C’è un nuovo elemento che potrebbe fare luce sulle tante ombre dell’omicidio dell’ispettore capo Filippo Raciti, ucciso il 2 febbraio 2007 a Catania, durante uno scontro violentissimo tra i tifosi padroni di casa e gli ultras del Palermo.
Si tratta della testimonianza di una donna, vicina alla famiglia Raciti, che a Le Iene – in una ricostruzione televisiva – rivela di aver sentito, durante la sepoltura dell’ispettore, un poliziotto rivolgersi al padre di Raciti: «Le dobbiamo porgere le scuse in quanto polizia – avrebbe detto l’uomo in divisa – perché è stato un errore di un collega nel fare la manovra».
Ad uccidere Raciti quella notte non sarebbe stato il colpo di un sotto-lavello inferto dall’allora ultrà catanese Antonino Speziale – condannato a otto anni e otto mesi per omicidio preterintenzionale – ma il fortuito incidente con il Discovery della polizia che, in retromarcia per sfuggire alle pietre e alle bombe carta dei tifosi, avrebbe schiacciato l’ispettore.
Una tesi, questa, da sempre sostenuta dalla difesa di Speziale rappresentata dall’avvocato Giuseppe Lipera. E vagliata da diversi gip, tribunali del Riesame e nei tre gradi di giudizio del processo a Speziale poi, però, condannato. «Questa testimonianza – spiega Lipera – mi sarà utilissima, ma spero di avere qualche altro elemento in più. La cosa incredibile è che dopo la messa in onda della puntata la procura non ha mosso un dito. Non ha chiesto agli autori de Le Iene il nome e il cognome della donna. Sembra che la procura non voglia accertare la verità, ma confermare le proprie idee precostituite». A muoversi, invece, è stata la Digos della questura di Catania che ha inviato alla procura etnea una relazione sul servizio trasmesso da Le Iene.
L’obiettivo per Lipera è «puntare alla revisione del processo. Per anni abbiamo lanciato appelli, perché mi rifiuto di pensare che solo chi guidava il Discovery abbia visto quanto è successo. Nessuno ci ha mai risposto. Basterebbe una prova nuova. Se verrà fuori presenteremo l’istanza di revisione e sono convinto andrà in porto». Speziale finirà di scontare la sua pena il prossimo 15 dicembre: «Il ragazzo è obeso, va in apnea notturna. È distrutto – dice Lipera – anche nel corpo. I domiciliari non gli sono mai stati concessi e nemmeno ora hanno il coraggio di dargli 15 giorni di liberazione anticipata. In questa storia, guarda caso, gli unici ad averci dato ragione sono i giudici romani della suprema corte di Cassazione». Che annullò l’ordinanza di custodia cautelare sottolineando “l’esistenza di lacune indiziarie”. I pm etnei, però, trovarono un escamotage: derubricarono il reato da omicidio volontario a omicidio preterintenzionale, cioè oltre le intenzioni. L’indagine venne riaperta ma non venne trovato nessun altro indizio.
«Il pronunciamento della Suprema Corte si sarebbe dovuto inserire nel fascicolo e il tutto doveva essere archiviato. La procura, invece, ha rinviato a giudizio Speziale e con gli stessi elementi indiziari, ritenuti dalla Cassazione lacunosi, l’ex ultrà è stato condannato», dice Lipera. Ma quali sono questi indizi lacunosi? Partiamo dalla retromarcia del Discovery della polizia, avvenuta nel momento in cui Raciti si è accasciato a terra. Interrogato più volte l’autista Salvatore Lazzaro ha cambiato la sua versione. Nel primo verbale afferma di “aver sentito un forte urto” e di “aver visto l’ispettore Raciti, che era fuori dal mezzo, portarsi le mani alla testa, barcollare, tanto da essere sorretto dai colleghi. L’ho sentito lamentarsi e gli mancava l’aria e subito si è accasciato per terra». Nel secondo verbale, Lazzaro si contraddice affermando di «non essersi avveduto dove loro (Raciti e il collega Balsamo, ndr) si trovassero perché c’era troppo fumo».
Nel terzo verbale, il poliziotto cambia completamente versione: «Raciti si trovava a dieci metri dal mezzo, escludo tassativamente di aver urtato colleghi attorno al mezzo». L’arma del delitto. Secondo la procura ad uccidere Raciti è stato un sotto-lavello staccato dai bagni dello stadio che Speziale avrebbe usato “a mo’ di ariete” colpendo l’ispettore. Ma gli specialisti del Ris di Parma hanno rilevato che “l’ipotesi dell’inidoneità del sotto-lavello sembra riunire maggiori elementi di probabilità». Inoltre i poliziotti che erano accanto a Raciti hanno affermato di non avere mai visto il proprio capo venire colpito da un sotto-lavello. E ancora il professore Carlo Torre, medico e criminologo, spiegò che un oggetto così poco pesante non è idoneo a fare quel danno. Ma c’è un altro elemento che solleva diversi dubbi. Raciti sarebbe stato colpito dal sotto-lavello alle 19.06 e con quattro costole rotte e un’emorragia al fegato avrebbe continuato a lavorare, in quell’inferno, affrontando corpo a corpo gli ultras, fino alle 20.25. Come avrebbe fatto? A supportare l’ipotesi dell’incidente, poi, ci sono i frammenti di vernice blu ritrovati dai Ris sugli anfibi di Raciti. Un blu che potrebbe essere compatibile con i colori istituzionali del Discovery. Ma ai Ris non venne chiesta un’analisi per capire da dove potesse provenire quella vernice.
«La vita di Speziale e dei suoi genitori è stata distrutta. Serviva un colpevole e bisognava trovarlo subito. Ricordo che ci fu un bombardamento mediatico fortissimo. Non potevo camminare per strada perché venivo etichettato come colui che ‘difendeva l’assassino di Raciti’. La condanna era già scritta», ricorda Lipera. «Ora – aggiunge – è diverso. Alcuni poliziotti mi fermano. Dicono di essere dalla mia parte perché sanno la verità». Che, proprio tra la polizia, forse, qualcuno conosceva. Nel 2008, infatti, un anno dopo l’omicidio Raciti, l’Unione Cronisti ha premiato l’inchiesta uscita su L’Espresso, a firma di Giuseppe Lo Bianco e Piero Messina, che ha messo in luce i punti più controversi dell’indagine sugli scontri di quella notte. In giuria, a premiare il lavoro dei due giornalisti, c’era anche un rappresentante del capo della Polizia. Che, però, ufficialmente ha sempre difeso la versione della procura.
Giorgio Mannino