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George Floyd come Riccardo Magherini. Ma in Italia abbiamo smesso di indignarci

Fabio Anselmo, legale delle famiglie Cucchi e Aldrovandi, commenta le analogie tra l’uccisione di un afroamericano negli Usa durante un fermo della polizia e la morte di Riccardo Magherini nel 2014 a Firenze

“Non ce l’ho fatta a vedere quel video, ne ho visti troppi e sono stanco. Mi è bastato guardare le immagini, è stato un pugno nello stomaco. Ho provato tanta amarezza, il pensiero è andato subito a Guido e Andrea Magherini”. Fabio Anselmo, l’avvocato del caso Aldrovandi e del caso Cucchi, commenta con TPI la notizia dell’uccisione di George Floyd, il cittadino afroamericano che a Minneapolis, negli Stati Uniti, è morto soffocato dopo essere stato ammanettato dalla polizia e bloccato a terra con il ginocchio dell’agente Derek Chauvin sul collo. La scena, ripresa in un filmato da un passante, ha fatto il giro del mondo, destando indignazione e rabbia. Il pensiero di Fabio Anselmo, come quello di tanti altri, di fronte a queste immagini è andato al caso di Riccardo Magherini, morto durante un fermo dei carabinieri a via Borgo San Frediano, Firenze, la notte tra il 2 e il 3 marzo 2014. Per la sua morte erano stati condannati in primo e secondo grado tre carabinieri, ma nel 2018 la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza senza rinvio. La famiglia Magherini, rappresentata da Anselmo, ha poi fatto ricorso alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, che ha accolto l’istanza e si pronuncerà sul caso.

 Avvocato, cosa ha fatto quando ha visto la notizia?

Ho chiamato subito Guido Magherini. Capivo come potevano sentirsi il papà di Riccardo, il fratello e la madre. Mi ha detto: “Ho visto, Fabio, ho visto. Ma come si può fare una cosa del genere?”. Veramente ci chiediamo come sia possibile che questo accada e come sia possibile risolvere con un nulla di fatto i rari procedimenti giudiziari che si riescono a instaurare (perché spesso non si riesce neanche ad arrivare in un’aula di giustizia). Non si tratta di essere giustizialisti, ma di richiamare alle proprie responsabilità coloro che le hanno. Una norma di diritto che dovrebbe essere uguale per tutti.

Quali analogie ha notato tra il caso Magherini e quanto accaduto a Minneapolis?
Noto moltissime analogie, dallo stato di minorata difesa, dovuto anche all’alterazione che in quel momento poteva avere Riccardo, all’asfissia, certificata dai medici legali come causa finale di morte. Ma anche la posizione e il filmato che documenta drammaticamente gli ultimi momenti di vita di Riccardo, in cui lui supplica, chiede aiuto, dice “Ho un bambino, aiutatemi” e dove si percepisce nettamente – lo dicono i giudici di merito – la voce strozzata e la difficoltà a respirare. Obiettivamente, in questi casi non occorre una laurea in medicina per rendersi conto che si sta oltrepassando il limite e si sta entrando in un terreno pericolosissimo, dove l’arrestato può perdere la vita, come poi purtroppo è accaduto. Sono morti annunciate dalle stesse vittime.

L’unica componente diversa è quella del razzismo, che negli Usa gioca un ruolo diverso.
Sì, è chiaro che la componente motivazionale per un simile gesto può avere diverse genesi. Che negli Stati Uniti ci sia un problema di questo tipo certo non lo nego. Si parte dalla presunzione che quei comportamenti nei confronti di un bianco non vengano posti in essere. Noi su questo siamo più democratici. Ma non bisogna neanche fare razzismo alla rovescia: non deve indignare di più la morte di un afroamericano rispetto a quella di un bianco. Il tema del razzismo rischia di essere fuorviante, lo scandalo è il comportamento in sé, contro chiunque esso venga posto in essere. Quando si ferma una persona – a prescindere se l’arresto sia legittimo o meno – ne si diventa responsabili. E questo è un problema che riguarda tutti. Le morti che si verificano durante queste modalità del fermo, che io ritengo sconsiderate, sono conosciute in tutto il mondo. Da noi ci sono precedenti tristemente noti, ma anche altri meno noti. Parlo per esempio di Vincenzo Sapia, il cui procedimento pende a Castrovillari da anni ormai.

Parla di questa manovra che può portare al soffocamento?
Questa manovra non si deve fare, non si deve porre il ginocchio sul collo. La morte per asfissia posturale dovuta a questa manovra è stra-conosciuta, è stata studiata, è nei report dei comitati di prevenzione della tortura da oltre vent’anni. Si può fermare un individuo e arrestarlo senza porre a rischio la sua integrità fisica: esistono i manuali di comportamento della Polizia di Stato, mostrano con tanto di fotografie e filmati le manovre che vengono insegnate. Altre invece sono vietate in modo perentorio. Quando invece vengono utilizzate noi giustamente noi ci indigniamo, anche se con Riccardo devo dire che ci siamo indignati troppo poco.

Il video dagli Usa ha fatto il giro del mondo, invece sei anni fa di Riccardo si parlò meno.
Questo fa parte della libertà di stampa, lo dico chiaramente. Quando ci sono di mezzo gli operatori delle forze dell’ordine sembra di toccare un terreno sacro. Ma loro, come anche i magistrati, sono esseri umani e possono sbagliare. La nostra società ha un disperato bisogno di realizzare il principio costituzionale per cui la legge deve essere uguale per tutti secondo un criterio di responsabilità. Quando si sbaglia si deve essere chiamati  a far fronte alle responsabilità degli errori commessi, in sede giudiziaria. Ma non si può chiudere un processo come quello Magherini dicendo di fatto che gli operanti non erano tenuti a rendersi conto del fatto che Riccardo poteva morire e stava morendo. Lui lo dice in quel momento.

In un post su Facebook su questi due casi lei ha scritto che rispetto agli Usa “noi siamo più avanti”. Cosa intende?
Loro si indignano, noi abbiamo smesso di indignarci. Abbiamo affrontato la problematica che offrono questi comportamenti, inaccettabili dal punto di vista morale, legale, sociale. E abbiamo deciso che va bene così. Abbiamo risolto la questione dicendo che gli operanti non sono tenuti a rendersi conto di ciò che accade a colui che chiede aiuto e che sta soffocando sotto la propria pressione. Questo è stato scritto nella sentenza della Cassazione sul caso Magherini. Una sentenza di merito che ha lasciato basiti tutti. Finché non si adotterà una seria gestione giudiziaria di queste vicende, purtroppo questi episodi si ripeteranno.

Cosa si aspetta dalla Corte di Strasbrugo sul caso Magherini?
Credo nell’Europa dei diritti. Credo nei diritti e credo nella Carta costituzionale di questo Paese. La Corte europea dei diritti dell’uomo non è e non può essere un quarto grado di giudizio, ne siamo perfettamente consapevoli. Ma credo che lo Stato italiano abbia fallito nella tutela dei diritti di Riccardo Magherini e della sua famiglia a vedersi garantita giustizia e dignità. Quindi credo nella possibilità che la Corte possa avere la responsabilità e la capacità di sanzionare il comportamento dello Stato italiano nella gestione della vicenda di Riccardo Magherini.

Anna Ditta

da Tpi.it