E’ ancora nell’ospedale Saint’Anne di Parigi, ma i poliziotti che la sorvegliavano a vista sono andati via. Da ieri pomeriggio Marina Petrella è in «libertà condizionata»: è autorizzata a curarsi, ma dovrà notificare l’eventuale uscita dall’ospedale in cui è ricoverata e risiedere nell’abitazione di Argenteuil (Parigi), con obbligo di firma e divieto di lasciare il territorio nazionale francese. Non è la scarcerazione che chiedeva la sua avvocata, Irene Terrel, ma è certp il primo stop ad una estradizione verso l’Italia che ormai persino gli amici consideravano vicinissima. Più di tutto hanno contato le sue condizioni di salute, visto che almeno dal 9 giugno scorso, quando il governo francese ha firmato il decreto di estradizione, la donna – cinquantatre anni, due figlie e quindici anni passati in Francia dopo la condanna italiana durante il processo Moro ter- è precipitata in una profonda crisi depressiva finendo per pesare meno di quaranta chili.Dopo gli appelli umanitari in suo favore di tutta la sinistra francese e persino della moglie del presidente, Carla Bruni Sarkozy, il 23 luglio scorso il ministero della giustizia si è deciso a farla trasferire nell’ospedale Saint’Anne. Troppo poco, persino secondo il direttore del reparto psichiatrico Frederic Rouillon. La scorsa settimana è stato lui, medico affermato che nulla ha a che fare con la gauche, a spiegare a Le Monde che se i poliziotti non avessero lasciato l’ospedale avrebbe chiesto di riportare Petrella in carcere. Aggiungendo: «La paziente rischia di lasciarsi morire. E’ veramente in preda a una sindrome depressiva». Una presa di posizione decisiva per convincere la procura di Versailles – e quindi il governo – ad appellarsi alla corte d’appello locale per chiedere la liberazione «condizionata» dell’ex brigatista.Ed è proprio perché dietro la scelta dei pm si legge la mano del governo che i sostenitori di Petrella ora sperano che il primo ministro Fillon si spinga oltre. Firmando un nuovo decreto che annulli il precedente e stabilisca che Marina Petrella non può essere estradata così come recita la «clausola umanitaria» della convenzione franco italiana che permette di non concedere lo spostamento nel paese «amico» se questo comporta conseguenze «di eccezionale gravità» per la sua salute. «Un precedente c’è», dice Oreste Scalzone, che da mesi segue la battaglia in sostegno della donna: «E’ quello della mancata estradizione di Gianni Stefan. Allora, era il 1986, in piena dottrina Mitterand la Francia prima decise di arrestarlo e concedere l’estradizione eppoi tornò indietro con una secondo provvedimento che annullò il primo». E’ troppo presto per capire se davvero Sarkozy è disposto a rompere il nuovo corso introdotto da Chirac. Per ora, quel che importa alla famiglia Petrella è che la donna possa prendere fiato. «Sono felice – ha dichiarato all’uscita dal tribunale la figlia maggiore, Elisa Novelli, nata in un carcere italiano 25 anni fa – questa decisione consente a mia madre di ritrovare il gusto della libertà».
fonte: il manifesto
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