Visto per censura è un libro/cd diy. Portare la musica dentro un carcere significa poter mettere in risonanza/riverberare l’immaginario di chi si trova costretto/rinchiuso in un luogo di implosione e di torsione psico-fisica. Approdare a Ventotene e a S. Stefano, primo ergastolo in Italia, non è stato soltanto un tentativo di recuperare aneddoti e memorie carcerarie collettive attraverso un’esperienza condivisa, ma il bisogno di rilanciare essenzialmente un percorso di evasione. La nozione liberatoria. Questo, in sintesi, è “visto per censura”… Intervista di RIOTZINE a Max (Contrasto), Zanna e Max di Reggio Emilia per il progetto “Visto per Censura”
RIOTZINE: Ciao Max! Oggi siamo qui per parlare un po’ di “Visto per censura”. Innanzitutto come nasce il progetto? E cosa vi ha spinto a fare quest’esperienza nelle carceri di Santo Stefano e Ventotene?
MAX (Contrasto): “Visto per censura” nasce, se vogliamo, come una scusa tecnica in un anno in cui tutto è risultato sospeso: da un lato tutto si è fermato, dall’altro, grazie al tempo di ritorno, abbiamo avuto la possibilità di mettere in ballo delle idee che troppo spesso sono state sospese per la frenesia delle altre cose che abbiamo intrapreso. L’idea di base è stata quella di portare la musica nelle carceri perché varie volte dex compagnx ci hanno chiesto di mandare qualcosa dentro nel formato masterizzato, ma per questo motivo è stato bloccato all’entrata in quanto non conforme o per fare un dispetto a chi lo richiedeva. La scusa tecnica è stata pensare a qualcosa che avesse quei canoni di entrata, il bollino, ecc. Abbiamo inserito i pezzi degli ultimi 3 dischi, che abbiamo suonato più spesso negli ultimi 7-8 anni perché una persona reclusa in un luogo di torsione psico-fisica, potesse attraverso l’ascolto di una canzone che associava a un contesto, a una persona, a una situazione riverberare l’immaginario, cioè portare non fisicamente qualcosa di sé al di fuori delle mura. Inoltre in questo modo, abbiamo creato una sorta di diario contro-reclusivo, cioè un diario in cui abbiamo associato la parola alla musica e quindi raccontato l’esperienza che alcuni di noi hanno vissuto sulle isole di Santo Stefano e Ventotene; due isole bellissime, ma costrette come possono essere un’isola in mezzo al mare e quindi utili a recludere. Infatti a Ventotene i Borboni avevano cercato di capire come l’uomo potesse riacquisire un modo di vivere più conforme e omologato al sistema e durante il fascismo Mussolini la utiizzò come luogo di confino; mentre a Santo Stefano fu costruito il primo ergastolo in Italia. Ritornare fra quelle mura significa anche a posteriori, far riverberare le esperienze di chi ci ha vissuto, ma anche di chi lotta, portando avanti un discorso contro le carceri e contro il sistema carcerario, che non è solo all’interno di quelle mura. Quest’esperienza è stata intensissima: ci siamo ritrovati su quest’isola da un anno all’altro come fosse un po’ la nostra Mecca. Ho raccontato sul cd questi anni come fosse una sorta di diario a posteriori e l’ho sovrapposto alle memorie di chi aveva vissuto all’interno di quel carcere riprendendo memorie, aneddoti, elementi strutturali del carcere come ad esempio, la somiglianza del carcere di santo Stefano al teatro San Carlo di Napoli, che è una macabra messa in scena della carcerazione, il dominio dell’uomo sull’uomo.
RIOTZINE: Le persone con cui hai portato avanti questa esperienza, cioè quella di visitare
fisicamente quei luoghi, sono le stesse con cui poi hai deciso di realizzare questo progetto? Oppure si
tratta di una comunità più larga?
