Usiamo il Recovery Fund per “liberare” il carcere. Appello alla ministra Cartabia affinchè agisca presto. Il Covid ha aumentato solitudine e disagi, creando difficoltà anche nei rapporti tra i reclusi e i loro bambini
Ministra Cartabia, con lei abbiamo una occasione per riformare radicalmente il nostro sistema penitenziario. Un evento del genere potrebbe riproporsi, per essere ottimisti, tra cinquant’anni. L’ideologia carcerocentrica, alimentata dal populismo penale, si è consolidata sempre di più.
L’attuale classe politica, invece di innalzare la società, l’ha sprofondata. D’altronde non ci sono nemmeno più le élite culturali di una volta. Un tempo la classe intellettuale dava la precedenza al diritto e all’ideale di giustizia rispetto alla loro persona, al loro egoismo di gruppo, ma soprattutto agli istinti naturali del popolo.
Ora l’élite culturale si preoccupa di sedurre, quindi viene meno alla sua funzione. L’effetto ottenuto è quello di dare sponda alla politica attuale che offre soluzioni semplici a problemi complessi. C’è sovraffollamento? Costruiamo nuove carceri. Alcuni giornali hanno montato polemiche sul falso scandalo “scarcerazioni”? Facciamo un decreto per far ritornare tutti dentro. C’è la corruzione? Introduciamo il 4 bis, articolo nato durante l’emergenza stragista, come se si trattasse di mafia o terrorismo.
Lei, ministra ha sottolineato che il carcere deve essere l’extrema ratio – Lei, ministra della Giustizia Marta Cartabia, ha rotto con questa narrazione. Non ha assecondato i luoghi comuni come la “certezza della pena” svuotata del suo vero significato, ha chiarito una volta per tutte che il carcere non è l’unica effettiva risposta del reato. Non solo. Ha anche sottolineato che l’istituto penitenziario ha effetti desocializzanti, per questo deve essere l’extrema ratio. Parole importantissime, di alto spessore, mai sentite dalle persone che ricoprono vertici istituzionali. Oggi queste parole, perfettamente in linea con il dettato costituzionale, appaiono rivoluzionarie.
Le parole sono importanti. Che la vita in carcere è di fatto alienante e quindi disumana, oramai è certificato. Non diventa più una questione di denuncia, ma un modo per riflettere su come uscirne. Per attuare la riforma dell’ordinamento penitenziario ci vuole un percorso lungo (augurandoci che non rimanga nuovamente nel limbo), però è possibile offrire soluzioni anche nell’immediato.
Vanessa ha pochi anni e non vede in padre detenuto da più di un anno – Ma questo è un giornale, quindi ripartiamo inevitabilmente dai fatti. Attualmente i contagi nel carcere sono ritornanti a crescere. I focolai si sono riattivati in istituti penitenziari già attraversati dal Covid 19.
Tutto questo quando oramai le carceri sono blindate, chiuse ad ogni attività esterna. Se già il carcere è desocializzante, ora lo è ancor di più. I bambini non vedono dal vivo i propri padri reclusi in carcere da oramai un anno. Ci sono casi che creano problemi enormi alla psiche dei bimbi. C’è Vanessa, madre di una bimba di pochi anni che non vede il padre detenuto nel carcere di Monza da quando è scoppiata la pandemia.
“Come si può paragonare una videochiamata con un contatto fisico?”, racconta a Il Dubbio. “Mia figlia sta crescendo con un trauma psicologico, mi ha contatta il suo maestro perché è scoppiata in un pianto. Ha avuto una crisi e fortunatamente l’insegnante l’ha calmata facendole fare un disegno per il papà”. Non è l’unico caso, in tante altre carceri la situazione è identica. “Ma è normale che un bambino debba soffrire così tanto? O sarà che anche i figli dei detenuti sono il rifiuto della società?”, si chiede amaramente Vanessa.
I “memento” a via Arenula di Rita Bernardini – Eppure delle soluzioni ci sarebbero, come hanno provveduto le Rsa con le stanze per gli abbracci, in tutta protezione. Gli anziani hanno bisogno di affetto, calore umano. Così come i bambini. Con la differenza che quest’ultimi rischiano di subire traumi destinati ad avere conseguenze sulla loro crescita. Il sovraffollamento persiste, le misure introdotte dall’allora guardasigilli Bonafede sono risultate del tutto insufficienti, e con tanti, troppi paletti dettati dalla paura di scontentare l’opinione pubblica disinformata dai mass media. Senza dimenticare la pressione che hanno subito i magistrati di sorveglianza. C’è Rita Bernardini del Partito Radicale che oramai da più di un mese fa la sua giornaliera “ora d’aria” davanti al ministero di Via Arenula.
