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Il governo di unità militare

La nomina a commissario per l’emergenza del generale Figliuolo rinnova il mito per cui l’unica organizzazione efficace è quella militare, cioè autoritaria. E per le forze armate il Covid si conferma un affare che aumenta finanziamenti e visibilità

In una scena famosa del film Vogliamo i colonnelli – feroce satira di Mario Monicelli che immagina un colpo di Stato in Italia sull’esempio del regime greco a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta – un gruppo sgangherato di nostalgici fascisti e vecchi arnesi dell’esercito si ritrova ad arringare giovani uomini bianchi che nelle intenzioni dovrebbero costituire la manovalanza del golpe. Il più esagitato è l’onorevole Giuseppe Tritoni, interpretato da Ugo Tognazzi. Le sue parole, a distanza di quarant’anni, risultano paradigmatiche:

Ordine, Obbedienza, Disciplina! Basta con l’anti-storica uguaglianza. Ma che vuol dire? Ma perché un ingegnere deve essere uguale a un muratore… madonna di un dio! Soltanto i coglioni sono uguali l’uno all’altro.

Di quel film, zeppo di riferimenti nemmeno troppo velati al principe Junio Valerio Borghese e alla destra del Movimento Sociale Italiano, quella appena riportata è una delle battute invecchiate meglio. Alla pari dell’invocazione del titolo. Nel dibattito pubblico, almeno in quello mainstream, di fronte alla millantata indisciplina del popolo italiano si finisce prima o poi fatalmente per invocare l’esercito. Ancor di più nell’era Covid che stiamo vivendo. Il governo Draghi ha accelerato questo processo. Il fatto più emblematico in questo senso è il recente affidamento della gestione dell’emergenza Coronavirus al generale di corpo d’armata Francesco Paolo Figliuolo, dal 2018 comandante logistico dell’Esercito italiano.

Al primo incontro ufficiale, avvenuto il 3 marzo al ministero dello Sviluppo Economico, Figliuolo si è presentato ovviamente in divisa. Ai più la scena di un militare in una stanza del potere sarà sembrata rassicurante, al massimo innocua. E però traccia un prima e un dopo a livello di immaginario, visto che a memoria non ci si ricorda di ufficiali militari in divisa per incontri al Mise. Vale la pena ricordare che quando a gennaio 2019 l’allora ministro degli Interni Matteo Salvini si presentò alla Camera con un giaccone della polizia, fu lo stesso Partito democratico a protestare in coro, segnalando che «alla Camera non possono entrare poliziotti per rispetto della volontà popolare». E in quel caso si trattava di un travestimento. Nelle sale governative, invece, gli uomini con le stellette a quanto pare sono ben accetti.

La divisa sta bene su tutto

D’altra parte, come ha ricordato il portale Formiche.net (da sempre vicino all’ambasciata Usa), «la Difesa è stata in prima linea nella lotta al Coronavirus sin dall’inizio dell’emergenza, e la nomina odierna è, da tale punto di vista, un’attestazione per tutte le Forze armate». Nell’agiografia generale del premier Mario Draghi, in cui anche le critiche al governo esulano da quelle al presidente del consiglio (come se potessero essere slegate), era facile prevedere la lode dei partiti che spingono a destra: Italia Viva, Forza Italia, Lega in primis. E allo stesso tempo la nomina di Figliuolo smonta immediatamente la storiella dell’opposizione parlamentare da parte di Fratelli D’Italia, con Giorgia Meloni che esulta ma comunque preferisce intestarsi la rimozione di Domenico Arcuri invece di cogliere la palla al balzo dell’ennesima ode alle Forze armate.

Così finisce che la più esplicita è Roberta Pinotti, ex ministra alla Difesa del Partito democratico. In un’intervista a Huffington Post l’attuale senatrice Pd afferma che «se vogliamo arrivare ad avere le vaccinazioni di massa, perché questo è il nostro obiettivo, noi dobbiamo immaginare un’organizzazione ‘militare’. In questo senso chi militare è mi pare particolarmente adatto». Si rinnova così quel mito duro a morire secondo il quale l’unica organizzazione efficace sia quella militare, cioè strettamente controllata, autoritaria e che comprime diritti fondamentali. Anche perché se ci si affida a un esperto di logistica militare poi non ci si può sorprendere se la «macchina organizzativa» sarà composta da militari. Per non essere da meno rispetto al collega Giancarlo Giorgetti, infatti, il 4 marzo il ministro alla Salute Roberto Speranza si fa fotografare presso la sede di viale Ribotta con altri due ufficiali, oltre Figliuolo, in un vertice sulla campagna vaccinale. Ma quali sono i mirabolanti risultati vantati dall’esercito in un anno di pandemia?

