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Processo NoTap: 67 condanne e 25 assoluzioni

Processo per le proteste contro la realizzazione del gasdotto Tap. Sessantasette condanne (a pene comprese tra i 6 mesi e i 3 anni 2 mesi e 15 giorni di reclusione) e 25 assoluzioni

Un’azione giudiziaria massiva quella messa in campo contro le mobilitazioni che hanno attraversato il Salento destinatario suo malgrado dell’approdo della gigantesca infrastruttura energetica destinata a trasportare il gas dall’Azerbaijan all’Europa passando per l’Italia e osteggiata per la sua pericolosità e inutilità; 78 capi di accusa, quasi 100 imputati e 3 distinti procedimenti per reati quali danneggiamenti, resistenze, violazioni di divieti, oltraggi e manifestazioni non autorizzate.

I fatti si riferiscono a quanto avvenuto fra il 2017 e il 2018, quando un malcontento popolare esplose con l’apertura dei cantieri per la costruzione del gasdotto e il trasferimento degli alberi di ulivo. Un evento traumatico per una popolazione abituata a considerare gli ulivi parte del proprio patrimonio storico, culturale ed affettivo, elementi di un paesaggio anche interiore, icone del senso di appartenenza a quella terra. Questo oltre alla consapevolezza, raggiunta grazie al lavoro di ricerca e informazione svolto negli anni precedenti assieme a tecnici ed esperti, della nocività e illegittimità di quell’opera imposta dall’alto con un iter autorizzativo controverso e carente dal punto di vista tecnico.

Le immagini delle campagne salentine piene di polizia in tenuta antisommossa, degli ulivi secolari impacchettati e trasportati come scheletri cupi, di persone anziane, donne, bambini trascinati a terra, dei manganelli sui sindaci in fascia tricolore, avevano fatto il giro del mondo. La successiva militarizzazione del territorio, l’istituzione di zone rosse e la pioggia di corpose multe e fogli di via dettero la misura della volontà di realizzare l’opera ad ogni costo, nonostante gli errori e le forzature denunciate contro Tap, società i cui vertici sono attualmente sotto accusa per disastro ambientale.

Un processo che avanza lentamente mentre quelli contro gli attivisti Tap, che hanno avuto inizio lo scorso settembre nell’area bunker del tribunale di Lecce, procedono a spron battuto: uno tratta diversi episodi riconducibili a manifestazioni pubbliche o blocchi dei mezzi e riguarda 46 persone; un altro imputa a 56 persone la violazione dell’ordinanza prefettizia che delimitava una «zona rossa» attorno al cantiere; il terzo riguarda una manifestazione nei pressi di un altro cantiere, per cui 25 persone sono accusate di aver danneggiato le recinzioni e di aver oltraggiato le forze dell’ordine esibendo il dito medio in direzione di un elicottero in volo. Ad essere condannati soprattutto cittadini e cittadine locali.

Le sentenze del giudice Pietro Baffa, presidente della seconda sezione penale del tribunale di Lecce sono andate ben oltre le richieste dei pubblici ministeri, che in molti casi avevano chiesto l’assoluzione: puniti con 6 mesi di reclusione reati amministrativi che generalmente prevedono l’arresto per un mese e il pagamento di una multa ;in alcuni casi si è arrivati a 3 anni e mezzo di reclusione e l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni e mezzo. Pochissime le assoluzioni. Un accanimento di cui gli avvocati difensori avevano il sentore e che non li fa demordere. «Esistono gli argomenti perché il risultato cambi nei gradi successivi di giudizio» afferma l’avvocato Francesco Calabro, che si dice perplesso per il termine fissato dal giudice per la deposizine delle motivazioni delle sentenze contro cui la difesa ricorrerà in appello. «Fa pensare che 3 sentenze di quella complessità vengano scritte in soli quindici giorni, come se le discussioni precedenti fossero state inutili».

Comunicato del Movimento No Tap

ADELANTE Si va avanti NONOSTANTE TUTTO.

Avremmo tanto da dire su quanto accaduto ieri nell’aula bunker del carcere di Lecce, cercheremo di farlo, rimanendo lucidi davanti ad un giudizio che, a nostro avviso, ha avuto un evidente indirizzo politico.

