Carcere: Con le misure alternative si potrebbe risparmiare mezzo miliardo
Dal rapposto dell’associazione Antigone emerge che ogni detenuto costa 150 euro al giorno e più della metà deve scontare meno di tre anni di carcere.
Cinquecento milioni di euro è la cifra che lo Stato potrebbe risparmiare se investisse sulle misure alternative. Nel momento in cui i numeri della popolazione carceraria tornano lentamente a salire ( sono entrate persone per finire di scontare cinque mesi di carcere) è degno di nota rievocare un passaggio del recente pre rapporto dell’associazione Antigone. Quest’ultima parte dal fatto che un detenuto costa in media 150 euro al giorno circa ( costi che comprendono la retribuzione dello staff), mentre una persona in misura alternativa costa dieci volte di meno, Per questo motivo si potrebbero risparmiare almeno 500 milioni di euro se la metà di queste persone potesse scontare all’esterno la sua pena. Infatti, altro dato da ricordare, la maggioranza dei detenuti non sono dentro per reati contro la persona come omicidi, sequestri e similari, ma per reati contro il patrimonio o per droga.
I dati parlano chiaro. Il 19,1% dei detenuti ha un residuo pena inferiore a un anno, il 52,6% deve ancora scontare meno di tre anni per un totale di 18.856 detenuti. Queste percentuali salgono molto per i detenuti stranieri, arrivando rispettivamente al 26,3% ed al 66,6%. Sono percentualmente aumentati i detenuti per i reati più gravi, a seguito delle scarcerazioni avvenute tra marzo e maggio di persone con pene brevi. I presenti con una condanna definitiva superiore ai 10 anni, ergastolani inclusi, erano a fine giugno 2019 il 26,8%, dei presenti totali. A fine giugno 2020 erano il 29,8%. Al 30 giugno erano 7.262 i detenuti reclusi per associazione di stampo mafioso ( 416- bis): soltanto 128 erano donne e 176 stranieri. Al 6 novembre 2019, ultimo dato ufficiale disponibile, le persone sottoposte al regime speciale di cui al 41 bis erano 747 ( 735 uomini e 12 donne), a cui devono aggiungersi 7 internati, per un totale di 754 persone distribuite in 11 istituti penitenziari della Penisola, con una sola sezione femminile e una casa di lavoro per persone in misura di sicurezza. Più della metà della popolazione carceraria deve scontare meno di tre anni e una parte potrebbe, appunto, avere accesso a misure alternative.
Non c’è solo un considerevole ritorno economico, ma anche un ritorno positivo per la sicurezza collettiva visto che una persona in misura alternativa ha un tasso di recidiva tre volte inferiore a una persona che sconta per intero la pena in carcere. Le misure alternative alla detenzione, per colpa di alcuni titoli di giornali sensazionalistici, sono accompagnate da sempre dal luogo comune che sarebbe un modo per “farla franca”. Niente di più sbagliato. Sono dirette a realizzare la funzione rieducativa della pena, in ottemperanza dell’articolo 27 della Costituzione. Incidono sulla fase esecutiva della pena principale detentiva, in relazione ai presupposti e alle modalità di applicazione sono previste e disciplinate dalla legge 26 luglio 1975, n. 354.
I DIVERSI TIPI DI MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE
Ne sentiamo parlare spesso dalle cronache giornalistiche, come, appunto una maniera per evitare la cosiddetta “certezza della pena”. In realtà è sempre una pena, ma diversa dal carcere. Le misure alternative alla detenzione sono: l’affidamento in prova al servizio sociale, la semilibertà, la liberazione anticipata, la detenzione domiciliare. L’affi-damento in prova al servizio sociale è previsto e disciplinato dall’articolo 47 del Dpr n. 354/ 1976 che stabilisce, che se la pena detentiva inflitta non supera i tre anni, il condannato ha la possibilità di essere affidato ai servizi sociali fuori dell’istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare. Il provvedimento viene adottato sulla base dei risultati della osservazione della personalità, condotta collegialmente per almeno un mese in istituto, nei casi nei quali si può ritenere che lo stesso, anche attraverso le prescrizioni delle quali al comma 5, contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati.
Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto aiutandolo a reinserirsi nella vita sociale e riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul suo comportamento. I commi 11 e 12 dell’articolo 47 regolano rispettivamente la revoca dell’affidamento in prova e i suoi effetti stabilendo che esso «è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova» e che «l’esito positivo del periodo di prova estingue la pena detentiva ed ogni altro effetto penale».
All’affidato in prova al servizio sociale che abbia dato prova nel periodo di affidamento di un suo concreto recupero sociale, deducibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della sua personalità, può essere concessa la detrazione di pena che consiste in 45 giorni di pena detratta per ciascun semestre di pena scontata.
La semilibertà è prevista e disciplinata dagli articoli 48 e seguenti dell’Ordinamento Penitenziario e consiste nella possibilità per il condannato di trascorrere parte del giorno fuori dell’istituto. L’ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società.
La liberazione anticipata è regolata dall’articolo 54 della Legge n. 354/ 1975 che stabilisce la possibilità che venga concessa al condannato a pena detentiva che abbia dato prova di partecipazione alla sua rieducazione. Consiste in una detrazione di quarantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata, valutando anche il periodo trascorso in stato di custodia cautelare, di detenzione domiciliare o di affidamento in prova al servizio sociale.
La misura della liberazione anticipata era oggetto di automatica revoca a norma dell’articolo 54, comma 3 in caso di condanna per delitto non colposo commesso durante l’esecuzione della misura. La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma in questione nella parte nella quale prevede l’automatismo della revoca. La detenzione domiciliare è prevista dall’art. 47 ter della L. n. 354/ 1975 per particolari casistiche e consiste nella possibilità di espiare la pena della reclusione nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza.
Secondo l’articolo 47 ter, la pena della reclusione per qualunque reato, ad eccezione di alcuni compresi quello ostativi, può essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza, quando trattasi di persona che, al momento dell’inizio dell’esecuzione della pena, o dopo l’inizio della stessa, abbia compiuto i settanta anni di età purché non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza né sia stato mai condannato con l’aggravante di cui all’articolo 99 del codice penale.
La pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell’arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, quando trattasi di: donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente; padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole; persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali; persona di età superiore a sessanta anni, se inabile anche parzialmente e persona minore di anni ventuno per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia.
Damiano Aliprandi
da il dubbio