Menu

Pestato e lasciato morire in cella. Chi si ricorda di Franco Serantini?

«Quando Franco è entrato nella stanza degli interrogatori si è subito rimesso a sedere. Stava molto male, ma in una maniera strana che mi ha fatto impressione». «L’ultima volta che ho visto Franco era pallidissimo e aveva gli occhi semichiusi». «Verso le 11 ci hanno spostato in uno stanzone e Franco si è messo subito a sedere. Mi sembrava che stesse molto male ed era bianco in faccia». Franco, è Franco Serantini, 20 anni, il ragazzo picchiato a sangue dai celerini il 4 maggio 1972 a Pisa, durante una manifestazione di protesta contro un comizio del Msi. Rileggo il libro – una emozionante, esemplare inchiesta giornalistica – che Corrado Staiano ha scritto in morte del ragazzo ( Il sovversivo. Vita e morte dell’anarchico Serantini , Einaudi, 1973) e le immagini si sovrappongono; sì, nel mutato contesto, compare e si staglia davanti agli occhi quel viso irrigidito e sfigurato dalla morte atroce, il viso di Stefano Cucchi. Di Federico Aldovrandi. Nomi diversi, storie diverse, uguale maledetto copione. Pisa, Lungarno Gambacorti, 4 maggio 1972, le cariche sono iniziate. Testimonianza di Moreno Papini. «…Nello stesso momento stavano arrivando celerini a piedi. Allora mi sono sporto dal davanzale della finestra e ho visto che stavano agguantando uno. Una quindicina di celerini gli sono saltati addosso e hanno cominciato a picchiarlo con una furia incredibile. Avevano fatto cerchio sopra di lui tanto che non si vedeva più, ma dai gesti dei celerini si capiva che dovevano colpirlo sia con le mani che coi piedi, sia con i calci dei fucili…». E questo il verbale stilato dall’allora commissario di Ps Giuseppe Pironomonte: «…Abbiamo proceduto all’arresto di Serantini Franco, perché resosi responsabile di manifestazione sediziosa, vilipendio alle forze di polizia ed altro. ll Serantini, infatti, durante una carica lanciava insulti ai tutori dell’ordine». Franco avrebbe gridato “porco” a un poliziotto: quindi, picchiato a morte. Così ridotto, lo sbattono in isolamento nella cella n. 7 del carcere cittadino che si chiama Don Bosco. Qui, Franco «passa trentadue ore di tremenda agonia. Quasi nessuno capisce che il piccolo ragazzo sardo, miope e ricciuto, sta morendo».Testimonianza di Giovanni Rondinelli. «La mattina di sabato sono stato trasferito nella cella di Franco. Quel ragazzo, che era figlio di NN come me, mi ha colpito molto, perché non rispondeva alle mie domande, non si muoveva neppure, non mangiava. Nel pomeriggio siamo andati in infermeria per la visita. Lo hanno sdraiato sul lettino e rispedito via quasi subito».Il registro dell’infermeria reca questa annotazione, firmata dal medico del carcere dottor Alberto Mammoliti: «Ecchimosi palpebra sinistra; numerose contusioni in parte escoriate al dorso, braccia ed arti inferiori; stato di shock; Simphatol Cortigen – borsa di ghiaccio in permanenza».Continua il racconto di Staiano. «Franco è sofferente, ha un violento mal di capo, è in stato di torpore…Ha una vistosa ecchimosi all’occhio sinistro che esclude un trauma diretto; ha una deformazione fronto-temporale sinistra del cranio…E’ evidente anche a un profano che ha la testa rotta o qualcosa di molto grave. Ma non risulta che gli sia stata misurata neppure la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, la temperatura, la reattività della pupilla alla luce: prove che avrebbero rivelato subito le drammatiche condizioni del detenuto. Ma il medico non ricovera Franco Serantini, non gli fa fare una radiografia, lo rimanda in cella; avrà entro sera la borsa del ghiaccio».Franco è completamente abbandonato, «si lamentava molto, ma né guardie né infermieri intervengono». Franco entra in coma. «Muore alle 9 45 del 7 maggio 1972».Il padre adottivo riceve la notizia solo il giorno dopo, «viene chiamato al telefono da una ispettrice di polizia: gli comunica che Serantini «è morto per schizofrenia» (del resto, il sottosegretario Giovanardi dice oggi che Stefano Cucchi l’ha ucciso la droga…). E alle 16,30 un funzionario del carcere si presenta al servizio civile del Comune, consegna una denuncia di morte e chiede l’autorizzazione a trasportare il cadavere. «Nel certificato, firmato dal dottor Mammoliti, si dichiara che la morte, violenta, ha una “causa accidentale”, la descrizione della lesione è “trauma cranico”, il mezzo col quale la lesione è stata procurata è definito “imprecisato”» (del resto, anche Stefano è caduto dalle scale…).Non è da meno anche il commissario di polizia Giuseppe Pironomonte, il quale, al sostituto procuratore Giovanni Sellaroli che lo interroga, “a domanda risponde”: «Non sono assolutamente in grado di fornire il benché minimo ragguaglio per l’identificazione degli agenti», per via che essi «erano equipaggiati in maniera tale, con casco, visiera protettiva, fazzoletto antigas, per cui riusciva impossibile scorgerne il volto», ovvio…I massacratori di Serantini non furono mai individuati, infatti.L’assassinio provoca reazioni fortissime, Pisa in lutto si ribella, la protesta si allarga in tutta Italia «Il funerale si muove dall’obitorio davanti all’Orto Botanico in via Roma. Serantini è rimasto per molte ore nudo, il suo vestito era stato sequestrato per la perizia e lui non ne possedeva un altro. Poi è arrivato un compagno con una giacca, un paio di pantaloni e una rosa rossa da mettergli sul petto. La città è partecipe, dolente, il popolo porta fiori, le donne sostituiscono la madre ignota e piangono il figlio di nessuno».La povera vicenda di Franco Serantini diventa Storia, annota Staiano. Su Rinascita , la rivista ufficiale del Pci, esce un articolo di Umberto Terracini. E’ intitolato “Un assassinio firmato”. «Questa volta, diciamolo, il nostro animo insorge inorridito e la coscienza invoca a gran voce severe, pronte sanzioni, non soltanto perché dinanzi a noi c’è un altro morto ammazzato… A Pisa, a perpetrare l’orribile assassinio di Franco Serantini, e a tentare di mandarlo impunito, si sono indubbiamente dati voce e mano tutte le componenti del poderoso apparato repressivo: polizia, magistratura e galera…».Cronaca di ieri, 37 anni fa.Cronaca di oggi.
fonte: Liberazione

Comments ( 1 )

  • Rondinelli Giovanni

    Era povero e senza genitori, come me. Aveva diritto al rispetto e all’aiuto degli altri. Quel brutto mattino ero in cella assieme a lui. Mi sono svegliato e l’ho visto con la bava alla bocca che tentava di alzarsi. Avevo 19 anni, mai avrei immaginato che potesse morire. Oggi ho 71 anni, penso spesso a lui e mi vien da piangere.