MAX (Contrasto): Giorno 1, 2 e 3 è una forma per suddividere e semplificare la narrazione…diciamo che ogni anno,
per un weekend, ci davamo appuntamento lì…dal primo anno che eravamo in 6-7 persone, siamo
arrivatx a 100-150, per farti capire come è cresciuto questo discorso. Santo Stefano è un’isola
carceraria, magari è difficile da immaginare…c’è un approdo irto, averlo vissuto in altri tempi sicuramente
significava fuoriuscire da un certo contesto di vita.
Oltre a questa narrazione esperienziale che è cresciuta in 6-7 anni in maniera estremamente importante
(organizzavamo sull’isola presentazioni di libri e iniziative che servivano per conoscersi e rilanciare
durante l’anno altri momenti di aggregazione), c’è l’aver ritrovato quel “materiale a ritroso”, le memorie di
chi l’ha vissuto, cartigli molto interessanti di Veronelli, un anarchico che capitò casualmente a Santo
Stefano dopo la chiusura del carcere, negli anni ’60. Fu una botta emotiva fortissima per lui…cominciò a
prendere appunti, che peraltro per molti anni rimasero i suoi, e non ebbe né la forza di condividerli
con altrx né di ritornare lì .
In una di queste esperienze, abbiamo recuperato questi cartigli di quasi 70 anni prima…una parte di
questi erano mappati, come un bambino potrebbe appuntarsi la sua isola del tesoro, tutta una serie di
nomi e un piccolo luogo che poi abbiamo ritrovato…si tratta del piccolo cimitero dove questi ergastolani,
dimenticati in vita, venivano sepolti, per poi essere dimenticati anche dopo la loro morte…ritrovare
questo luogo è stato assolutamente significativo; ogni volta che ne parlo sento qualcosa
addosso…perché, tramite quel ritrovamento, è stato possibile dare i nomi alle croci e a quei cumuli di
terra che altrimenti sarebbero rimasti anonimi e il tempo avrebbe dimenticato…tra questi, al di là del fatto
che ci sia anche Gaetano Bresci, arci-noto per le questioni che ben sappiamo, anche un nonno fu ritrovato
da un nipote, che ne riagganciò la memoria in questo modo, non sapendo dove fosse finito.
Quel piccolo cimitero è diventato, negli anni, un altro motivo per andare: prendersi cura in qualche
modo, con la lotta contro il carcere, di un luogo fisico che potrebbe esserne un simbolo.
Buona parte, anzi, la quasi totalità di quelle persone avevano avuto esperienze di lotta e/o con il
carcere…le ho conosciute, sono diventatx compagnx di vita e di situazioni che portiamo avanti nel
tempo. L’ultimo anno è riuscito a venire Steve (Contrasto) quindi abbiamo vissuto anche nella band, in
parte, questa esperienza che era più una cosa mia “personale”.
RIOTZINE: Quindi l’idea di fare questa cosa (Visto per Censura) non proviene direttamente da
queste esperienze sull’isola…
MAX (Contrasto): L’idea era associare a quella scusa tecnica di partenza, il cd da far riverberare ax compagnx in
carcere, delle esperienze di vita come queste, o come tante altre. Spesso trovo più
facile parlare di qualcosa in cui ho messo i piedi o in cui tengo le braccia; è più credibile innanzitutto per
me…lo credo sia meglio piuttosto che parlare a largo raggio di carcere o tematiche in cui poi non siamo
impegnatx con la lotta.
Quando si tratta di carcere, non c’è una narrazione. Siamo di fronte a una cosa che è una merda. L’idea
di farci carico di quella merda che accoglie un esistente dentro e fuori, è l’idea di poter sdebitarci in
qualche maniera rispetto a un debito di coscienza che abbiamo ogni volta in cui “voltiamo lo sguardo”
oppure non pensiamo che per una parte di quello che facciamo dobbiamo farci carico anche di queste
lotte, che poi non sono solo il carcere…la detenzione è la traduzione fisica di una di quelle gabbie che ci
portiamo dentro, no?