La gestione militare del Covid fino a ora

Quel che si sapeva finora dell’attuale commissario all’emergenza è che a febbraio 2020 si era occupato del rientro dei 57 italiani che si trovavano a Wuhan, i quali furono poi ospitati in un centro militare (e dove sennò?) nella periferia meridionale di Roma, dove fu applicata una quarantena di due settimane, in condizioni tutto sommato discrete. Un po’ poco, in ogni caso, per poter parlare di un modello di successo.

In realtà proprio il generale ha descritto i risultati ottenuti dalla sanità militare e militarizzata in un’audizione al Senato, presso la Commissione Difesa, lo scorso 24 novembre. A ricordarlo è Antonio Mazzeo, storico giornalista antimilitarista, in un pezzo che smaschera la propaganda a partire dall’analisi dei numeri forniti dal neocommissario. Il presunto modello a cui guardare è quello dell’Operazione Igea, strombazzata dai mass media, con il quale le forze armate hanno creato i cosiddetti drive trough per sostenere la campagna di somministrazione di tamponi e rilevare i contagi tra la popolazione. Sul sito del ministero si legge che «la Difesa ha fornito il suo supporto al Servizio Sanitario Nazionale per l’attività di screening del Coronavirus mettendo a disposizione della nazione 200 postazioni distribuite su tutto il territorio nazionale». Tuttavia «dal 23 ottobre 2020 al 18 febbraio 2021, secondo lo Stato Maggiore della Difesa, i 147 drive through istituiti hanno eseguito circa 1.500.000 tamponi tra molecolari e rapidi – fa notare Mazzeo – Come dire poco più di 11.000 tamponi al giorno, quando invece il sistema sanitario nazionale ha assicurato nello stesso periodo sino a 300.000 tamponi quotidiani. Va inoltre rilevato che solo una ridotta percentuale di medici e infermieri con le stellette ha davvero prestato le proprie funzioni nei drive through rispetto al personale che la Difesa aveva promesso di mettere a disposizione del Servizio Sanitario Nazionale: 148 ufficiali medici e 255 sottufficiali infermieri impiegati contro i 458 medici e 879 infermieri annunciati ai media».

Il tifo per l’esercito è impermeabile ai dati. Così su Il Giornale del 3 marzo, in attesa di piani precisi, la corsa ai vaccini appare praticamente già conclusa. «Oggi Figliuolo ha il timone fra le mani e moltiplicherà la potenza di un motore che può fare miracoli», e l’uso del verbo al futuro semplice non lascia spazio a dubbi e indecisioni. «Il generale di corpo d’armata ha già un’idea precisa: riconvertire i 140 drive through, già in uso per i tamponi, poi sfruttare il patrimonio immobiliare dello Stato, in prima battuta le caserme e ancora, palazzetti dello sport, stazioni, aeroporti – si legge ancora – Ci sono strutture militari che con qualche ritocco e spese modestissime sono state riconvertite sulla prima linea». Diventa dunque chiaro che si parte da «numeri incoraggianti ma siamo solo agli inizi e per questo i soldati non nascondono il disappunto per i mesi in cui hanno viaggiato con il freno a mano tirato». Non certo per via di minori entrate, visto che nel 2020 la spesa per le tre forze armate è cresciuta fino a 15,32 miliardi di euro contro i 13,98 del 2019 con un incremento di ben 1,3 miliardi (+9,6%) mentre nel 2021 tale stanziamento dovrebbe salire a circa 17 miliardi con almeno 7 miliardi (4 del bilancio e 3 dai fondi del Ministero dello sviluppo Economico) destinati ad acquisire nuovi mezzi, armi ed equipaggiamenti. Allo stesso modo, come scrive il mensile Altreconomia, «nonostante la pandemia, le spese militari e gli investimenti a beneficio della Difesa non accennano a calare». In realtà la lezione da trarre dalla nomina di Figliuolo è un’altra: per le forze armate il Covid è un affare che ne rafforza la presenza nei territori.

