Attenti da oggi quando andate in ospedale
- giugno 05, 2013
- in giustizia, malapolizia, tortura, tso, violenze e soprusi
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Si era già capito quando dopo un’ora e mezzo all’ingresso, sotto il sole, gli accrediti per diversi giornalisti si erano persi, volatilizzati, file di telecamere che alle 10 di mattina ancora non riuscivano ad accedere all’aula . E chi da ogni parte d’Italia era venuto per stare vicino alla famiglia? beh doveva aspettare che prima si risolvessero questi problemi . forse.
Solo dopo una vibrante protesta tra un “oltre 50 persone si rischia il crollo dello spazio per il pubblico” e un “tornate più tardi vedete che dentro non c’è neanche dove prendere una bottiglietta d’acqua” siamo riusciti ad accedere
Si era già capito dalla mattina quando Lucia Uva , sorella di Giuseppe, anch’egli massacrato come Stefano , si chiedeva come mai fossimo circondati da polizia e carabinieri in antisommossa mentre in 20 in quel momento attendevamo nell’area riservata al pubblico
Si è capito definitivamente quando alle prime parole della sentenza, le guardie assolte si sono lasciate andare ad abbracci ed esaltazioni da gol di una squadra allo stadio. Magari volevano proseguire “l’1a 0 per noi” detto dopo la morte di Carlo a Genova.
Sarebbe bastato tutto questo e tanto altro per capire a che punto ci siamo ridotti o sarebbe bastato parlare con Rita Cucchi, madre di Stefano, o con Lucia Uva sorella di Giuseppe, o con Claudia sorella di Dino Budroni, o con Luciano, o con la Grazia la nipote di Francesco Mastrogiovanni, per imparare come chi ha perso un parente, un figlio, un fratello, chi ha subito in prima persona la repressione abbia la determinazione per raccontarlo ed andare avanti. Perché alla base c’è sempre la lotta, nonostante lo stato che si autoassolve, nonostante le sentenze, nonostante la repressione. Perché siano sempre i figli a seppellire i genitori e mai il contrario.