Ci troviamo qui a dover commentare ancora una volta la criminalizzazione messa in atto da un apparato repressivo che coinvolge lo Stato a diversi livelli, con la complicità di una certa stampa che, senza essere presente a nessuna delle udienze, è stata pronta a giudicare, arrivando a definire “esito finale” quello che è solo il primo grado di giudizio.

Tutto questo sembra un accanimento contro il diritto al legittimo dissenso nei confronti di un’opera inutile, dannosa e imposta, presentata come strategica, che invece di strategico ha solo il raschiare il barile dei fondi europei. È un’opera #climalterante che va contro ogni sana logica di cambiamento, lontana anni luce da quella transizione energetica di cui in nostri politici si vantano tanto. Pare sempre più evidente che questo accanimento è rivolto a chi protesta contro quel sistema in cui il #tap è inserito, un sistema di sviluppo che strizza l’occhio al potere economico, abbandonando intere popolazioni alla propria sorte. Un sistema che alletta con le sue sirene ma che lascia intorno a sè distruzione, povertà e un sempre maggiore divario tra classi sociali.

Non sarà questa sentenza a farci indietreggiare, non sarà questo chiaro messaggio intimidatorio a farci desistere dal continuare a credere che siamo la parte migliore di questa brutta storia, che siamo dalla parte giusta.

Ci eravamo meravigliati quando il giudice, Presidente di una sezione penale, aveva avocato i tre processi a sé, decidendo di celebrare tutte le udienze in tempo così rapidi (3 procedimenti penali, di cui uno con 78 capi di imputazione, in appena 7 mesi – udienze pressoché settimanali-, con una mole di materiale videoregistrato immenso da consultare per la difesa). Ci era sembrata del tutto fuori luogo l’esternazione del Giudice quando, nelle prime fasi dell’istruttoria, dichiarò che la testimonianza del pubblico ufficiale doveva considerarsi già di per sé veritiera. Siamo rimasti attoniti, nonostante fossimo preparati all’esito, quando il giudice leggendo i dispositivi delle sentenze ha emesso condanne che, nella maggior parte dei casi raddoppiavano, e talvolta triplicavano, le richieste del PM.

Si tratta di condanne che variano da un minimo di un mese a un massimo di 3 anni e che vedono coinvolti 86 attivisti. Pene severissime, se si pensa che molte delle impostazioni riguardano reati che vanno da oltraggio a p.u., a lancio di ciclamini o uova, a resistenza a p.u..

Ma ciò che fa più pensare, e lo hanno ribadito anche i nostri legali, sono i soli 15 giorni valutati da Giudice come sufficienti per depositare le motivazioni delle sentenze. Il numero elevatissimo di attivisti imputati e la complessità dei contesti e dei fatti, ci aprono ad un interrogativo: ci chiediamo se il Giudice dovrà spendere giorni e nottate per fornire motivazioni soddisfacenti o se, in realtà, il tutto non lo abbia già elaborato. Ai 15 giorni ne seguiranno 30 affinché i nostri legali possano elaborare e depositare gli appelli. Tempi strettissimi che non solo limitano la possibilità di imbastire una difesa serena e priva di pressioni, ma che impongono ancora una volta un tour de force ai nostri legali.

La regia che si cela dietro all’imposizione di questo sistema ha da sempre avuto bisogno di criminalizzare chi lotta per le giustizie sociali ed ambientali, così come ha la necessità di incutere timore nelle popolazioni istituendo zone rosse e limitazioni, mostrando i muscoli e schiacciando la ragione ma, malgrado tutto questo, ci sentiamo di ribadirlo ancora più forte.

Nonostante tutto ci troverete ancora qui:

noi l’effetto

voi la causa del nostro malcontento.

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Difendere i difensori dei diritti della terra

L’introduzione al paragrafo sul Movimento No Tap del dossier sull’esperienza giudiziaria dei movimenti salentini curato nel 2018 dall’Avvocato Elena Papadia dell’Associazione Bianca Guidetti Serra

È stata resa nota la sentenza di primo grado nel processo che vedeva implicati circa cento attivisti No TAP , con condanne che vanno dai 3 mesi ai 3 anni e svariate migliaia di euro di risarcimenti da discutere in separata sede. Il giudice ha deciso quasi di raddoppiare le richieste di condanna del Pubblico Ministero.

