Mentre il Cile è ancora scosso dal dolore e dall’indignazione per la morte di Daniela Carrasco, l’artista di strada nota come «el Mimo» trovata impiccata alla periferia di Santiago – «violentata, torturata e assassinata», secondo la denuncia del movimento femminista Ni una menos – fa discutere nel paese il caso di un’altra donna, la 38enne Albertina Martínez Burgos, fotografa e assistente alle luci della rete televisiva Megavisión, trovata morta nel suo appartamento nella capitale con segni di percosse e di pugnalate.
Fin dall’inizio della rivolta popolare contro il governo Piñera, la giovane fotografa aveva partecipato attivamente alle proteste, documentando in particolare casi di repressione e di abuso da parte dei carabineros e dei militari nei confronti delle donne impegnate sul fronte della comunicazione. «Esigiamo che vengano chiarite le cause della sua morte», ha dichiarato Ni una menos, evidenziando come nel suo appartamento mancassero computer, macchina fotografica e qualunque traccia del suo lavoro sulle giornate di lotta.
Due casi, quelli di Daniela e di Albertina, che gettano una luce inquietante sulla violazione dei diritti delle donne durante la crisi attuale. Non a caso sono arrivate a 70 le denunce di violenza sessuale a carico di pubblici ufficiali, come emerge dal durissimo rapporto di Amnesty International sull’azione delle forze di sicurezza sotto il comando del presidente Piñera, accusate di ricorrere alla violenza – fino alla repressione indiscriminata, al pestaggio selvaggio, alla tortura, allo stupro, all’omicidio – per dissuadere i manifestanti dal partecipare alle proteste. E mentre si attende il rapporto dell’Alto Commissario Onu per i diritti umani, la cui équipe ha concluso venerdì la sua visita ufficiale, è chiaro che le violente azioni repressive delle forze dell’ordine – durante le quali oltre 2300 persone sono state ferite (1400 per colpi di arma da fuoco) e 220 hanno subito gravi traumi agli occhi – non servono di certo a rendere più credibile l’accordo sul plebiscito per una nuova Costituzione raggiunto da tutte le forze politiche (ad eccezione del Partido Comunista e di quello Humanista).
Che lo «storico accordo», celebrato con grande ottimismo dalle classi dominanti, sia destinato appena a realizzare cambiamenti di facciata è risultato del resto subito evidente al movimento di protesta, secondo cui l’introduzione della maggioranza dei due terzi per l’approvazione degli articoli che dovrebbero comporre il nuovo testo costituzionale sarebbe già di per sé sufficiente a consentire alla minoranza conservatrice di bloccare ogni cambiamento reale, a partire dalla rinazionalizzazione del rame e del litio. Ed è proprio contro la trappola tesa dal governo – quella appunto di un processo costituente controllato dalle élite – e contro le violazioni dei diritti umani che le organizzazioni sindacali aderenti alla Mesa de Unidad Social hanno convocato per il 26 e il 27 novembre un nuovo sciopero nazionale.
Claudia Fanti
da il manifesto