Snoccioliamo le aggressioni ancora una volta, e ancora una volta osserviamone lo scorrere fra gli altri pensieri come cose di piccolo conto, fatterelli smarriti appena ascoltati, notiziole da non starci troppo su.
Nel primo pomeriggio della settimana scorsa, sulla banchina della stazione centrale di Roma un uomo rincorre un bambino. Lo raggiunge, comincia a inveire contro di lui e a picchiarlo. Intervengono due vigilantes, bloccano l’uomo e gli chiedono conto delle ragioni dell’aggressione.
La sintetica giustificazione formulata a beneficio delle due guardie – «Questo ladro mi ha appena fregato 70 euro» – non impedisce una più distesa ripresa degli insulti verso il bambino: «State sempre qua a rubà», «A voi zingari vi ammazziamo. Tutti, vi ammazziamo». I vigilantes prendono in consegna entrambi e li portano nel box della fermata della metropolitana per identificarli e chiamare le forze di polizia. Nel bugigattolo, l’uomo estrae un taglierino, si avvicina alle spalle del bambino e lo ferisce alla testa, riprendendo a urlare, «Voglio ammazzare gli zingari perché mi hanno rotto il cazzo». Le guardie soccorrono la piccola vittima sanguinante, allertano il 118 e la scena si conclude con il bambino trasportato all’ospedale Policlinico, dove gli saranno applicati cinque punti di sutura alla nuca, e l’uomo arrestato e sottoposto a processo per lesioni aggravate, con rito direttissimo.
I POCHI ALTRI DATI raccolti dai rari articoli di giornale che riprendono la notizia riguardano le età dei due, 11 anni il bambino e 29 l’uomo, la loro residenza, un insediamento vicino a Campo di Carne il primo, San Basilio il secondo, e una additata appartenenza alla comunità rom per il minore. Qualcuno si premura di aggiungere che nelle tasche del bambino non è stata trovata traccia del presunto denaro rubato all’uomo.
In seguito all’episodio, le associazioni di settore, tra cui la 21 Luglio, rilasciano dichiarazioni di condanna e allarme: «quando le vittime sono donne o bambini, vuol dire che l’asticella sta ulteriormente abbassandosi. Deridere un bambino nero in una classe umbra o ferire un suo coetaneo rom in un vagone della metropolitana romana, in Italia, non è più qualcosa di cui vergognarsi». Tra alcuni giornalisti e ricercatori, nel tentativo di comprendere, mappare e arginare il fenomeno, si stilano lunghi elenchi di aggressioni, ordinati secondo le variabili più disparate: dai luoghi alle età delle vittime, dalla loro etnia alle armi usate. Seguiamo i più recenti.
LA NOTTE DEL 2 GENNAIO, a Lonato, nel bresciano, i caravan di due famiglie di sinti italiani vengono cosparsi di benzina e qualcuno appicca il fuoco. Un quarantenne, svegliato dal fumo, esce dal camper e viene gravemente ferito da colpi di fucile. Nei primi giorni di dicembre, dopo un tentato scippo, una giovane rom che tiene la figlia di tre anni in braccio viene immobilizzata dai vigilantes. Benché la donna sia inerme nel mezzo delle due guardie giurate, un passeggero del vagone la aggredisce, strattonandola via dai suoi custodi per i capelli e sbattendole la testa contro la parete una, due, più volte. Tra gli spettatori, la figlia caduta in terra e una giornalista, che interviene nel tentativo di fermare l’assalitore e viene prima circondata, insultata e minacciata da alcuni altri passeggeri, poi da un branco di profili facebook. A luglio, sempre a Roma, stavolta in strada, un uomo si affaccia dal proprio balcone e spara con una pistola ad aria compressa colpendo una piccola di un anno, in braccio alla madre. La bambina, ferita alla schiena, rimarrà in ospedale per mesi. Ancora una volta è rom.
A CONFORTARE L’IPOTESI del crimine d’odio di matrice razziale, anche le statistiche stilate dall’autorevole istituto di ricerca Pew Research Center, secondo cui l’Italia è il primo paese europeo quanto a entità dei sentimenti anti-zigani, con l’85% degli interpellati che ha espresso un’opinione indistintamente negativa riguardo ai rom, la minoranza più discriminata d’Europa.
Eppure non sono le cronache, non sono gli studi e le ricerche, non sono i dati a poter comprendere, e quindi interrompere, l’ostilità dell’uno verso l’altro. Un’ostilità che si rivela sempre più spesso e che sempre più spesso passa dalle dichiarazioni ai fatti. Un’ostilità che non smette di vincere. E che incontra la tenacia dei luoghi comuni, dei clichés, delle pseudo-certezze sulle popolazioni rom e sinte, e la conseguente propensione a farne uno spazio di proiezione dei propri fantasmi.
MA È POSSIBILE che quello spazio sia diventato fitto al punto da nascondere che quello aggredito la scorsa settimana era un bambino? Prima che un rom, prima che un ladro, prima che una vittima, un ragazzino. A riconoscerlo come tale, sembra essere solo l’esiguo gruppo di attivisti dalla rete «Kethane – Rom e Sinti per l’Italia» che da due giorni animano uno sciopero della fame davanti a Montecitorio, promosso allo scopo di denunciare il crescendo di violenza e di ottenere l’attenzione della politica sulla vicenda. Ingrossare le loro file è il primo, indispensabile, passo per chiunque continui a credere che la violenza sui bambini è inammissibile in qualsiasi consorzio civile.
Federica Graziani
da il manifesto