Nel confermare la nostra solidarietà al movimento, proponiamo la lettura del dossier  “Difendere i difensori dei diritti della Terra: un dossier sull’esperienza giudiziaria dei movimenti salentini”, redatto nel 2018 dall’Avv. Elena Papadia nell’ambito di un lavoro collettivo promosso nel 2018 dall’Associazione Bianca Guidetti Serra, a cui hanno partecipato il prof. Michele Carducci (UniSalento), Francesco Martone (Rete In Difesa di) e i legali di riferimento degli attivisti.
Il dossier, oltre ad una panoramica generale sulle vertenze ambientali del territorio salentino, approfondisce i temi della criminalizzazione dei movimenti di difesa della terra, con particolare riferimento al “Popolo degli ulivi” e al Movimento No TAP.
Contiene una ricostruzione cronologica dell’escalation repressiva citando i casi giudiziari più significativi e le violazioni perpetrate a danno degli attivisti nel loro status di Human Rights Defenders, anche sulla base delle Linee Guida OSCE.

Pubblichiamo, di seguito, l’introduzione al paragrafo sul Movimento NO TAP, rimandando per l’approfondimento dei casi specifici, alla lettura del dossier.


Difendere i difensori dei diritti della Terra: un dossier sull’esperienza giudiziaria dei movimenti salentini
Elena Papadia
Associazione Bianca Guidetti Serra, 2018 – 57 pp.

Download:


Il contrasto al gasdotto TAP in Salento: un’esperienza paradigmatica di attivismo tra repressione sistematica e accanimento giudiziario

L’attività del Comitato è stata sempre accompagnata dal supporto di tecnici, giuristi, docenti universitari ed esperti, che hanno offerto il proprio contributo all’individuazione di omissioni, violazioni, limiti progettuali e criticità che l’infrastruttura presenta.
Al dissenso del Comitato NOTAP e della popolazione civile, si è affiancato quello degli Enti locali – primo tra tutti il Comune di Melendugno (LE), luogo di approdo del gasdotto- i quali hanno costantemente denunciato la propria estromissione dagli iter decisionali e le gravi limitazioni poste alle proprie competenze ed ai propri poteri istituzionali sui territori di competenza, alla luce della dichiarata “strategicità  dell’opera” da parte degli organi politici e di Governo nazionali e comunitari, connotato che di fatto esautora gli enti locali dalla possibilità concreta di bocciare la realizzazione del progetto.

E’ a partire dal Marzo 2017 – ovvero dall’avvio dell’espianto degli ulivi presso il cantiere TAP in località San Basilio a Melendugno (LE), luogo individuato in progetto per la realizzazione del pozzo di spinta del gasdotto – che la battaglia, fino ad allora circoscritta soprattutto ad iniziative di natura giudiziaria, informativa, e di collegamento internazionale con l’opposizione al TAP all’estero, diventa massiccia protesta di piazza e di popolo, che vede schierati privati cittadini, parte del mondo accademico e medico, associazioni socio-culturali, ambientaliste, collettivi, Enti locali per un totale di 94 (su un totale di 97) Sindaci di Comuni Salentini (firmatari di un documento congiunto inviato al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella), liberi professionisti, piccoli e medi imprenditori locali.

Tutti confluiscono nell’ampia e variegata compagine del Movimento NOTAP.
Esso nasce ponendosi quale finalità “la tutela e  salvaguardia dei territori, l’autodeterminazione delle popolazioni che credono in un modello di sviluppo sostenibile, diverso da quello imposto, contro la speculazione finanziaria a scapito delle comunità.”, obiettivi perseguiti praticando “una resistenza non violenta ma determinata”2.
Tali presupposti lo collocano a pieno titolo tra quelle formazioni e gruppi sociali che operano per la salvaguardia dei diritti umani, garantendo a coloro i quali agiscono nell’ambito di esso – per i medesimi scopi e con le medesime modalità non violente – le tutele garantite dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Difensori dei Diritti Umani del 1998 e dalle Linee Guida OSCE sulla tutela degli Human Rights Defenders.

