In prima serata su Rai2 ogni mercoledì va in onda «La caserma», reality rivolto alla generazione che non ha conosciuto il servizio di leva, in cui l’esercito si mette in mostra con un’operazione utile a rafforzare la militarizzazione della società
Il servizio militare di leva è stato abolito con la cosiddetta legge Martino, che ha professionalizzato l’esercito, nei fatti, dalla fine del 2004. Chi scrive ad esempio fa parte dell’annata ‘85, ovvero la prima generazione che fu esente dall’obbligo di leva (in realtà ricevetti la prima chiamata ma rinviai all’anno successivo per motivi di studio, per poi essere associato con i nati nell’86 che furono ufficialmente i primi ad arruolarsi come volontari). Proprio nel 1985, un’era geologica fa, i Bloody Riot sfornavano uno dei più noti inni antimilitaristi del punk hc italiano:
Non ho rubato, non ho ammazzato, 12 mesi mi hanno dato
Altri tempi, altri contesti, certamente, che però ben sintetizzano l’umore generale in merito a un anno «regalato allo Stato». Non va dimenticato che a tifare per l’abolizione della leva obbligatoria furono sia destra che sinistra. Il ministro della Difesa dell’epoca era Sergio Mattarella, attuale presidente della Repubblica, che definì la scelta «il dividendo della pace dopo cinquant’anni». Oggi però, ad appena 17 anni di distanza, la nostalgia della naja è diventata sentimento comune: è nei discorsi della gente, nei commenti sui social, nelle proposte politiche (soltanto a ottobre 2020 Matteo Salvini prometteva che «quando torniamo al Governo reintroduciamo il servizio militare»).
Quel desiderio di autorità mista a paternalismo, quell’esigenza di raddrizzare le presunte cattive abitudini, quel misto di ordine e disciplina tanto caro a un’ampia fetta della popolazione e di cui l’esercito è il rappresentante più evidente, perfino quella mescolanza sociale che la leva garantiva (come se non ci fossero altri modi per coltivarla) sono diventate materia per un reality. La caserma, in onda ogni mercoledì sera per sei puntate su Rai2, intende portare «la generazione Z a misurarsi con prove, sfide e esercitazioni nelle quali ragazzi e ragazze saranno accompagnati da istruttori professionisti, ma anche con momenti dedicati alla memoria storica». Il format vede protagonisti quindici ragazzi e sei ragazze, dai 18 ai 23 anni e provenienti da tutta Italia, che a novembre 2020 hanno trascorso un mese in una residenza religiosa, adattata per l’occasione a mo’ di caserma militare: per di più «senza cellulari, internet e le comodità del nido familiare». Tra gli incantevoli sfondi naturali di Levico Terme, in provincia di Trento, il programma, così come scrive la Rai, «metterà alla prova la millennial generation, poco raccontata in tv, spesso individualista e meno abituata alle regole della vita di gruppo».
Le premesse, insomma, tracciano il quadro di una propaganda militare in prima serata come raramente era avvenuto finora. Mettendo in scena un reality che magari farà venire voglia a genitori e figli di arruolarsi in un corpo armato che, come attesta il rapporto 2019, ha un disperato bisogno di ringiovanire il personale: basti pensare che «il 36,3% dell’esercito ha oggi un’età superiore ai quarant’anni e, nel 2024, questa percentuale supererà il 50% del totale».
Dopo la prima puntata, sui forum appositi gli appassionati hanno contestato la veridicità del programma: troppo blande le punizioni (si fanno persino le flessioni con i tacchi, che orrore!), troppo miti le prove fisiche (sembra di stare in un villaggio vacanze). In realtà quel che importa è che il mondo militare italiano sta volontariamente mettendosi in mostra, mostrando solo ciò che desidera in una forma chiaramente edulcorata. Non va infatti dimenticato che nell’esercito, come dimostrano le vicende di contaminazione da uranio impoverito o i casi di Emanuele Scieri e Tony Drago o ancora i numerosi casi di suicidi in divisa, dominano ancora oggi omertà e silenzi.
Ecco perché guardare un reality come La caserma non è soltanto intrattenimento ma un esercizio politico, un disvelamento di valori. Se da una parte il casting è all’insegna del politicamente corretto – l’italo pachistano maniaco dell’ordine convive con la fashion blogger nata in Nigeria, così come gli uomini convivono con le donne nello stesso corridoio – quel che conta è che, per restare alla prima puntata, è tutto un susseguirsi di alzabandiera, rispetto, gesù aiutami tu, culto del fisico, urla, occhi bassi, inni all’obbedienza, inviti a non mollare mai, marce.
