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Nazismo e fascismo nelle famiglie

Gli anni del nazismo e del fascismo non sono stati un accidente della storia, una parentesi chiusa per sempre…

La Germania sì, che ha fatto i conti con il nazismo, non come noi in Italia. Questa battuta, questo luogo comune, per molti anni è stato usato per rimarcare la continuità fascismo-democrazia nel corpo vero delle nostre istituzioni (la magistratura, le forze di polizia, l’esercito, la burocrazia) e alla fine ha creato il mito della Germania ripulita dal nazismo (Germania Ovest naturalmente, perché alla Germania Est nemmeno di pensava e lì, d’altronde, prevaleva un atteggiamento negazionista, come se i responsabili e sostenitori del nazismo si fossero miracolosamente concentrati nella parte occidentale).

Non è stato realmente così e infatti si è poi affermata una seconda più credibile lettura, secondo la quale è stata la generazione del Sessantotto, i ragazzi nati durante o subito dopo la guerra, a chiedere conto a padri e nonni del proprio comportamento nei dodici anni del Terzo Reich, argomento tabù in tutta la Germania, nella dimensione pubblica come in quella privata.

Un film di qualche anno fa, Lo Stato contro Fritz Bauer, ha offerto uno spaccato della mancata transizione fra nazismo e democrazia nel cuore delle istituzioni della Germania Ovest, raccontando la vicenda del magistrato che si trovò a gestire l’arresto in Argentina del criminale di guerra Adolf Heichmann ma si trovò costretto a “passarlo” ai servizi segreti israeliani di fronte all’ostilità incontrata in patria nella magistratura, nelle forze di polizia e nel mondo politico fino alla cancelleria, tutti apparati massicciamente presidiati da funzionari e dirigenti che al nazismo avevano aderito con convinzione e che mantenevano la nuova Germania sotto scacco (lo stesso capo staff del premier democristiano Adenauer, Hans Globke, era stato un qualificato collaboratore come giurista del regime nazista). Eichmann, come noto, fu poi imputato in un clamoroso processo a Gerusalemme e infine impiccato.

Ebbene, la Germania ha fatto i propri conti con il nazismo in maniera così farraginosa e così incerta che nelle famiglie tedesche certe domande, le stesse domande, continuano a circolare, rivolte – ormai – ai propri nonni e bisnonni. È il caso per esempio di Nora Krug, classe 1977, autrice di romanzi a fumetti dalla doppia anima nazionale: tedesca e statunitense. Krug ha raccontato nell’avvincente Heimat (Einaudi) la sua tenace indagine sulla condotta dei propri zii e nonni all’epoca del nazismo, a partire da una casuale conversazione, avvenuta a New York, sul tetto di un palazzo. Nora era appena arrivata negli Usa per studiare.

“Da dove vieni? – mi chiese. – Dalla Germania – Mi sembrava – Lei è mai stata in Germania?, chiesi. – Sì. Tanto tempo fa. Evitava di guardarmi negli occhi. Allora capii. Mi raccontò che era sopravvissuta al campo di concentramento perché una delle guardie, una donna, per sedici volte l’aveva salvata all’ultimo momento dalla camera a gas. (…) Un calore familiare cominciava a formarsi alla bocca dello stomaco. Come reagisci, da tedesca, davanti a un essere umano che ti rivela questo ricordo? Rimasi in silenzio – È successo tanto tempo fa, disse lei alla fine. Sono sicura che le cose sono cambiate. Tu devi avere dei genitori affettuosi. Annuii”.

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Parte da qui l’inquietudine di Nora: il passare del tempo, i grandi cambiamenti avvenuti, l’affetto sincero dei genitori non sono abbastanza, la ragazza appena approdata negli Usa sente il bisogno di sapere di più. Capisce, cioè, che il silenzio ha coperto nella sua famiglia aspetti di un passato troppo scomodo e difficile per essere messo davvero in luce. Il mito dei conti fatti con il nazismo e le incomplete risposte alle domande poste dalla generazione del Sessantotto sono la prima constatazione del romanzo a fumetti. Nora scava nei ricordi, recupera vecchie fotografie, interroga i parenti, a cominciare dai genitori, e scandaglia archivi, recupera vecchi giornali, insomma si impegna in un’inchiesta seria, documentata passo dopo passo, scoperta dopo scoperta.

Ogni volta che incrocia un comportamento sospetto di uno dei suoi avi – la foto di uno zio in divisa, un prestito ricevuto da un nonno, la condotta tenuta di fronte agli attacchi e alla deportazione dei concittadini ebrei – cerca spiegazioni e giustificazioni, ma il tarlo del dubbio lavora e corrode. Scopre che il nonno Willi si era iscritto al partito nazista già nel ’33 e che sfiorò la classificazione come “criminale” nel processo di “denazificazione” voluto a guerra finita dagli Alleati. Alla fine il nonno, grazie ad alcune testimonianze favorevoli, sarà qualificato come “gregario”: un sollievo per Nora, ma all’interno di un quadro oscuro. L’adesione al nazismo, la compromissione col Terzo Reich hanno riguardato anche la sua famiglia: così Nora – che pure studiava la Shoah sui libri delle scuole medie in Germania – prende contatto con una verità e una realtà rimasti fra parentesi durante la sua adolescenza e giovinezza in Germania.

Heimat ci ricorda che i conti con la storia non sono mai definitivi. I fantasmi che tornano a insidiare la Germania e il resto dell’Europa provengono da quell’area del non detto, da quei silenzi che hanno condizionato il rapporto dei tedeschi – ma il discorso vale anche per gli italiani – con il proprio passato. Un passato che non è chiuso: gli anni del nazismo e del fascismo non sono stati un accidente della storia, una parentesi chiusa per sempre, e vanno riletti e studiati ancora perché ci trasmettono un segnale d’allarme. Ci dicono che viviamo in società permeabili ai messaggi più estremi, alle soluzioni più radicali e più violente; ci dicono che abbiamo un rapporto ambiguo, spesso di sottomissione, con il potere.

Lorenzo Guadagnucci

da Comune-Info