Servono misure alternative più incisive – Le proposte sono sempre quelle, ovvero l’applicazione di misure alternative più incisive. Basterebbe prendere in esame quegli emendamenti già proposti da Roberto Giachetti di Italia Viva e da Franco Mirabelli del Pd. Misure sostenute anche dai garanti territoriali dei detenuti, in primis da quello Nazionale. Parliamo della liberazione anticipata speciale, magari nei confronti anche dei condannati per i delitti che rientrano nel 4 bis, quelli ostativi. Parliamo di una misura praticabile: 75 giorni di sconto di pena anziché 45 ogni sei mesi, com’è già avvenuto sei anni fa.
Ci rivolgiamo ai profani: parliamo di un beneficio previsto dalla legge penitenziaria per cui chi si comporta bene, quindi non ha rapporti negativi o sanzioni disciplinari, e partecipa all’offerta di attività proposte dall’amministrazione, può vedersi riconosciuto dal giudice di sorveglianza uno sconto di 45 giorni per ogni semestre di pena scontata correttamente. Quella speciale aumenta di 20 giorni lo sconto di pena.
Ovviamente non basta. Bisognerebbe applicare in modo estensivo e razionale le misure alternative anche nei confronti di soggetti più deboli. Ovvero gli psichicamente fragili, tossicodipendenti, alcoldipendenti e i senza fissa dimora.
Secondo il rapporto Antigone sono 19.040 i detenuti con un residuo pena inferiore ai tre anni – L’ultima relazione al Parlamento del Garante nazionale delle persone private della libertà rende bene l’idea. Ad esempio c’è una difficoltà estrema di applicazione della misura alternativa alle persone senza una stabile dimora e impossibilitate a usufruire per tale motivo di quanto normativamente previsto.
Il permanere in carcere di 962 persone (dato di qualche mese fa) che sono state condannate a una pena inferiore a un anno è indicatore eloquente di tale criticità. Senza contare dell’ultimo dato emerso dal rapporto di Antigone “Oltre il virus”: ben 19.040 sono i detenuti con un residuo pena inferiore ai tre anni, dunque potenzialmente ammissibili a una misura alternativa alla detenzione. Se solo metà di loro ne fruisse avremmo risolto parte del problema dell’affollamento carcerario italiano. Ecco perché non basta una norma scritta, ma servono anche i soldi per implementare le strutture o comunità in grado di offrire ospitalità a chi non ha alcuna garanzia per poter usufruire di misure alternative al carcere.
L’opportunità del Recovery Fund – Il Recovery Fund è una opportunità unica per destinare fondi in tal senso. In carcere le persone costano molto di più, mentre all’esterno non solo costano di meno, ma farebbe muovere addirittura l’economia dando lavoro, ad esempio, agli operatori di comunità. Stesso discorso per i detenuti tossicodipendenti. Al di là delle eventuali responsabilità penali tuttora da accertare, i 13 detenuti morti per overdose durante le rivolte carcerarie hanno messo a nudo il problema della droga che pervade il carcere.
L’esplosione di una situazione di tensione si è concentrata poi nel procurarsi sostanze: forse è arrivata l’ora di pensare ad altri percorsi anche per questi detenuti. Chiaro che delinquono per un discorso legato alla loro tossicodipendenza. Risolte queste problematiche, concentrando le risorse e nuovi percorsi penali verso i sistemi comunitari, accadrà proprio questo: non solo saremo costretti a chiudere tantissime carceri, ma si risparmierebbero tanti soldi che possono essere destinati per risolvere il progressivo smantellamento delle reti protettive territoriali che dovrebbero dare supporto alle persone socialmente più deboli.
Significa rendere il nostro Pese più sicuro, più equo e rispettoso dei diritti umani. Questa è una occasione unica. Perfino la pandemia, il male del nostro tempo, può essere una occasione per cambiare in meglio. D’altronde la nostra cara Costituzione, come disse Calamandrei, è nata nelle carceri dove vennero imprigionati i partigiani. Ed è sempre la stessa che ci indica quale direzione intraprendere. Ora serve che lei, ministra Cartabia, accompagni il nostro Paese in quella che rimane l’unica via possibile. Prima che sia troppo tardi.
Damiano Aliprandi
da il dubbio