Per un’analisi più approfondita ci siamo rivolti a Charlie Barnao, professore associato di sociologia generale all’università Magna Grecia di Catanzaro. Da anni Barnao pubblica studi sulle forze armate, a partire dalla propria esperienza come paracadutista nella brigata Folgore di Pisa. Quell’autoetnografia, scritta insieme al collega Pietro Saitta, gli costò feroci critiche da parte degli ex parà, spalleggiate da Il Giornale. Barnao però non si è fatto intimorire, ha continuato ad approfondire i suoi studi e attualmente sta concludendo la stesura di una ricerca summa, dal titolo emblematico La (mala)educazione militare. Tra tortura e managerial science.
La militarizzazione della società è ovunque, a partire dal linguaggio, e l’attuale pandemia lo ha ribadito. Il Covid è un nemico, i medici sono in trincea, il virus si sconfigge con i militari. Come si inserisce la scelta della Rai, che ricordiamo è sempre un servizio pubblico, in questo processo?
Il reality della Rai si inquadra in un discorso culturale sulla militarizzazione che è già presente in diversi ambiti e molto studiato a livello internazionale, mentre per quanto riguarda l’Italia ha alcune specificità. Certamente la militarizzazione della società riguarda gli ambiti più disparati: si va dai videogames, che infatti vengono usati dagli stessi militari come forma di addestramento, alle palestre fino alla moda. I reality in questo senso già da tempo si collocano in questa scia, a partire dai luoghi stessi che vengono scelti, che sono sempre delle istituzioni totali, così come le caserme. Mi riferisco cioè all’idea di avere delle persone che vivono in un luogo ristretto e isolato dall’esterno, seguendo regole ben precise e rigide, che è già un primo punto di contatto col mondo militare. Spessissimo il modello psicologico, anche dal punto di vista delle interazioni, è quello comportamentista, stimolo-risposta, anche questo centrale in qualunque tipo di addestramento militare. Così si arriva ai contenuti, legati non solo alle strategie d’azione scelte ma anche alle forme di reality più diffuse, come quelli survivalisti. Il survivalismo ha infatti strettissime connessioni col mondo militare: nasce con la paura di un attacco nucleare, all’indomani della seconda guerra mondiale, e riprende forza dopo gli attacchi alle Torri gemelle del 2001. Vale la pena ricordare in questo senso che a partire delle guerre in Corea e in Vietnam tutti i corpi speciali sono addestrati attraverso i programmi Sere (Survival Evasion Resistance Escape), quindi incentrati su sopravvivenza, evasione, resistenza e fuga. I reality spesso si basano su pezzi di queste culture, da quelli più soft come L’Isola dei famosi a quelli più estremi come Nudi e crudi. Arriviamo così a La caserma, che ha strettissimi legami con il reality Il collegio [basti pensare che uno dei protagonisti de La Caserma, George Ciupilan, aveva partecipato anche a Il collegio, nda], e soprattutto al format originale, proveniente dalla Gran Bretagna, e intitolato Lads Army.
Pur se l’idea non è originale, c’è però un modo tutto italiano nella creazione del format. Ad esempio il programma ha indugiato molto sul rito del taglio dei capelli, alla maniera de Il collegio, pur se non ci sono rasature ma qualche spuntatina. Come a dire: duri ma non troppo. O c’è dell’altro?
Le differenze col format inglese sono a mio modo di vedere fondamentali, proprio per ragionare sulle specificità italiane. Lads Army è un reality ambientato negli anni Cinquanta, in cui i ragazzi vengono catapultati in un esercito dei tempi passati e in cui c’è un riferimento esplicito al servizio militare di leva. Inoltre col passare degli anni il reality cambia nome e diventa Bad Lads Army, quindi si tratta di cattivi ragazzi che vengono sostanzialmente raddrizzati con l’educazione militare. È un reality molto duro e realistico, probabilmente anche per via dell’ambientazione esplicitamente passata, senza musiche sdolcinate e altre cose. Su alcuni contenuti che si trovano su YouTube addirittura bisogna dichiarare di essere maggiorenne. Per quanto riguarda invece La caserma si parte dall’attualità, dunque non c’è una contestualizzazione temporale nel passato. Gli istruttori, così come nella versione originale, sono degli specialisti. La particolarità italiana sta nel fatto che gli istruttori sono legati ai paracadutisti Col Moschin, che facevano parte della Folgore e che costituiscono attualmente il reparto speciale più avanzato dell’esercito italiano. Sono gli eredi degli Arditi, per capirci. Con tutto ciò che significa dal punto di vista culturale. Stiamo in ogni caso parlando del livello di eccellenza dei corpi speciali nelle operazioni internazionali. Stride dunque ancora di più pensare a istruttori di cotanta esperienza e formazione che già, dopo poche battute, fanno da teneri padri di famiglia e da raffinati psicologi pronti a comprendere tutto e tutti. Rispetto dunque all’originale britannico, c’è molta meno violenza, anche verbale, segno che in Italia si è deciso di addolcire la pillola. Con un’educazione così blanda rispetto alla realtà io credo che il tema del servizio militare, nel formato italiano, sia più subdolo ma comunque esistente, da intendere sempre come opportunità per correggere le cattive abitudini.
