Giustamente viene definito la “più grande prigione d’Europa”. Sarebbero infatti oltre 22mila le prigioniere e i i prigionieri del complesso penitenziario di Silivri a circa sessanta chilometri a ovest di Istanbul. In gran parte qui rinchiusi dopo il (vero o presunto) colpo di Stato – comunque mancato – del luglio 2016 contro Erdogan. Tra di loro molti giornalisti, avvocati e intellettuali.
Tra gli “ospiti” più noti – in una cella di 15 metri quadri – del carcere di massima sicurezza il filantropo, editore e difensore dei diritti umani Osman Kavala, accusato – oltre che di “spionaggio” – di aver organizzato la storica protesta di Gezi Park nel 2013 e di cui la Corte europea dei diritti umani aveva chiesto con forza la liberazione.
Da luglio è partita una campagna internazionale (“Free Osman Kavala”) a cui ha aderito anche Amnesty International.
Da ieri la tristemente nota istituzione totale è tornata alla ribalta.
Infatti le donne prigioniere si sono ribellate e – stando alle scarse notizie finora pervenute – avrebbero incendiato le celle come protesta per la morte dell’avvocatessa Ebru Timtik, deceduta dopo 238 giorni di sciopero della fame
Gianni Sartori