Dalle armi alla transizione ecologica (e ritorno?)

Non va meglio se si pensa che al nuovo ministero della Transizione ecologica il premier Draghi ha nominato Roberto Cingolani, ex manager del gruppo Leonardo, la partecipata italiana attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza. Sarà proprio Cingolani a gestire la fetta più grossa dei 209 miliardi di euro in arrivo dall’Europa nei prossimi anni: più di un terzo dei fondi del Next Generation EU dovrà finanziare il capitolo intitolato «Rivoluzione verde e transizione ecologica», sul quale puntano non soltanto le aziende energetiche italiane come Eni ed Enel e Snam, che mirano a riscrivere il Recovery Plan a proprio uso e consumo, ma anche la stessa Leonardo.

Proprio così: il futuro green e sostenibile potrebbe essere affidato al gruppo industriale invischiato coi propri mezzi nelle guerre di mezzo mondo. Il 9 febbraio scorso l’amministratore delegato Alessandro Profumo è stato ascoltato dalle commissioni Bilancio e Attività produttive della Camera. L’ex banchiere ha parlato tra le altre cose di intelligenza artificiale (tanto cara anche a Cingolani), sistemi di comando e controllo, perfino «la gestione di impianti industriali come una grande centrale elettrica o una grande raffineria» nonché «modelli di sanità digitale cloud-based e data-centric». A un certo punto, rispondendo alla domanda di un deputato, Profumo parla del «collega Cingolani», lo stesso che 3 giorni dopo diventerà ministro. In attesa di appurare se il reggente alla Transizione ecologica avrà un occhio di riguardo per l’azienda dalla quale proviene, c’è un’ultima annotazione da fare.

Coprifuoco cammina con me

Il primo Dpcm del governo Draghi conferma molte misure del governo Conte, dai colori delle Regioni fino al divieto di spostamento tra le stesse. Soprattutto conferma il coprifuoco dalle 22 alle 5 del mattino, ovvero la misura più militaresca che ci sia, definita non a caso su Wikipedia in era pre-Covid come «un ordine imposto solitamente dalle autorità statali e/o militari a tutti i civili e a tutti coloro che non hanno un determinato permesso rilasciato dalle autorità». Se da un anno il provvedimento di ordine pubblico è diventato un totem inviolabile – neppure quando autorevoli studi e riflessioni acute ne dimostrano l’irrazionalità come «misura anti contagio» – si intuisce che la presunta discontinuità del governo Draghi è, al solito, nella forma più che nella sostanza. Si prenda ad esempio il caso della conferenza stampa del 2 marzo, con la quale sono stati illustrate le decisioni firmate dal premier. Fior di analisti si sono concentrati sulla presunta riscoperta collegialità del governo, data la presenza dei ministri Speranza e Gelmini e dei tecnici, oppure, a seconda dei posizionamenti, l’assenza di Draghi è stata interpretata come una fuga dalle responsabilità. Eppure negli stessi giorni Repubblica rinnovava l’altro mito militare, quello dell’uomo solo al comando, con un presidente del consiglio che starebbe riscrivendo il Recovery Plan da solo. Perché si sa che un buon comandante è colui che quando c’è da decidere assume i pieni poteri. È il governo di unità militare, tocca stare sull’attenti.

La marcia di Sanremo

Piccola nota a margine: intanto a Sanremo per la serata di inaugurazione del festival si è esibita per la prima volta la Banda Musicale della Polizia di Stato, che ha presentato un medley di brani. L’anno scorso era stato il turno della Banda Musicale dell’Arma dei Carabinieri, che ha aperto la serata finale del Festival di Sanremo 2020 sulle note del Canto degli Italiani, ovvero l’inno nazionale. Sono solo marcette, no?

Andrea Turco giornalista siciliano, scrive di ambiente e temi sociali. Si ringrazia per la collaborazione a questo articolo Fabio D’Alessandro.

da Jacobin Italia