Ciò nonostante, la nascita del Movimento NOTAP ed il susseguirsi degli eventi, a partire dal Marzo 2017, segnano l’avvio di una escalation repressiva nei confronti di esso, dei suoi singoli componenti e dei suoi sostenitori.
La stampa locale e nazionale, mostratasi spesso compiacente nei confronti della Multinazionale, avvia una campagna di criminalizzazione del Movimento, tacciato  di ospitare frange anarco-insurrezionaliste e antagoniste3: ciò di fatto e volutamente ignora l’anima eterogenea e variegata di esso, composta da uomini e donne di tutte le età, anziani, giovani studenti,  liberi professionisti, docenti universitari, donne e uomini della società civile di ogni orientamento politico, oltre che esponenti politici locali e nazionali.
Attivisti provenienti dai centri sociali, etichettati strumentalmente dalla stampa e dalle autorità come violenti, non costituiscono fra l’altro che una esigua minoranza nell’ambito del Movimento; eppure la campagna mediatica di demonizzazione intrapresa in tal senso è il pretesto per aprire la strada ad un controllo stringente e ad una pressione costante operata da parte degli Organi territoriali deputati alla tutela dell’Ordine Pubblico e della Sicurezza.

Parallelamente si pone l’atteggiamento di una parte della Magistratura salentina, che se da un lato tace o si dilunga in merito alle denunce e agli esposti proposti dai cittadini rispetto alle condotte illecite poste in essere dal Consorzio Svizzero, dall’altra è estremamente celere, efficiente e pronta nell’agire nei confronti degli attivisti, denunciati in misura sempre crescente dalle Forze dell’Ordine, poiché ritenuti responsabili delle più svariate fattispecie criminose.

In un panorama salentino di emergenze ambientali, di attivismo ecologista, di diritti umani violati – dal diritto alla salute, alla vita, ad un ambiente salubre al diritto di riunione, di libera espressione di opinione e di dissenso, di accesso alle procedure amministrative, soprattutto quando relative a progetti, opere, attività impattanti per l’ambiente1, in un contesto di compressione di spazi di partecipazione democratica e di libertà, di netto ostruzionismo e prepotenza istituzionale rispetto al diritto della cittadinanza attiva a prender parte, conoscere, accedere a procedure e procedimenti burocratici che di fatto incidono sul loro presente e sul futuro delle generazioni a venire, di sistematica indifferenza rispetto alle istanze della popolazione locale, di intolleranza rispetto al dissenso, anche quando pacifico, si colloca, ed anzi si impone, per ricchezza di contenuti, sfumature, aspetti tecnici e giuridici, l’opposizione locale alla realizzazione del Gasdotto TAP.

Il dissenso maturato nei confronti dell’infrastruttura si fonda sul fumoso iter di rilascio delle autorizzazioni ambientali da parte del Ministero dell’Ambiente Italiano, sulla mancata applicazione della Normativa Seveso di prevenzione di incidenti industriali rilevanti, sulla inosservanza degli Accordi di Parigi in materia di progressivo abbandono dello sfruttamento di fonti fossili, sul legame tra l’infrastruttura e il regime dittatoriale azero, sulle modalità d’azione della Multinazionale che ha eluso di acquisire il parere preventivo delle popolazioni locali, assolutamente contrarie alla realizzazione dell’opera in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e di grande pregio storico e naturistico. Si fonda, in generale, sulla consapevolezza di come il bene pubblico, il bene comune, venga gestito in maniera privatistica, creando impoverimento e disuguaglianze.

L’eterogeneità delle fattispecie ravvisabili in termini di accanimento giudiziario, di demonizzazione e diffamazione degli attivisti, di gravi violazioni di diritti e libertà tutelati a tutti i livelli, nazionali ed internazionali, perpetrate nei confronti di tutti coloro che, appartenenti o meno al c.d. Movimento NOTAP, hanno preso parte a questa lotta, richiede, per esigenza di sintesi, di sorvolare in questa sede su tutte le illegittimità, le violazioni di legge, le gravi omissioni compiute dal consorzio TAP, dai Ministeri nazionali, dagli Organi di Governo locali e nazionali, dagli Enti e dagli organi di controllo, Banche, Istituti ed Organismi nazionali e internazionali di finanziamento dell’infrastruttura, nelle procedure di rilascio di autorizzazioni, di perizie, di valutazioni di conformità del progetto a normative interne ed internazionali, di analisi sull’impatto ambientale e sul rischio per l’incolumità delle popolazioni locali, sulla vocazione sociale ed economica delle popolazioni locali, sui modelli di sviluppo scelti dalle comunità autoctone in lotta, sulla volontà delle stesse di ospitare o meno l’opera senza subire rappresaglie di alcun tipo.

