Hanno varcato i cancelli alle cinque di questa mattina. Con i camion e i manganelli. Alla testa del gruppo Silvano Genta, il proprietario della Innse azienda milanese che un anno fa ha chiuso la propria produzione licenziando 50 operai, in coda la polizia. Che ha caricato la piccola folla, operai e autonomi dei centri sociali, che da tempo si era radunata nei pressi dello stabilimento di via Rubattino, zona Lambrate, impedendo al proprietario l’accesso per requisire e vendere i macchinari. Si è conclusa in questo la vicenda Innse. Una storia di speculazione, di crisi economica, e di una mutata strategia politica. La Innse non ha i conti in rosso, non è stretta dai creditori. È solo che il suo padrone, Genta appunto, ha deciso semplicemente di smantellare la produzione. Gli servono i terreni. C’è l’Expo che incalza. Ed è pronta una speculazione immobiliare. A giugno dello scorso anno decide di licenziare gli operai con un telegramma. Le porte della fabbrica vengono chiuse con i lucchetti si avvia la cassa integrazione. Che dura fino a settembre. I lavoratori hanno sempre continuato a lavorare in autogestione fino a quando hanno messo sotto sequestro l’area ad ottobre, momento in cui hanno iniziato il presidio. Senza stipendio i 50 operai hanno chiesto alle istituzioni locali la cessione dell’azienda. Gli imprenditori c’erano, non la volontà. In particolare gli operai si sono rivolti alla Provincia. Quando Genta si comprò l’azienda tre anni fa, infatti, la Innse era in amministrazione controllata. Per quell’acquisto ottenne sgravi e prezzi stracciati, dichiarando nelle sedi istituzionali della Provincia, che aveva gestito l’amministrazione, di volerla rilanciare. Cosa mai avvenuta fino in fondo. La procedura di licenziamento è stata conclusa il 25 agosto scorso. La commissione regionale non ha potuto far altro che registrare il mancato accordo ed aprire la mobilità. Da qui la protesta. In questi mesi davanti ai cancelli si sono alternati 50 operai e collettivi dei centri sociali. Fino a questa mattina quando è stata fatta l’irruzione. Una vera e propria battaglia, fanno sapere dalla Questura. Chiavi inglesi e bulloni sono stati lanciati, contro le forze dell’ordine. Negli scontri sono rimasti contusi una decina di persone tra le quali un funzionario di Polizia e sei carabinieri. Solo mezz’ora più tardi due rappresentanti sindacali sono entrati nell’azienda e hanno assistito al trasferimento dei macchinari. Poi, gli operai hanno organizzato un presidio pacifico davanti alla struttura.Quello che è accaduto alla Innse è «gravissimo» ha sostenuto la Fiom. «È il segno della volontà di mettere a tacere, con la violenza, i lavoratori. È il segno della volontà di piegare chi in questo paese si oppone alla logica della chiusura degli stabilimenti e dei licenziamenti. La Fiom di Milano sta con i lavoratori, con gli operai della Innse, con chi difende il proprio posto e la propria dignità». Il problema, fa sapere il sindacato dei metalmeccanici, non è solo quello di via Rubattino. Secondo la Fiom da un po’ di tempo a questa parte c’è un clima diverso nel trattare la materia del lavoro. In questo caso la Innse è solo un tassello. Fino a qualche tempo fa, infatti, le proteste dei lavoratori erano gestite in maniera differente dalla polizia che, va ricordato, ha cercato sempre il dialogo in queste occasioni. Non negli ultimi giorni, però. A Napoli, ad esempio, nello stabilimento Fiat di Pomigliano D’Arco una settimana fa c’era stata ancora una carica. Segno che le direttive imposte dal ministero degli Interni sono cambiate. Segno che lo scontro sociale potrebbe divenire un tema di dibattito nei prossimi giorni.
fonte: l’Unità
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