Giovedì scorso (21 marzo) sono accaduti due fatti strani e, dal mio punto di vista, abbastanza inquietanti.
A Torino, la sera, i poliziotti del reparto antisommossa, con tutto il loro armamentario e i furgoncini, hanno caricato i ciclisti della Critical mass, fatto poi rubricato dalle cronache come «scontri» e «tafferugli»; di solito gli scontri vedono due parti contrapposte, in questo caso invece la polizia ha caricato a sorpresa: si chiama aggressione. Quindici persone portate in questura, 4 denunciate per resistenza a pubblico ufficiale (che non si nega a nessuno), nessun ferito, qualche livido per le manganellate.
Nelle stesse ore dei fatti di Torino, a Roma la polizia ha interrotto la Pedalata di luna piena, evento ludico che però si svolge con le stesse modalità di una Cm ed è facile da confondere con l’atto rivendicativo chiamato Critical mass, soprattutto per i pubblici ufficiali. I ciclisti sono stati in parte identificati e poi dispersi. Niente botte, solo nervosismo in blu.
Identificazione e il più classico e stantìo dei «circolareee» possono capitare, ed è capitato anche se raramente. Ma le manganellate ai ciclisti critici non si erano mai verificate in questo paese. A New York sì, nei primi anni 2000, con tanto di arresti e gente ammanettata; cosa che ha contribuito ad affossare la Cm locale, evoluta sotto forma di altre cose più ludiche.
Le proteste, prima sul campo e poi sul web, sono state immediate. La comunità cicloattivista italiana ha poi cominciato a ragionare sui due fatti. La questura di Torino ha cercato di minimizzare, in realtà la classica toppa peggiore del buco: l’azione brutale è stata da loro motivata con la presenza di alcuni attivisti del centro sociale Asilo, sgomberato poco tempo fa. Giustificazione così assurda, e antigiuridica, che neanche proseguo a esaminarla.
Da tempo stiamo mettendo in fila tutti i passi «antibicicletta» che la neodestra italiana, soprattutto leghista, sta compiendo da quando si è inebriata di potere: proposte di legge restrittive, veti su proposte di legge invece positive, opinioni becere come «le ciclabili servono solo agli immigrati» (segretaria leghista di Prato); l’ultimo capolavoro è di questa settimana: un oscuro deputato di Fratelli d’Italia ha pensato bene di farsi pubblicità gratuita proponendo non solo casco ma anche due targhe (una laterale e una posteriore) e assicurazione: tutto obbligatorio. Anche lui ha scoperto che non appena dici una castroneria preilluminista i giornali s’affrettano a scrivere.
L’aggressione di Torino ha però alzato il livello, visto anche chi al momento occupa il Viminale: la sensazione diffusa è che la caccia al diverso, allo strano, all’«altro da sé» rispetto alla vasta maggioranza abbia aggiunto alla lista anche chi non si sposta in automobile: è obbiettivamente una minoranza, dunque facile da colpire e poi passare all’incasso di applausi e consensi facili facili.
Abbiamo deciso dunque di reagire: giovedì 28 marzo (oggi, ndr) Fiab e Salvaiciclisti, dopo aver protestato in diversi comunicati stampa, insieme ad altre realtà associative o spontanee che stanno aderendo via via hanno in seguito suggerito di svolgere delle Critical mass «fuori orario» in diverse città italiane. Lo slogan è «Pedalare non è un reato» (fate una ricerca per trovare quello della vostra città), quasi tutti gli appuntamenti sono in luoghi diversi da quelli usuali per le Cm locali, e tutti sono alle 19. Finora hanno aderito Torino, Bologna, Milano, Genova, Firenze, Roma e Napoli.
Noi pedaliamo in Italia e siamo quindi ben oltre la paura: figurarsi della repressione poliziesca.
da il manifesto