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Roma: 123 reclusi come zombie al Cie di Ponte Galeria

All’ingresso, fra le sbarre e il cemento del Cie di Ponte Galeria a Roma, fra volanti della polizia mezzi militari e cancelli ad apertura elettronica, l’atmosfera è surreale. Esce H., cittadino bosniaco, 35 anni di cui 32 trascorsi in Italia. Appare disorientato:«Questo posto è peggio della galera, non serve a niente. Io a Roma ho avuto 7 figli, i miei genitori sono sepolti qui, vivo in un campo e ho passato due mesi e mezzo nel centro. Mi hanno rilasciato con l’ordine di abbandonare l’Italia entro cinque giorni, ma dove vado? Non parlo la mia lingua madre, la mia casa non c’è più, in Bosnia non mi fanno rientrare e i miei bambini vanno a scuola qui». Nel centro è visibilmente aumentata la presenza di forze preposte alla sicurezza, è insufficiente invece il personale della Croce Rossa che dovrà gestire la struttura almeno fino al 30 ottobre. Al Cie di Ponte Galeria arriva una delegazione di consiglieri regionali del Lazio: Ivano Peduzzi del Prc, Anna Pizzo ed Enrico Fontana, di SeL, Luisa Laurelli del Pd. Dopo un incontro con uno dei medici, si entra nelle gabbie dei trattenuti. L’atmosfera è tesa, è terminato lo sciopero della fame messo in atto alcuni giorni prima come pacifica protesta contro le condizioni di vita e contro l’aumento dei tempi di trattenimento. Ora prevale una rabbia cupa e sorda senza speranze, che trapela dai frammenti di storie.Lui ha gli occhiali e la barba brizzolata, viene dal Ghana e parla un italiano fluente. È rimasto un anno e mezzo in galera come detenuto in attesa di giudizio, sul suo capo accuse pesanti di associazione mafiosa. Neanche il proscioglimento è servito a liberarlo, è stato lo stesso Pm a considerarlo estraneo ai fatti e a ordinarne l’immediata scarcerazione. «Sono rinchiuso e forse mi rimanderanno in Ghana, mia figlia ha 19 anni e all’inizio si è vergognata di me, a scuola la insultavano. Mi aspettavo un risarcimento per l’ingiusta detenzione e invece…». Molti mostrano le braccia ricoperte da lunghe e profonde cicatrici, hanno tentato di tagliarsi per uscire, perché avrebbero preferito il rimpatrio a quella vita ma le burocrazie consolari ritardavano sempre i tempi per il rilascio dei documenti. Chi protesta viene trasferito da un centro all’altro della penisola come se togliendo una “testa calda” si potesse fermare la costruzione di una barriera micidiale. Troppe le voci di chi si sente senza speranza e ammette con freddezza che, quando incontrerà un “italiano” nel proprio paese, troverà occasione di vendicarsi. Si cammina nei corridoi torridi, fra persone che chiedono un attimo di attenzione: chi tossendo sputa sangue, chi mostra dei lividi dicendo che si tratta di calci presi dalla polizia, chi chiede solo di potersi radere la barba e chi di poter vedere i figli. Un altro ragazzo racconta: «Mi hanno preso il 18 giugno, hanno deciso che ero ghanese e mi hanno mandato in Ghana. Da lì mi hanno rispedito in Italia, non mi vogliono, non sono un loro cittadino. Non so che fine abbia fatto la mia valigia ma le autorità italiane si ostinano a volermi rimandare in Ghana». Sono 123 volti di zombie che camminano intorpiditi dalle benzodiazepine. Ponte Galeria presenta sempre più i guasti del carcere senza averne i pochi elementi di garanzia. «Abbiamo chiesto alla Regione – informa Peduzzi – di aderire alla manifestazione antirazzista del 17 ottobre, con la quale rivendichiamo tra l’altro la chiusura dei Cie».
Stefano Galieni