La prima puntata del reality è tutto un susseguirsi di flessioni, intese sempre a scopo punitivo e a volte anche un po’ sadico. Basta guardare storto l’istruttore capo, ad esempio. Tu hai raccontato più volte di questi processi, avendoli anche subiti in prima persona: cosa innescano in chi li subisce e qual è lo scopo?
I piegamenti sulle braccia sono uno strumento educativo, oltre che formativo dal punto di vista fisico. La cosiddetta pompata è un elemento caratteristico dei paracadutisti, è una sorta di elemento distintivo della cultura della Folgore. Hanno pompato fino all’ultimo anche i Leoni della Folgore, cioè coloro che hanno partecipato alla battaglia di El Alamein. Questo per darti un’idea dello spirito di corpo rappresentato con questo rituale. Nel reality, come dici bene tu, al momento la pompata è solo uno strumento punitivo, tipicamente comportamentista, che viene appunto frequentemente utilizzato.
A un certo punto l’istruttore capo dice ai cadetti: «nella catena alimentare del mondo militare voi siete prima del plancton, verrete mangiati». Cosa presuppone una logica soverchiante come questa? Può essere uno dei segnali di quel fascismo endemico nelle forze armate, che hai individuato in un libro non a caso intitolato Costruire guerrieri?
Seppur in maniera molto più blanda rispetto alla realtà, il reality ripercorre le fasi che si vivono in caserma. Per restare alla prima puntata, la frase che ti ha colpito va nella direzione dell’iniziale annullamento dell’identità che si persegue nelle istituzioni totali come appunto le caserme. E si inserisce nell’affermazione del darwinismo sociale che è propria delle forze armate. In questo senso il reality è davvero poco realistico quando gli istruttori appaiono come dei buoni padri di famiglia. All’ingresso in caserma infatti si mira a perseguire uno shock molto forte. Proprio come succede nella tortura formalizzata dalla Cia nei propri manuali, il principio è lo stesso: nella fase iniziale il torturato deve essere preso alla sprovvista, deve perdere qualunque tipo di riferimento, e nel modo più violento possibile. Con l’obiettivo, nel caso della tortura, di ottenere una collaborazione e, nel caso dell’esercito, una persona da modellare. Non va dimenticato che l’obiettivo finale è sempre quello di creare un superuomo e, nel caso della donna, una donna che somigli quanto più possibile a un uomo. E non si può negare che teorie del genere hanno il proprio fascino, perché appunto spingono a mettersi continuamente alla prova per superare i rispettivi limiti in quella che può diventare una vera e propria droga.
È evidente un retaggio, potremmo dire, da legge della giungla e più in generale di un capitalismo individualista in cui, come viene detto, bisogna uscire dalla comfort zone. Pare di sentire i manager di oggi. Allo stesso tempo poi si fa appello a concetti come squadra e gruppo. Come si spiega questa sovrapposizione?
Non scopriamo nulla di inedito nell’affermare che la managerial science nasce negli eserciti, come modello per imparare a prendere decisioni in situazioni complesse. E, viceversa, le nuove scoperte della managerial science si applicano sempre più agli eserciti, come sottolinea una letteratura abbastanza nutrita. Il profondo legame con la cultura militare emerge anche nel linguaggio del management, con metafore ed espressioni come «teatro di guerra», «combattere l’ultima battaglia» o «blue ocean strategy».
Quali possono essere le conseguenze di un addestramento del genere? In un reality come La caserma la rotta sembra già essere tracciata: i giovani che prima erano lavativi, capaci di dire soltanto «scialla» all’autorità, dopo un mese di addestramento usciranno fortificati e migliorati. Ma è davvero così?
Sì, nel reality possiamo immaginare che l’educazione militare edulcorata che ci viene propinata, riuscirà a mostrare il meglio delle sue «potenzialità educative». Alla fine «raddrizzerà» i più ribelli e «temprerà» il carattere dei più deboli, mostrando a tutte le giovani reclute quali sono i valori «veri» e «sani» dell’uomo e della donna che diventano adulti. Nelle caserme reali invece esistono coloro che non ce la fanno, coloro che anche in momenti successivi della propria vita vivranno le conseguenze negative di questo tipo di addestramento. Chi molla viene sbeffeggiato e insultato, così come ad esempio è avvenuto in un caso con l’originale britannico Lads Army con scene particolarmente violente. Non credo che vedremo immagini del genere sulla Rai e in prima serata.
Charlie Barnao – professore associato di sociologia generale all’università Magna Grecia di Catanzaro.
Andrea Turco – giornalista siciliano, scrive di ambiente e temi sociali.