Molte volte ci concetriamo sulle lotte verso qualcosa, dimenticandoci di depotenziare e disinnescare la
proiezione di quel qualcosa dentro di noi…vale per il carcere come per i razzismi, l’omofobia, il sessismo
e la patriarcalità…cioè per tutto ciò che poi va a connaturare in una società e un modo di relazionarsi, un
modo di vivere, e che quindi legittima, anche indirettamente, quelle strutture. Questo crea una distanza
tra chi è “fuori” e tra chi sta vivendo la detenzione. Quindi io credo che la memoria, la narrazione del carcere, sia
qualcosa che debba nella quotidianità essere in atto. Noi raccogliamo tutta una serie di stralci
esperienziali perché giustamente ci parla e ci racconta di carcere, fondamentalmente, chi il carcere lo
vive da dentro…però poi quel rilancio dobbiamo farlo nostro, pensando comunque di essere parte di quel
discorso, parte di quel disturbo sociale che va assolutamente disannodato, va riportato a una condizione
differente.
RIOTZINE: Qual è il ruolo della musica in tutto questo?
MAX (Contrasto): La musica è fondamentale! Nel senso che, almeno per i Contrasto…è diventato necessario poter
farsi carico di queste “meravigliose scuse”…altrimenti suonare a lungo termine resta solo “suonare”…è
importante perché aggrega, crea relazioni, è importante nel momento in cui c’è anche un confronto, una
parte riflessiva e una di rilancio concreto. Cioè, quando penso alla musica o penso ai Contrasto, penso a
un’intenzione concreta che si realizza nel momento in cui riusciamo a fare nostra, ad esempio, l’istanza
della lotta contro il carcere, magari con un’esperienza specifica, e che quindi rilanciamo attraverso la
musica…aprendo un concerto e leggendo qualcosa, come ci capita di fare, o creando un confronto in
quel momento…e chiaramente, tra un concerto e l’altro, si può fare un disco o qualsiasi altra cosa.
Questo è il motivo per cui non saremmo riusciti a fare un CD da mandare dentro e basta, perché la
parola diventa il motivo…e dopo 25 anni credo sarebbe difficile continuare a suonare, almeno rispetto
alla costanza e caparbietà che abbiamo, se suonare non diventa un bel contorno, cioè se in mezzo non
ci passano tutte queste motivazioni.
RIOTZINE: Come ti/vi ha fatto sentire la realizzazione concreta di questo progetto? C’è un background
da cui hai/avete attinto?
MAX (Contrasto): Mi sono sentito, con questo progetto, di aver preso in mano un piccolo chiodo e di aver iniziato
concretamente a scalfirle, quelle mura. Ognunx pensa “sai sì, un piccolo chiodo rispetto a una struttura
granitica, cosa può fare?” beh io penso che può continuare a fare ciò che fa’ un piccolo chiodo anche da
fuori.
“Visto per Censura” non è una cosa che nasce all’improvviso, è chiaro che le situazioni evolvono piano
piano, probabilmente se 15-20 anni fa non avessimo iniziato con altre esperienze, anche
individualmente, tipo prendere un foglio e una penna e iniziare a entrare all’interno di un carcere
semplicemente scrivendo lettere, beh…quei ponti tra chi vive una situazione come quella e te che sei
fuori, non si sarebbero potuti costruire.
Fuori il carcere di Forlì mettemmo in ballo un’iniziativa, un presidio che è rimasto in piedi periodicamente
per tanti anni, in cui c’era un mixer e un microfono aperto…mandavamo la musica da fuori a dentro, e
questa era la scusa per comunicare loro, di scrivere lettere e mettersi in contatto, ma non solo, anche se
un parente voleva mandare un messaggio, poteva farlo ed aveva una forza dirompente…si sfondavano
le mura senza sfondarle.
Ci furono anche altri progetti, come la Biblioteca dell’Evasione, per anni abbiamo raccolto materiale
cartaceo, libri e quant’altro, e abbiamo creato un sacco di connessioni all’interno delle carceri di tutt’Italia,
creando una sorta di biblioteca che non solo serviva a chieder libri (che di solito in carcere non sono
concessi o latitano) ma anche a creare delle relazioni, delle conoscenze, dei ponti.
