteo Tosetto, presente alla cerimonia di ieri (obtorto collo, si presume) ha ribadito che la scelta dei termini non era casuale, ma una scelta precisa in quanto si voleva agire ” in ottica di memoria condivisa”.
Memoria condivisa tra vittime e aguzzini? No, grazie.
Danilo Andriollo, presidente dell’ANPI, ha voluto esprimere la sua disapprovazione per l’accaduto.
Soprattutto perché “introdurre queste modiche in un momento in cui il sindaco riceve Forza Nuova e il MIs e il presidente del consiglio comunale incontra Casa Pound, rappresenta un tentativo di revisionismo storico».
Gianni Sartori