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Rosarno, a dieci anni dalla rivolta per i migranti non è cambiato nulla

Gli oltre 400 braccianti lavorano in condizioni di sfruttamento e affollano la tendopoli, dopo lo sgombero della baraccopoli a marzo 2019. La denuncia dell’organizzazione medici per i diritti umani ( MEDU)

Sovraffollamento, assenza di servizi ed estrema precarietà delle condizioni igienico- sanitarie per le oltre mille persone migranti che popolano i casali abbandonati. A distanza di dieci anni dalla rivolta dei braccianti, non è cambiato ancora nulla nel ghetto di Rosarno, piccolo centro della Piana di Gioia Tauro fino ad allora conosciuto solo per gli agrumeti e per la presenza capillare della ndrangheta. A denunciare la situazione è l’organizzazione Medici per i diritti umani ( Medu), la quale sottolinea che gli oltre 400 braccianti lavorano ancora in condizioni di sfruttamento come nel 2010, quando solo allora l’opinione pubblica scoprì che i migranti sono costretti a vivere in edifici abbandonati, casolari diroccati o baraccopoli improvvisate in condizioni drammatiche e umilianti. Quell’anno erano circa 1500 i lavoratori stranieri, per lo più giovani uomini provenienti dai Paesi dell’Africa subsahariana occidentale e regolarmente soggiornanti, presenti nella Piana. Oggi, a dieci anni di distanza, Medu denuncia che il numero resta pressoché invariato – dopo aver raggiunto picchi di oltre 3000 presenze negli anni passati – e altrettanto sconcertanti restano le condizioni di vita e di lavoro. «D’altra parte – denuncia sempre Medu-, ieri come oggi, le istituzioni locali – spesso commissariate per infiltrazioni mafiose – e quelle nazionali appaiono incapaci di qualsivoglia pianificazione politica efficace, coraggiosa e lungimirante, limitandosi invece a riproporre il circolo vizioso sgombero- tendopoli- baraccopoli, che da dieci anni lascia invariate le piaghe dello sfruttamento lavorativo, del degrado abitativo e dell’abbandono dei territori».

Se infatti nel 2010 i lavoratori impiegati nella raccolta trovavano rifugio in una ex fabbrica in disuso – una delle tante costruite con i finanziamenti della legge 488 del ‘ 92 e poi abbandonate – e in un’altra struttura abbandonata nella zona industriale di San Ferdinando, oltre che nei numerosi casolari diroccati sparsi nelle campagne dei Comuni limitrofi, in assenza di qualsivoglia servizio di base, oggi il sovraffollamento, l’assenza di servizi e l’estrema precarietà delle condizioni igienico- sanitarie restano invariati per le oltre mille persone che popolano i casali abbandonati. I medici per i diritti umani denunciano che poco è cambiato anche per le oltre 400 persone che affollano l’ennesima tendopoli ministeriale – sorta in seguito allo sgombero della baraccopoli abitata da circa 2500 migranti avvenuto a marzo 2019 – e che versa in condizioni di sovraffollamento e degrado. La carenza di soluzioni abitative adeguate rende i lavoratori sempre più invisibili, poiché costretti a disperdersi in abitazioni di fortuna nelle campagne, e sempre più esposti allo sfruttamento e al caporalato.

Dal 2014 Medu opera nella Piana con una clinica mobile, per garantire la tutela della salute e dei diritti fondamentali e l’accesso alle cure e ai servizi socio- sanitari da parte della popolazione degli insediamenti precari del territorio. Da dicembre 2019 la clinica mobile è di nuovo attiva nella Piana di Gioia Tauro e fornisce assistenza sanitaria e socio- legale alla popolazione degli insediamenti precari, in particolare presso la tendopoli ufficiale sita nella zona industriale di San Ferdinando, il campo container di contrada Testa dell’Acqua e i casolari abbandonati nelle campagne di Drosi e Rizziconi. Un clima di assurda disperazione come fosse un girone dantesco, nel quale è emerso che un migrante può arrivare a lavorare anche dodici ore al giorno, con una paga di appena un euro per ogni cassetta di agrumi raccolta.

