Bologna: Comunicare in Piazza Verdi non è reato. Assolti quattro attivisti della Rete Universitaria
Crolla il castello accusatorio del pm Giovagnoli, che ipotizzò due anni fa la violazione del Testo Unico di Legge sulla Pubblica Sicurezza di fascista memoria. Non fu una manifestazione non autorizzata ma un libero e festoso esercizio del diritto d’espressione.
Si trattò di una festa, o di un assembramento spontaneo di persone interessate a discutere del divieto di tre giorni di iniziative in Piazza, avanzato dalla Questura di Bologna a seguito di una richiesta avanzata dalla Rete Universitaria, realtà studentesca attiva tra il 2003 e il 2007. Non si trattò, ad ogni modo, di una manifestazione, e non fu turbato l’ordine pubblico.E’ stata un agente della Digos, teste d’accusa, a sottolineare questo discrimine. Per questa ragione, nell’udienza tenutesi mercoledì mattina, è stata la stessa accusa, rappresentata in aula dal pm Silvia Marzocchi, a richiedere l’assoluzione per quattro giovani al tempo attivisti della Rete. Assoluzione, con formula piena (il fatto non sussiste), concessa poi dal giudice monocratico Stefano Marinelli.
I fatti in questione si riferiscono al 15 maggio 2006. Già nel 2004 e nel 2005, senza peraltro particolari problemi di ordine pubblico, la Rete Universitaria aveva organizzato tre giorni di dibattito, musica e socialità nella piazza. Nel 2006, in piena polemica sul degrado, la questura vietò l’evento, per il quale era stata data comunicazione per i giorni 16, 17 e 18 maggio. Il giorno prima decine di studenti, alcuni attivi nei collettivi universitari, si riunirono festosamente nella piazza stessa per denunciare pubblicamente il divieto. La procura, nella persona di Paolo Giovagnoli (il famigerato pm dell’eversione) aprì un fascicolo ipotizzando la violazione del Testo Unico di Legge sulla Pubblica Sicurezza (TULPS) emanato dal fascismo nel ’31 e tutt’ora in vigore in molti sui articoli, tra cui l’art.18 che sanziona le riunioniMesi dopo furono inviato agli attivisti decreti penali di condanna per oltre 500 euro, a cui gli interessati si opposero, richiedendo il dibattimento. Che, giunto alla terza udienza, si è concluso nel migliore dei modi. A concorrere all’assoluzione anche un vizio di forma: non si può parlare di contravvenzione a divieto della questura, dal momento che esso non riguardava il giorno in cui è stato contestato il reato, ma i tre giorni successivi. Come in molti precedenti casi, il castello accusatorio innalzato da Giovagnoli risulta completamente smontato.
I fatti in questione si riferiscono al 15 maggio 2006. Già nel 2004 e nel 2005, senza peraltro particolari problemi di ordine pubblico, la Rete Universitaria aveva organizzato tre giorni di dibattito, musica e socialità nella piazza. Nel 2006, in piena polemica sul degrado, la questura vietò l’evento, per il quale era stata data comunicazione per i giorni 16, 17 e 18 maggio. Il giorno prima decine di studenti, alcuni attivi nei collettivi universitari, si riunirono festosamente nella piazza stessa per denunciare pubblicamente il divieto. La procura, nella persona di Paolo Giovagnoli (il famigerato pm dell’eversione) aprì un fascicolo ipotizzando la violazione del Testo Unico di Legge sulla Pubblica Sicurezza (TULPS) emanato dal fascismo nel ’31 e tutt’ora in vigore in molti sui articoli, tra cui l’art.18 che sanziona le riunioniMesi dopo furono inviato agli attivisti decreti penali di condanna per oltre 500 euro, a cui gli interessati si opposero, richiedendo il dibattimento. Che, giunto alla terza udienza, si è concluso nel migliore dei modi. A concorrere all’assoluzione anche un vizio di forma: non si può parlare di contravvenzione a divieto della questura, dal momento che esso non riguardava il giorno in cui è stato contestato il reato, ma i tre giorni successivi. Come in molti precedenti casi, il castello accusatorio innalzato da Giovagnoli risulta completamente smontato.
Fonte: Zero in condotta
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