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Uccisa Agitu Idea Gudeta, la ragazza etiope che allevava capre felici in Trentino

Hanno ucciso un sogno, Agitu è stata ammazzata il 29 dicembre in Trentino

Abbiamo ascoltato la sua storia. Le abbiamo fatto i complimenti. Siamo stati fieri di lei.

Per lei abbiamo avuto paura.

Lei, che era una donna colta, bella e che parlava l’italiano meglio di molti di noi, ci ha raccontato la sua storia. L’Etiopia lasciata, gli studi a Roma, il rientro in patria per difendere i “suoi” pastori dalle arroganze delle multinazionali; il ritorno in Italia, perché in Etiopia aveva dato fastidio a troppi, e la decisione di allevare capre, in Trentino.

Ha accettato i complimenti per la sua impresa, per quell’allevamento e caseificio che dava lavoro anche a rifugiati, che faceva formaggi buonissimi e allevava “capre felici”.

Ha accolto con un sorriso bellissimo il premio “Resistenza Casearia” che Slow Food le ha assegnato a Cheese 2015.

Nel 2017 è stata una delle storie che l’Unità, il giornale per il quale allora lavoravo, ha scelto di raccontare, l’8 marzo. Una storia di riscatto, titolava.

Ma ogni volta che ha potuto lei ha ripetuto, ci ha ripetuto, che era in pericolo. Ha raccontato delle aggressioni, dell’isolamento del luogo in cui viveva e lavorava, per cui le forze dell’ordine, se anche chiamate, non potevano arrivare prima di un’ora o due; e le sue denunce per essere accolte richiedevano la “flagranza di reato”. Sicché nulla poteva essere fatto. Ci ha detto che non se la prendevano solo con lei, ma anche con i suoi animali, glieli spaventavano, sguinzagliando cani o passando con moto rumorose vicino ai pascoli o ai recinti. Ha detto della tensione continua in cui viveva. In ogni occasione, in ogni intervista, lo ha ripetuto.

E noi abbiamo avuto paura, ogni volta. Perché sentivamo la violenza di quelle azioni, di quelle mani ad aggredirla, di quelle parole (“qui non ti vogliamo”); e anche la violenza di una comunità silente, di autorità rassegnate, apparentemente, ad attendere il peggio perché incapaci di prevenirlo, proteggendola.

Eccoci, al peggio: Agitu è morta, è stata ammazzata in casa propria, nelle sue montagne, nel suo – suo – Trentino.

Agitu e il suo sorriso sono scomparsi per sempre dalla faccia di questa terra. Per colpa nostra che abbiamo ascoltato, ci siamo inorgogliti, ci siamo spaventati. Ma poi non le abbiamo fatto da scudo, non ci siamo messi tra lei e il male.

Oggi tutti quelli che hanno storie simili alla sua, che stanno provando a dar forma a un sogno lontano dal proprio paese, quelli che ci stanno provando in Italia, quelli che ci stanno provando in Trentino sanno una cosa in più: sanno che provare a dar forma ai sogni, qui, è pericoloso perché si rischia di morire. Sanno che forse è meglio lasciar perdere, è meglio non provarci nemmeno.

Specialmente se sono donne, colte e nere.

E tutti noi che abbiamo ancora un barlume di civiltà a farci da guida sappiamo che purtroppo no, non viviamo in un paese civile.

Agitu Ideo Gudeta, non ti sarà lieve la terra, perché non era la terra che volevi. Volevi l’aria che respiravi, il lavoro dei tuoi muscoli e del tuo cervello, la storia che già avevi vissuto e quella che avevi intenzione di inventare, un giorno dopo l’altro, raccontandola a tutti, perché tutti potessero ispirarsi.

È tutto questo che hanno ucciso.

Ma la terra che coprirà la tua bara, soprattutto, non sia lieve a noi: fino a quando il modo in cui sei morta non sarà chiarito e fino a quando i responsabili non saranno puniti, possa, quella terra, pesare su ogni nostro respiro.

C’era un’ospite in casa nostra e qualcuno l’ha uccisa. Ci riguarda.

Cinzia Scaffidi

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La sua giornata comincia molto presto, alle 4.30 di mattina. “La mungitura è intorno alle 5, poi c’è da portare le capre al pascolo, per poi tornare a fare il formaggio nel caseificio”, spiega Agitu Idea Gudeta, 37 anni, occhi di un marrone brillante, sorriso smagliante e contagioso. “Le capre hanno il nome delle mie amiche e delle mie clienti, ognuna ha il suo carattere: Marta, Melissa, Rachele, Francesca, Ribes, Trilli”. Agitu Idea Gudeta è nata ad Addis Abeba, in Etiopia.

Quando aveva 18 anni è venuta in Italia per studiare sociologia all’università di Trento. Poi è tornata nel suo paese, da dove nel 2010 è stata costretta a scappare perché aveva ricevuto minacce da parte del governo guidato dal Fronte di liberazione del Tigrè (Tplf), al potere dal 1991. In Trentino, nella valle dei Mocheni, gestisce da cinque anni un allevamento di capre e un caseificio: undici ettari di pascoli e ottanta capre da latte. “L’idea era recuperare le razze caprine autoctone e valorizzare i terreni del demanio, abbandonati dagli allevatori locali nel corso degli ultimi decenni”, racconta.

Agitu ci tiene a raccontare la sua storia, che è simile a quella di tanti ragazzi costretti ancora oggi a lasciare l’Etiopia a causa della repressione del governo contro contadini e dissidenti. “Ero impegnata con un gruppo di studenti contro il land grabbing, denunciavamo l’illegalità degli espropri forzati dei terreni agricoli, voluti dal governo a spese dei contadini locali per favorire le multinazionali che li usano per coltivare cereali e monocolture destinate all’esportazione”, racconta. “L’Etiopia è un paese ancora agricolo e queste politiche del governo riducono alla fame i contadini che sono costretti a lavorare per le multinazionali per 85 centesimi di dollari al giorno”.