Davanti agli sfruttamenti, Medu ha chiesto l’introduzione di efficaci meccanismi di incontro legale tra la domanda e l’offerta di lavoro e il potenziamento di quelli esistenti e l’adozione di un piano graduale e strutturato di inclusione socio- abitativa dei lavoratori agricoli nei Comuni in via di spopolamento della Piana, anche attraverso pratiche di intermediazione abitativa già dimostratesi efficaci nel territorio della Piana e in altri territori. Per l’associazione occorre anche il riconoscimento della residenza presso gli insediamenti informali, condizione imprescindibile per consentire l’accesso ai diritti fondamentali; la sensibilizzazione e il sostegno alle aziende che rispettino i diritti dei lavoratori, quindi l’attivazione di politiche che favoriscano la regolarità del soggiorno dei migranti, requisito indispensabile per poter accedere a un lavoro con diritti e dignità.

Damiano Aliprandi

da il dubbio

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Nel 2019 quarantamila irregolari senza la protezione umanitaria

Esplosione dell’emergenza degli irregolari e difficoltà del nuovo schema di capitolato di gara per i centri di accoglienza, con bandi andati deserti e ricorsi presentati da alcuni candidati. È ciò che emerge dal rapporto “La sicurezza dell’esclusione – Centri d’Italia 2019”, realizzato da Action Aid e Openpolis che offre una prima valutazione dell’impatto delle politiche migratorie del primo governo Conte. Gran parte del lavoro di analisi, suddiviso in due parti, si sofferma sulle conseguenze che la legge sicurezza immigrazione sta producendo sul sistema d’accoglienza nel suo complesso, denunciando nel contempo quanto sia difficile raccogliere le informazioni necessarie per monitorare il sistema dell’accoglienza e le sue evoluzioni per un’assenza quasi totale di trasparenza. Indicazioni sul disfacimento complessivo di un sistema e delle tutele dei richiedenti asilo che già molti attivisti, enti del terzo settore e operatori coinvolti nel sistema d’accoglienza avevano ampiamente previsto e che i movimenti avevano cercato di contrastare con mobilitazioni territoriali e di carattere nazionale. Ma nonostante un ampio fermento sociale, la legge Salvini è ancora lì, e, a oggi, la sua abrogazione pare che non sia tra le priorità del governo 5stelle- PD.

Secondo le stime del rapporto sono 40.000 le persone che si sono ritrovate irregolari nel 2019 a causa della soppressione della protezione umanitaria. E queste cifre sono inevitabilmente destinate ad aumentare nel 2020 poiché la legge ha generato una stretta anche nelle procedure e nei responsi delle Commissioni territoriali, sempre più restìe a concedere una forma di protezione. Del resto i rimpatri, che sembrerebbe un altro strumento di propaganda politica, sono stati nel 2018 circa 5.615. A questo ritmo si stima che per rimpatriare i 680mila cittadini stranieri irregolari servirebbero oltre 100 anni, senza contare il costo economico di una tale opinabile operazione.

Il rapporto si sofferma ampiamente anche sulle conseguenze delle nuove regole delle gare di appalto per la gestione dei centri. Regole «volute per razionalizzare il sistema e tagliare i costi e i servizi di inclusione, si scontrano con la difficoltà, anche di natura politica, dei gestori di farvi fronte e delle prefetture di applicarle. Diversi i bandi deserti, quelli ripetuti o che non riescono a coprire il fabbisogno dei posti nei centri». Sempre secondo il rapporto è «un affare che attrae i gestori a carattere industriale, grandi soggetti privati anche esteri in grado di realizzare economie di scala, e allontana i piccoli con vocazione sociale e personale qualificato».

La seconda parte del rapporto, invece, approfondisce l’impatto del nuovo capitolato di gara ( collegato al decreto sicurezza) sul funzionamento della macchina dell’accoglienza. «Un provvedimento – si legge nel rapporto – che snatura il senso e il ruolo del sistema trasformando i Centri di accoglienza straordinaria ( Cas) in luoghi di desolata attesa e sospensione esistenziale piuttosto che di avvio all’integrazione».

Damiano Aliprandi

da il dubbio