Basti qui ribadire che tutto quanto testé esposto è stato ed è oggetto di innumerevoli esposti, denunce e ricorsi alle Autorità Giudiziarie competenti in materia amministrativa e penale, da parte di associazioni, comitati, privati cittadini e che parte di tali denunce non ha ancora ed inspiegabilmente ricevuto risposta o riscontro da parte della Magistratura locale.
Primo fra tutti, in questa intensa attività di studio, di informazione, di contrasto, il Comitato NOTAP, nato nel 2012 allo scopo di coordinare tutte le iniziative giudiziarie, mediatiche, di informazione e di divulgazione delle ragioni del no al corridoio Sud del Gas, già in atto da almeno un anno sul territorio.


NOTE:

1) Tra tutte, Convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, 1998.
2) Per approfondimenti, si veda www.notap.it.
3) Si vedano, ad esempio, gli articoli pubblicati dal Corriere della Sera online, dal titolo “Irruzione degli anarchici nella sede di TAP a Lecce, del 03/12/2014;  ANSA Puglia del 19/04/2018 “Zona rossa attorno al cantiere TAP”, quando si legge “Il provvedimento è stato disposto per “prevenire ulteriori gravi turbative dell’ordine pubblico connesse alle operazioni di cantiere da parte del cosiddetto Movimento No Tap e di aderenti al mondo anarchico insurrezionalista ed alla galassia dell’antagonismo”; Il Giornale del 05/04/2017 “I cantieri Tap si fermano per l’allarme anarchici Manager chiusi in hotel”; dal blog Formiche, analisi commenti, scenari, a cura di Francesco Bechis, “Anarchici, NOTAP, neo-fascisti, i nuovi volti dell’estremismo in Italia secondo i Servizi ”; La Repubblica online, video del 07/12/2017 su https://video.repubblica.it › Home › Edizione Bari; Quotidiano di Puglia del 20/11/2017, “No Tap in rettorato, interrotto il convegno su ambiente ed energia.Fuori scontri con la polizia”, in particolare quando dice “circa 100 manifestanti tra No Tap, anarchici e antagonisti hanno tentato di sfondare il dispositivo di polizia costringendo le forze dell’ordine ad una azione di contenimento”.

da Ecor

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La Confederazione Cobas della Puglia  continua a denunciare la repressione contro i movimenti che si oppongono in Italia alla costruzione di grandi opere inutili , costose e dannose.

Oggi assistiamo ad una altra pagina nera della giustizia italiana che ha condannato pesantemente chi ha voluto difendere  la sua terra .

Le lotte per difendere il proprio territorio non possono essere processate .

Ricordando anche tutto il voltagabbana di tanti sindaci salentini attratti dalle compensazioni e partiti che dovevano aprire il Parlamento come una scatoletta  rimasti ingabbiati da penali inesistenti.

Dall’altra l’unico vero processo è quello fatto dalle popolazioni che ha promosso di fatto con le sue denunce quello che vede inquisita tutta la dirigenza in tribunale  a Lecce.

Il processo fatto dalle gente nelle piazze , nei cortei, davanti ai cancelli  dimostra la fondatezza  delle  illegalità avvenute  nella  costruzione del Tap…. e tanto altro.

Gli inutili  gasdotti che si stanno costruendo con ingenti finanziamenti europei sono segnati dal sangue di oppositori , ambientalisti , giornalisti lungo tutto il suo percorso e vedono solo l’arricchimento di dittatori e di trafficanti di ogni tipo.

La repressione non può fermare la lotta di chi pensa che quei soldi possano essere spesi diversamente, a sostegno di territori inquinati, di un crescente dissesto geologico, di una vera transizione energetica  e non quella truffaldina basata a tutto gas.

Il nostro pensiero va alle nostre sorelle e fratelli in carcere a Torino per la lotta No Tav e a chi rischia di andarci qui per la lotta No Tap affermando che la repressione non ci deve fermare .

 Bisogna tornare davanti ai cancelli delle grandi opere in costruzione e per bloccare altri progetti devastanti che si avviano ancora.

Brindisi 19.03.2021

Per la Confederazione Cobas della Puglia Roberto Aprile

(seguiranno aggiornamenti)