Governance autoritaria e reinvenzione della democrazia.
Ci sono stati due eventi che hanno segnato il panorama politico di questa prima settimana agostana: l’approvazione in Senato del decreto sicurezza-bis, che quindi sancisce la sua definitiva conversione in legge, e lo sgombero del centro sociale Xm-24, a Bologna. Sgombero che ha avuto un epilogo diverso da quelli accaduti negli ultimi tempi in gran parte dello Stivale. Per fortuna e per virtù, aggiungiamo.
I due fatti sono estremamente concatenati tra loro, anche se il nesso causa-effetto che li lega va colto in una dimensione temporale di certo più ampia delle poche ore che li separano. Entrambe le vicende si ascrivono a un processo che parte da lontano e che ha come perno la progressiva corrosione del diritto liberale a vantaggio di quello che Toni Negri e Micheal Hardt in Impero definivano diritto di polizia. Diritto, quest’ultimo, che si va plasmando sugli interessi delle vecchie e nuove élite, in un mosaico neoliberale in perenne combutta tra crisi e ristrutturazione.
Senza andare a cercare prodromi che rischiano di perdersi nella storia più o meno recente, basti pensare all’impressionante sequenza di decreti legge che negli ultimi due anni ha avuto come tema il binomio sicurezza-immigrazione: Minniti, Minniti-Orlando, Salvini, Salvini-bis, tutti decreti convertiti in legge grazie alla fiducia parlamentare. La normazione d’emergenza per antonomasia che si regge solo grazie a uno strumento concepito nelle democrazie liberali extra-ordinario, quello appunto della “fiducia”. Lo stato d’eccezione si normalizza anche nelle procedure, oltre che nei contenuti della sua azione.
Ma torniamo ai due anni passati. Le linee-guida dei vari decreti sono chiare: attacco diretto ai migranti, al dissenso, all’intera cultura della solidarietà e del mutualismo. A questo si aggiunge la costruzione ad hoc di un’area di marginalità sociale il cui accesso ai diritti viene sempre più manipolato e differenziato. Ma non c’è solo questo: si aggrediscono gli spazi urbani, si modella la città neoliberale, si tenta di disgregare i luoghi in cui si si aggregano e si organizzano altre forme di vita.
Per questa ragione gli sgomberi non rispondono mai solamente a esigenze di ordine pubblico, ma a uno stato di cose che si è alterato “dall’alto”. Dietro al mantra della “legalità” si nasconde l’impossibilità di conciliare la nuova fisionomia del potere con l’esistenza di sogni, desideri e pratiche che nascono e si forgiano in maniera autonoma.
Se identiche sono le linee-guida, lo stesso vale per gli strumenti utilizzati: più potere operativo ai prefetti, ai questori, una politica istituzionale che sveste sempre più i panni della mediazione per indossare quelli della mera esecuzione.
In questa costante sfida alla democrazia, l’ordine sovrano ha costantemente bisogno di nemici per legittimarsi, seguendo un copione che passa più dalla surrealtà dei maestri dell’horror che dalla realtà effettuale di machiavellica memoria. Il potere contemporaneo deve nutrirsi di un esercito di “terrorizzati”, deve governare attraverso la paura per poter nascondere sotto al tappeto le ingiustizie sociali, i crimini ambientali, la trasformazione dello Stato sociale in un grande salvadanaio dove possono attingere in pochi.
Tra l’altro, non è proprio il “terrore” l’elemento di cui si nutrono meccanismi di auto-disciplina, che per il panottico di Foucault sono il fondamento del tardocapitalismo? Il securitarismo è approccio ormai noto da tempo; negli ultimi anni si è rafforzato grazie a una deriva reazionaria generalizzata, ma allo stesso tempo è diventato sempre più trasversale.
Ed è così che Matteo Salvini fa diventare legge il verbo della sua “Bestia”, che Emmanuel Macron elogia la polizia che semina sangue e morte in una Francia da 9 mesi in mobilitazione permanente, che Kyriakos Mītsotakīs, nuovo premier greco, promette guerra a Exarchia, una delle più grandi esperienze d’autogestione che l’Europa conosca. Tre situazioni diverse, tre personaggi politici che hanno riferimenti politici differenti, ma che rispondono a una postura governamentale che individua una tendenza comune.
Nel lungo ciclo di stagnazione secolare che stiamo attraversando, l’essenza stessa del dominio di classe diventa un feroce e costante tentativo di assoggettare il bios. Si tratta di un processo liquido, contraddittorio, in cui quel «meno Carola e più Oriana Fallaci» – che sintetizza al meglio l’idea di guerara di civiltà insita nel pensiero salviniano – si integra perfettamente con le “ruspe democratiche” inviate a Bologna dal sindaco del Pd Virgilio Merola per sgomberare Xm-24. Ruspe che, al di là di una trattativa che pare risolversi al meglio, rimangono uno scempio indelebile, non solo per la città felsinea.
È chiaro che il trend appena descritto, per quanto organico, è altamente conservativo Una governance autoritaria non può che muoversi sulla linea della difensiva. Difesa di privilegi – vecchi e nuovi, reali o presunti -, di un mondo razzializzato e genderizzato, dell’ingordigia di un capitalismo che ha devastato il pianeta. Ma qualsiasi impianto difensivo è attaccabile, a patto che non ci si sfumi nelle contraddizioni. Non abbiamo bisogno – come dice l’ex ministro socialista Rino Formica in un’intervista pubblicata oggi su Il Manifesto – di baluardi o “custodi” di vecchie istituzioni. Abbiamo necessità di reinventare la democrazia, di nuove istituzioni che nascano dal conflitto.
Ma per fare questo, è prioritario scegliere con chiarezza da che parte stare, dietro questa Linea Gotica contemporanea.
Antonio Pio Lancellotti