Ancora silenzio da parte dell’Onu dopo più di un mese e mezzo dall’omicidio di Mario Paciolla. Se non fosse stato per i familiari di Mario, per la sua amica e giornalista Claudia Duque, per i ricercatori, le attiviste e le inchieste indipendenti che sono state portate avanti in queste settimane il caso sarebbe rimasto archiviato come suicidio. Le verità che sono emerse dallo sforzo collettivo per fare luce sul delitto hanno demolito la tesi della polizia colombiana, fin da subito accolta dalle Nazioni unite che hanno sbrigativamente comunicato alla famiglia che Mario si era tolto la vita.
Gli agenti della polizia criminale che sono accorsi sulla scena del crimine sono finiti sotto inchiesta per aver permesso ai funzionari dell’Onu di far ripulire la stanza di Mario e disfarsi dei dispositivi elettronici che gli erano stati dati in dotazione.
Mentre i poliziotti sono finiti sotto processo, la magistratura colombiana ha insistito per ricevere il via libera per poter interrogare i membri dello staff della Missione di Verifica delle Nazioni unite che godono dell’immunità funzionale. L’ambasciatrice italiana all’Onu Mariangela Zappia, intervistata dal quotidiano Il Mattino, ha lamentato la mancata collaborazione delle Nazioni unite dichiarando che i suoi funzionari «ancora non si sono resi disponibili a essere interrogati».
Nel frattempo aumentano le ombre intorno alla figura del responsabile della sicurezza della Missione, Christian Thompson,che, secondo la ricostruzione di Claudia Duque, era in comunicazione con Mario poco prima della sua morte ed è stato il primo a presentarsi sulla scena del crimine compromettendola gravemente. Thompson è un sottufficiale dell’esercito colombiano con una formazione di prim’ordine nell’ambito della gestione della sicurezza privata e della diplomazia militare.
Occorre ricordare che la Missione dell’Onu a San Vicente del Caguán, in Colombia, dove stava lavorando ed è stato ucciso Mario Paciolla, si occupa di verificare la messa in vigore degli Accordi di pace tra il governo colombiano e il gruppo guerrigliero delle Farc, ormai diventato un partito legale dopo aver consegnato le armi nel 2016.
Le forze armate colombiane sono state l’attore principale coinvolto nella guerra contro le Farc durante la quale hanno implementato una violenza sistematica contro i gruppi guerriglieri e spesso anche nei confronti della popolazione civile e degli attivisti che difendono diritti umani.
Il fatto che a un sottufficiale dell’esercito venga affidata la responsabilità della sicurezza della Missione che si occupa di verificare il reintegro pacifico degli ex guerriglieri nella società colombiana può far sollevare dei dubbi sull’imparzialità e neutralità di tale processo di verificazione. Contraddizioni, che come riportato da Claudia Duque, venivano sollevate anche da Mario Paciolla.
Prima di lavorare con le Nazioni unite, Thompson si occupava di sicurezza per un progetto dell’Usaid, l’Agenzia degli Stati uniti per lo Sviluppo internazionale in Colombia, un’organizzazione che si occupa di promuovere la politica estera statunitense attraverso interventi umanitari. Usaid è considerata un attore che favorisce l’espansione dell’ingerenza statunitense in America latina e che non a caso è stata coinvolta in scandali legati allo spionaggio di alcuni governi latinoamericani.
Nel suo profilo professionale compaiono anche altri incarichi nella gestione della sicurezza legati a imprese private tra cui la Fidelity Security Company con cui Thompson garantiva ai clienti del settore minerario ed energetico la risoluzione di problemi logistici, tra cui le opposizioni ai progetti da parte delle comunità locali.
Questa commistione tra militari ed estrattivismo non è una novità in Colombia dove nel 2018 sono stati creati dei battaglioni armati che si occupano di proteggere il settore energetico e minerario e che garantiscono l’estrazione di materie prime alle multinazionali che depredano i territori.
Proprio a San Vicente del Caguán sono state assegnate 22 licenze petrolifere che permettono alle imprese di estrarre barili di greggio sotto la protezione dell’esercito. La militarizzazione della zona sembra inoltre favorire gli interessi di gruppi imprenditoriali legali e illegali per la vasta quantità di risorse idriche, minerarie e per l’accesso alla regione amazzonica dove è in corso una pesante deforestazione per impiantare monocolture e coltivazioni illecite.
Mentre le ambiguità continuano a sommarsi, il silenzio dell’Onu diventa sempre più pesante e viene da chiedersi come sia possibile che un militare con una preparazione di alto livello e un’esperienza internazionale come Thompson abbia potuto commettere un errore così grossolano compromettendo la scena del crimine ed entrando in possesso del computer e del cellulare utilizzati da Mario Paciolla. Secondo Anna Motta, le ragioni della preoccupazione di suo figlio Mario nei giorni antecedenti alla morte andrebbero ricercate proprio negli hard disk di quei dispositivi elettronici di cui ancora non si conosce il contenuto.
da il manifesto