Un detenuto racconta: «Picchiati brutalmente da un centinaio di agenti per la rivolta di Foggia»
Il racconto all’associazione Yairaiha Onlus sui fatti di marzo nel carcere di Foggia di un recluso che, temendo ritorsioni, vuole rimanere anonimo
Nel carcere di Foggia, pochi giorni dopo la rivolta di marzo, finita con tanto di evasione spettacolare, avrebbe fatto irruzione una squadra composta da numerosi caschi blu e ci sarebbe stato un vero e proprio massacro simile a quello che sarebbe avvenuto al carcere di Santa Maria Capua Vetere.
Ma andiamo con ordine. Nei giorni scorsi, – secondo quanto ha appreso l’associazione Yairaiha Onlus – agenti della squadra mobile di Roma, su richiesta della procura di Foggia, hanno ascoltato uno dei 5 detenuti citati nell’esposto presentato da Yairaiha lo scorso 29 marzo su delega dei familiari, in base ai loro racconti durante i colloqui telefonici su quanto sarebbe avvenuto la notte del 12 marzo. Esposto – reso pubblico da Il Dubbio – presentato dopo che sarebbero stati trasferiti e tenuti per oltre due settimane in isolamento totale e senza neanche la possibilità di telefonare alle proprie famiglie, lasciandole in un profondo stato di apprensione e angoscia. Dei 5 detenuti in questione nessuno ha partecipato alle rivolte. L’esposto è di mesi fa, ma molto probabilmente l’input è arrivato grazie al servizio di Report sulle carceri, a firma del giornalista Bernardo Iovene. Sì, perché nella trasmissione di Rai3, condotta da Sigfrido Ranucci, si fa riferimento anche al presunto pestaggio di Foggia.
Nel frattempo arrivano nuovi dettagli inquietanti e sconvolgenti. È sempre Yairaiha a ricevere la segnalazione di un altro detenuto, ma che non ha nulla a che fare con i cinque dell’esposto. Si tratta LO PORTO di un’altra inedita testimonianza, ma il detenuto vuole rimanere anonimo per paure di potenziali ritorsioni. Ricordiamo che parliamo di un momento tragico, sfociato in una evasione di massa. Per ricostruire la rivolta avvenuta il 9 marzo del 2020 ci affidiamo all’informativa del Dap, guidato all’epoca da Francesco Basentini, e inviata al ministro della Giustizia. Si legge nell’informativa che intorno alle ore 9,40, i detenuti chiedono insistentemente un incontro con il Direttore e il Comandante di reparto, esternando la preoccupazione di ricevere rassicurazioni sull’emergenza Covid 19. Il comandante di Reparto, unitamente ad alcune unità di polizia, giunge all’interno del cortile passeggi per fornire tutte le informazioni richieste. Nonostante ciò i detenuti iniziano a protestare e in massa escono dal cortile forzando i cancelli degli sbarramenti. Immediatamente viene dato l’allarme e richiesto l’intervento delle altre forze dì Polizia che accorrono sul posto. I rivoltosi, dopo aver forzato il cancello, entrano nell’ufficio Matricola e appiccano un incendio che distrugge la documentazione conservata e tutta la strumentazione informatica. I detenuti proseguono la protesta presso la sezione femminile ove, dopo aver forzato la porta d’ingresso, avrebbero strattonato le poliziotte impossessandosi delle chiavi delle stanze al fine di liberare le detenute, devastando e vandalizzando gli arredi e i dispositivi informatici. Contemporaneamente agli accadimenti in corso alla sezione femminile, altri numerosi detenuti forzano i varchi della portineria centrale sfondando il relativo cancello. Un gruppo tenta di raggiungere il Direttore, che veniva messo in sicurezza all’interno del box portineria. Immediatamente dopo i rivoltosi accedono nel piazzale esterno abbandonando così la zona detentiva. Altri numerosi detenuti giungono nel medesimo piazzale dopo aver sfondato il doppio varco della carraia. La ressa così costituita e formata da oltre 400 detenuti, si è impadronita di tutta l’area. Un gruppo di circa 100 detenuti si sono poi diretti verso il primo dei due cancelli di ingresso buttandolo a terra e favorendo in questo modo la fuga verso l’esterno di numerosi detenuti attraverso la porta pedonale temporaneamente aperta, sempre secondo l’informativa del Dap per mettere in sicurezza avvocati e alcuni operatori che manifestavano segnali di evidente paura.
