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Grecia: Botte e torture nel carcere di Atene

All’ora di pranzo un laconico comunicato della polizia smentiva la testimonianza ma la sua credibilità inciampava sul fatto che sbagliava perfino il nome del denunciante

«Stupreremo anche il tuo cucciolo, mi gridavano mentre mi pestavano a manganellate, calci e pugni nel seminterrato della questura di Atene». Un pestaggio senza fine, interrotto solo per trasferire la vittima, legata con le mani dietro la schiena e incappucciata, in un piano alto per mostrargli la finestra: «Se vuoi dare fine al tuo calvario, nessuno ti fermerà. Tanto tra pochi giorni andrai in galera per tentato omicidio». E poi subito altre botte, chiedendo nomi e informazioni, con la vittima stesa sul pavimento, sempre legata e incappucciata.

Il pestaggio è stato interrotto solo a tarda notte per rinchiudere la vittima in cella dove ha incontrato un amico e compagno, anche lui pesto. I due detenuti sono rimasti là due giorni in pieno isolamento senza toilette e senza acqua. Per fortuna qualche bottiglietta sono riusciti a passargliela altri manifestanti detenuti nelle celle vicine.

La prima del giornale Efimerida ton Syntakton

Nessuna comunicazione permessa, né con la famiglia né con l’avvocato. La madre del torturato aveva telefonato in questura, ma i poliziotti mentirono, dicendo che non ne sapevano nulla. È il racconto fatto al quotidiano ateniese Efimerida ton Syntakton da Aris Papazacharoudakis, 21 anni, militante del collettivo anarchico Masowka di Nea Smyrni. Proprio nei pressi della sede del collettivo la settimana scorsa Aris è stato rapito dai poliziotti. Era il giorno dopo la grandiosa manifestazione con cui Nea Smyrini ha protestato con forza contro la brutalità poliziesca.

Un rapimento in pieno stile sudamericano: incappucciato per strada, ammanettato e gettato dentro una macchina senza targa. L’imputazione sarà comunicata solo alla fine del suo martirio in questura, quando, pesto in ogni parte del corpo, comparve di fronte al pubblico ministero. La quale lo ha lasciato libero senza mostrare particolare interesse per le sue condizioni. Il suo compagno invece è stato condotto in carcere, in base a «indizi» derivanti dalle registrazioni delle telefonate. Registrazioni effettuate senza mandato, così come nessun magistrato ha mai autorizzato la schedatura dell’attività politica dei due giovani.

Ieri Efimerida ton Syntakton ha pubblicato la sconvolgente testimonianza di Aris in prima pagina.

All’ora di pranzo un laconico comunicato della polizia smentiva la testimonianza ma la sua credibilità inciampava sul fatto che sbagliava perfino il nome del denunciante. Aris non è il primo a denunciare torture e maltrattamenti nelle mani della polizia. Il 7 marzo, la sera stessa della manifestazione a Nea Smyrni, la diciottenne Efi è caduta nelle mani dei poliziotti che non hanno mai smesso di picchiarla, di palpeggiarla e di minacciarla di stupro. Il pestaggio e le minacce sono continuate fino a domenica, quando è stata liberata con obbligo di dimora e con pesantissime accuse.

Anche nel suo caso nessuna comunicazione permessa e totale disinteresse da parte del pubblico ministero. Ma la giovane ha avuto il coraggio di non limitarsi alle denunce nei mezzi di informazione ma ha coinvolto anche l’autorità giudiziaria.

Dimitri Deliolanes

da il manifesto