Magari domani si smentisce, dirà magari di essere stato frainteso. Fatto sta che Berlusconi ha rimostrato i muscoli un’altra volta. Stavolta ce l’ha coi valsusini no tav che già tre autunni orsono fece riempire di mazzate dalla polizia meno democratica d’Europa. Per ottenere, allora, che la resistenza a una grande devastante opera si radicasse ancora di più sul territorio e nelle coscienze. Il 6 dicembre, lassù, ci sarà ancora festa nell’anniversario della battaglia. ««Per realizzare il Corridoio 5 il Governo potrà ricorrere anche all’uso della forza», ha annunciato dunque il premier intervenendo al Salone di ciclo & motociclo alla Fiera di Rho. «Lo Stato garantirà la possibilità di riprendere i lavori dei trafori alpini anche attraverso l’uso della forza così come è stato a Napoli per i rifiuti. Non c’è una minoranza organizzata – ha aggiunto – che possa fermare un cantiere o un’autostrada». Secondo Berlusconi manifestare contro questi lavori «non è un’espressione di democrazia ma una violenza contro i cittadini». Banale e violento, come da copione. «Pensa di essere il duce e vede chiunque protesti come un nemico interno da schiacciare con la forza», denunciando «una concezione antidemocratica» tipica dell’attuale capo del governo a proposito di opere pubbliche «inutili» e da realizzarsi «a prescindere dal grado di consenso che hanno sul territorio». E la Tav è dannosa per l’ecosistema e per l’erario. Non pare accettabile che in piena crisi economica il governo voglia buttare 20 miliardi di euro per garantire appalti ad aziende legate agli amici degli amici. «Il più grande affare dai tempi di Tangentopoli. 800 chilometri di alta velocità (da Torino a Trieste) costano 50 miliardi. Come 200 anni di budget del Quirinale, come 3 punti di Pil, come quattro finanziarie. 850 euro ciascuno, neonati compresi. La Valsusa sarà sconquassata e malsana e la linea sarà obsoleta per quando sarà pronta. L’eurodeputato Prc, Vittorio Agnoletto, ricorda l’escalation di Berlusconi: «Ha iniziato con l’esercito a Napoli, ha proseguito con i militari nelle grandi città, poi con i carabinieri nelle scuole e ora vuole mandare l’esercito in val Susa. Vuole trasformare la Costituzione in carta straccia e l’Italia in uno Stato di Polizia, dove qualunque dissenso espresso democraticamente verrà represso con la forza. Le minacce contro i cittadini della val Susa troveranno sicuramente una forte, democratica e pacifica risposta nella manifestazione che i valsusini stanno organizzando per il 6 dicembre; lo stesso giorno tre anni fa Berlusconi provò a piegare la valle con l’esercito e fu sconfitto dall’opposizione della popolazione». La val Susa è un esempio di democrazia: sono state raccolte in valle oltre 30.000 firme contro l’Alta Velocità e migliaia di cittadini aderendo alla campagna “Compra un posto in prima fila” hanno acquistato un terreno nei luoghi dove il governo vorrebbe costruire il tunnel di oltre 50 chilometri. Parole, quelle del premier «di una gravità assoluta», come dice pure Ciro Pesacane, presidente nazionale del Forum Ambientalista e promotore dell’appello per il corteo dell’11 ottobre scorso: «La gente deve aver il diritto di metter bocca sulle trasformazioni del proprio territorio. Nel resto d’Europa le opere infrastrutturali si fanno dialogando con le comunità interessate.Così Berlusconi fa capire le intenzioni bellicose anche sull’altro progetto folle di questo governo: il rilancio del nucleare».Perfino per Altero Matteoli, quella del suo principale è una «battuta forte». L’attuale ministro per le Infrastrutture – cacciatore ed ex ministro per l’Ambiente, quota An – prova a dire che la battuta sia stata buttata lì «per dimostrare quanto importante sia per noi quest’opera». Non ci si aspetti una levata di scudi dall’opposizione parlamentare. Di Pietro è spalmatissimo sulle grandi opere. E il Pd? «Ricordiamo al Cavaliere che tutti i cantieri dell’Alta velocità sono stati aperti dal centrosinistra. Il governo di destra finora non ne ha attivato neppure uno» Manca solo che Sergio D’Antoni, ministro ombra per il Mezzogiorno, aggiunga un sonoro “Pappappero!”. Fa di più: avverte del rischio che i cantieri aperti possano chiudere. «Le grandi opere vanno fatte, nessuno lo mette in dubbio. Ma i soldi programmati per lo sviluppo del Mezzogiorno devono rimanere al Sud», dice a proposito dei 16 miliardi sbandierati dal Cavaliere.
Checchino Antonini
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