Allora, vedi a volte…io oggi penso a un’esperienza come “Visto per Censura” ma in realtà tutto parte
magari 15 anni prima da un foglio e una penna, dal desiderio di sedimentare la lotta anche attraverso
gesti concreti che, per quanto abbiano le sembianze di un piccolo chiodo, diventano dirompenti tanto più
se parliamo di tanti piccoli chiodi, no?
Cosa può significare per chi è dentro…sai, ad oggi è uscito da poco più di un mese, quindi so che noi
direttamente e anche altre persone hanno iniziato a spedire, non abbiamo ancora avuto riscontro per
adesso…due che ne abbiamo spediti sono stati “scarcerati”, quindi quelli si sono andati a perdere, ma
siamo contenti lo stesso ahahah. Detto questo, mi auguro che a breve qualcunx dica “sì, finalmente ho
ascoltato un vostro pezzo e ho ripensato a quella sera…boh, a El Paso, quando pogavamo e cantavamo
insieme”…scaldare un po’ d’anima e rilanciarla fuori da quelle mura, ecco.
In realtà, se vogliamo, tutto nasce da una richiesta che cominciava ad essere importante…compagnx
dentro ci chiedevano materiale, noi non riusciavamo a farglielo avere e quindi toccava trovare una
maniera.
RIOTZINE: C’è una utilità anche per chi sta “fuori”?
MAX (Contrasto): Spero che “Visto per Censura” abbià una grossa utilità anche fuori da quelle mura…sin dall’inizio
ho pensato “spero che ne vadano pochissime copie dentro”, perché vuol dire che in pochx hanno avuto
modo di richiederlo e quindi in pochx sono dentro. Diciamo che mi piace quel che nasce da fuori, e devo
dire che sta succedendo! C’è gente che magari non è del giro nostro dei concerti e per curiosità ha
intercettato il progetto, gli è piaciuto e si è creato un confronto, delle situazioni, altre esperienze sono
arrivate…questo secondo me è molto utile.
RIOTZINE: Ci salutiamo con un’ultima questione…la pandemia ha innescato in moltx una forte
autocritica, sia sul piano individuale che collettivo…che importanza ha cambiare punto di vista, “spostarsi”, ri-mettersi in discussione?
MAX (Contrasto): Allora, nel salutarvi, se posso permettermi…vorrei sottolineare che hai detto una cosa fantastica,
ovvero “cambiare punto di vista”. Pensiamo che la coerenza che ci ha costruito e
formato come persone, e a volte non ci rendiamo conto che traslare, abbracciare il punto di vista di
qualcun altrx ci permette realmente di evolverci, ed in questo caso mi piace il termine…molto spesso il
problema sta nel fatto che guardiamo tutto attraverso la nostra visione e basta, questo è un grande limite
che purtroppo legittima le merde che ben conosciamo e che portano avanti discorsi contro cui è
importante lottare.
Non è un caso se in questo tempo, che è rallentato fortemente, abbiamo cominciato a ripensare a certe
cose. Rispetto allo schifo che purtroppo è successo e che stiamo vivendo, invece, questo è un aspetto
molto importante, fondamentale; è buono che sia così, per me.
Se posso, volevo fare un saluto a Sante Notarnicola, compagno morto qualche giorno fa, leggendo un
suo scritto.
“Galera”
- Là, dove era più umido, fecero un fosso enorme
Scavarono nicchie e le sbarrarono
Alzarono poi garitte e torrioni
E ci misero dei soldati, a guardia.
Ci fecero indossare la casacca
e ci chiamarono delinquenti;
infine, vollero sbarrare il cielo
e non ci riuscirono del tutto.
Altissimi,
guardiamo i gabbiani che volano. –
(1 Giugno 1973)
CIAO SANTE!
intervista a cura di riot-zine