Agitu aveva partecipato ad alcune manifestazioni pacifiche con un gruppo di studenti universitari di Addis Abeba: denunciavano le condizioni di sfruttamento nell’Oromia, una regione centromeridionale dell’Etiopia dove vive un terzo della popolazione di etnia oromo. Le prime manifestazioni sono cominciate nel 2005, e la reazione del governo non ha tardato ad arrivare.

“Alcuni miei compagni sono stati arrestati, altri sono spariti e di loro non se ne sa ancora niente. A un certo punto ho capito che per me era venuto il momento di andarmene”, racconta Agitu in un perfetto italiano. La sua famiglia aveva già lasciato il paese nel 2000 per andare negli Stati Uniti. “Mio padre era un professore all’università e aveva capito che anche per lui era pericoloso rimanere nel paese”, racconta.

Nel giugno del 2016, l’ong Human rights watch ha denunciato la repressione “senza precedenti” nei confronti degli oromo e il silenzio degli alleati stranieri di Addis Abeba, a cominciare dall’Unione europea, che finora si è limitata a semplici dichiarazioni. Nell’ottobre del 2016 in Etiopia è stato dichiarato lo stato di emergenza, i militari sono scesi in strada e hanno represso duramente le manifestazioni contro il governo.

Secondo il rapporto di Human rights watch (Hrw), più di 500 persone sono state uccise nelle proteste dell’ultimo anno, ma il governo non ha confermato queste cifre. In due giorni, il 6 e 7 agosto 2016, nelle manifestazioni scoppiate nella regione di Oromia e di Amhara sono state uccise un centinaio di persone. Internet è stato bloccato per due giorni. “Molti sono in prigione, tanti attivisti sono stati uccisi, altri continuano a scappare”, racconta Agitu. Ma la comunità internazionale guarda in silenzio quello che succede in Etiopia. “L’importanza dell’Etiopia è strategica, con tutti i campi profughi che ci sono nessuno vuole rischiare di perdere il controllo del paese”, spiega Agitu, che nel frattempo ha scelto il Trentino per cominciare la sua seconda vita.

Quando sono arrivata a Trento, avevo duecento euro in tasca, niente di più

“In Italia avevo degli amici che avrebbero potuto aiutarmi e sapevo la lingua, così non ho avuto dubbi”, racconta. “Quando sono arrivata a Trento, avevo duecento euro in tasca, niente di più. Ho trovato lavoro in un bar, per mantenermi, ma nel frattempo ho cominciato a pensare all’allevamento delle capre. In Etiopia avevo lavorato in alcuni progetti con i pastori nomadi del deserto e avevo imparato ad allevare le capre. Ho pensato che con tutti questi pascoli non sarebbe stato difficile fare del buon latte, visto che sappiamo produrlo nel deserto”, dice Agitu, con una risata fragorosa e spontanea.

“L’idea è stata quella di recuperare alcune razze autoctone che hanno bisogno di mangiare poco per produrre molto latte, senza doverle nutrire con dei mangimi. Delle capre molto resistenti che non hanno bisogno di nulla, come la razza Mochena. Volevo un progetto che fosse sostenibile”, racconta. E così è cominciata l’avventura: è nata l’azienda biologica che produce formaggi e yogurt La capra felice. “All’inizio continuavo a lavorare al bar, ma poi pian piano sono diventata autonoma e adesso molti ragazzi trentini salgono al pascolo, vogliono imparare a curare e ad allevare le capre”, racconta.

Poi sono arrivati anche i riconoscimenti come quello per la Resistenza casearia di Slow Food e il Miglior prodotto per il Trentino. Nel 2015 Agitu e i suoi formaggi hanno rappresentato la regione all’Expo di Milano. “La soddisfazione più grande è quando le persone mi dicono che amano i miei formaggi perché sono buoni e hanno un sapore diverso. Mi ripaga di tutta la fatica e di tutti i pregiudizi che ho dovuto superare per farmi accettare come donna e come immigrata”.

Comments ( 1 )

  • Sono sconcertato, la polizia non può credere che il DIAVOLO abbia ucciso questo magnifico ANGELO per uno stipendio non pagato.La BESTIA è stata mandata per uccidere,solo che L’ANIMALE ha voluto approfittare del corpo dell’ANGELO.Uno SFREGIO a NOSTRO SIGNORE,che la BESTIA e il suo MANDRIANO pagheranno con la dannazione eterna.Visto che oramai la giustizia terrena non esiste più, grazie alle leggi DIABOLICHE che l’avvocato del DIAVOLO sfrutta come vuole. Inoltre grazie anche alle forze dell’ordine che dopo tante delusioni ormai non stanno nemmeno più ad approfondire, tanto poi gli avvocati NERI ribaltano tutto.Allora io propongo : LIBERTÀ per la BESTIA LIBERTÀ per la BESTIA LIBERTÀ per la BESTIA LIBERTÀ per la BESTIA. Perdoniamo l’ANIMALE,LIBERO SUBITO,dimostriamolgli che significa essere umani,CRISTIANI..LIBERO SUBITO che diventi uno slogan popolaRE..PREGO VOI Impegnatevi per far girare questa richiesta..create un blog per ottenere questa richiesta LIBERATE SUBITO LA BESTIA.Pero’,questo non rendetelo pubblico,una volta libero SUBITO ditemi dove posso trovarlo,in modo che possa parlargli e RISPEDIRLO in PACE nel suo MONDO, non badero’ a spese,dovessi anche pagare DIECI pacchi per farlo tornare IN PACE da DOVE VIENE.