Ed ecco che arriviamo alla testimonianza di un detenuto raccolta dall’associazione Yairaiha dove emergerebbe un atto violento molto simile a quello che sarebbe accaduto al carcere campano di Santa Maria Capua Vetere. A freddo, qualche giorno dopo la rivolta, e più precisamente il 12 marzo mattina presto, nel carcere di Foggia avrebbe fatto irruzione un centinaio di agenti con caschi blu, con volto coperto, scudi e manganelli.
«Mentre stavo dormendo – racconta il detenuto ad Yairaiha – non mi hanno dato neanche il tempo di alzarmi dal letto, 2 agenti mi hanno tirato giù dal letto e mi hanno sbattuto con la faccia a terra, mi mantenevano allungato a terra e con la faccia al pavimento, tenendo un piede in testa e l’altro sul corpo con tutto il loro peso». A quel punto, prosegue il racconto «gli altri 2 pensavano a darmi una scarica di manganellate su tutte le parti del corpo, mentre il quinto agente aveva il ruolo di prendere le fascette in plastica bianche, tenermi le braccia dietro la schiena con forza e legarmi i polsi, stringendo le fascette in modo di non far circolare neanche il sangue. In questo modo non potevo neanche coprirmi sia il volto che il corpo dalle scariche di manganellate, calci e pugni». Poi avrebbero fatto alzare lui e il suo compagno di cella, e l’avrebbero fatti uscire dalla cella facendolo passare in mezzo al ‘ tunnel’. «Lo chiamo così – racconta il detenuto all’associazione Yairaiha – perché tutti e 300 gli agenti erano posizionati nelle sezioni in 2 file, una fila di fronte all’altra per poi farci passare in mezzo a loro», e dalla sezione fino a verso l’uscita, avrebbero continuato a dare scariche di manganellate. «Per 10 secondi – prosegue il detenuto nel racconto – ho visto tutto nero sotto quelle manganellate, ho perso i sensi, ma nonostante ciò non si sono mai fermati con i manganelli, i pugni e i calci, che aumentavano sempre di più». Dopodiché il detenuto sarebbe stato messo su un furgone, dove avrebbe ricevuto altre manganellate, e l’hanno trasferito in un altro carcere scalzo e solo con il pigiama e da lì l’avrebbero trasferito in un altro carcere. La testimonianza prosegue: «Mi hanno chiuso in una stanza blindata dove non c’era niente, era vuota, neanche lo sgabello per sedermi e mi hanno tenuto una giornata senza bere, mangiare e non mi hanno fatto andare neanche in bagno, minacciandomi che se chiedevo qualcosa mi avrebbero continuato a picchiare, peggio di quanto avevo già avuto». Testimonia sempre il detenuto all’associazione che per 40 giorni avrebbe convissuto con dolori in tutto il corpo, soprattutto la testa dove avrebbe preso più colpi. «Avevo troppi dolori durante la notte – racconta sempre a Yairaiha -, non riuscivo neanche a dormire, e quando chiedevo di essere visitato, mi facevano attendere».
La testimonianza raccolta dall’associazione Yairaiha, ovviamente è da vagliare con attenzione. Resta il fatto che ci sono punti di convergenza anche con i racconti denunciati nell’esposto. Com’è detto, grazie soprattutto all’impulso di Report, sembrerebbe che la procura di Foggia si stia attivando.
«Si intravvede – commenta Sandra Berardi, presidente di Yairaiha Onlus – lo stesso modus operandi dei presunti pestaggi di Modena, Santa Maria Capua Vetere e altri. Più che ristabilire l’ordine si sarebbe trattato di una spedizione punitiva a freddo, una vendetta!». Berardi aggiunge anche una riflessione: «Mi rammarica che siano passati 10 mesi dall’esposto e solo ora sembrerebbe che sia dato seguito all’esposto. Temo che senza il servizio di Report e le denunce su Il Dubbio, forse tutto sarebbe rimasto sotto silenzio. Ora ci auguriamo che si faccia chiarezza sul carcere di Foggia, individuando i responsabili»
Damiano Aliprandi
da il dubbio