Il bagno di sangue va avanti, lo scontro si allarga. Il ministro della Difesa Benny Gantz ha detto che Israele andrà avanti.
La Torre Shuruk fu colpita e danneggiata già nel 2014, sebbene al suo interno ci fossero le sedi di media locali e internazionali. I comandi israeliani dissero sette anni fa che vi si nascondevano miliziani armati. Ieri la Shuruk è crollata in un lampo di fuoco, avvolta in una nuvola di fumo e polvere: dieci piani si sono trasformati in un cumulo di macerie in pochi secondi. Martedì Israele aveva distrutto altri due alti edifici a Gaza city. Gli abitanti della Torre Shuruk, messi in allarme da missili denominati «colpi al tetto» – con piccola carica esplosiva lanciati per avvertimento – sono riusciti a scappare ma senza poter portare via nulla. In un attimo hanno perduto tutto e si sono uniti al numero crescente di sfollati e senzatetto generati dai raid aerei israeliani.
Annunciata con largo anticipo dall’ala militare di Hamas e da altre organizzazioni armate palestinesi – a Gaza dicono con l’intento di avvertire la popolazione in Israele – è partita una ondata di 130 razzi verso il centro e il sud del territorio dello Stato ebraico. A Sderot hanno ucciso un bambino e causato gravi danni. Lo stesso in altre città. Il totale dei morti israeliani è di sette, tra cui un soldato ucciso da un razzo anticarro sparato da Gaza contro la sua automobile.
È salito a 14 il bilancio, riferito dai palestinesi, di bambini e ragazzi uccisi dagli attacchi aerei israeliani, una porzione elevata del totale di 57 morti. E l’elenco delle vittime è destinato ad aumentare perché fino a ieri sera la mediazione egiziana per il cessate il fuoco di fatto non era ancora partita. Israele, come ha spiegato due giorni fa, il premier Netanyahu intende prima infliggere «un duro colpo ad Hamas». Ma il conto vero lo pagano i civili palestinesi, con morti e distruzioni. Hamas da parte sua ripete che intensificherà i lanci di razzi in proporzione diretta alla gravità dei raid aerei israeliani.
Il bagno di sangue va avanti, lo scontro si allarga. Il ministro della Difesa Benny Gantz ha detto che Israele andrà avanti. Ieri le forze aeree dello Stato ebraico hanno martellato duramente Gaza. Le prime luci del giorno sono state segnate dal più pesante bombardamento aereo dall’offensiva Piombo Fuso del 2008. I comandi israeliani sostengono di aver ucciso dirigenti militari importanti di Hamas in un’operazione congiunta tra esercito e Shin Bet. Tra questi Bassem Issa, capo delle Brigate al Qassam a Gaza City, descritto come il braccio destro del leader militare di Hamas, Mohammed Deif. «Non è che l’inizio», ha minacciato il premier Netanyahu aggiungendo che Israele infliggerà «all’organizzazione terrorista colpi che non può neanche immaginare». Il movimento islamico per tutto il giorno ha risposto con lanci di razzi, massicci o sporadici, contro i centri israeliani a ridosso della Striscia e contro le città di Ashkelon e Ashdod.
«La grave escalation in Israele e nei Territori palestinesi occupati, compreso il forte aumento della violenza dentro e intorno a Gaza – ha detto il capo della diplomazia dell’Unione europea Josep Borrell – deve cessare. L’Europa è sgomenta per il gran numero di morti e feriti civili, compresi i bambini. La priorità deve essere proteggere i civili». Gli Stati uniti sono scesi in campo dalla parte di Israele ma il segretario di Stato Antony Blinken pur affermando che «Israele ha il diritto a difendersi» ha esortato Tel Aviv ad evitare vittime civili.
Ma non è solo il conflitto militare in corso che merita attenzione. In Israele lo scontro tra ebrei ed arabi si aggrava di ora in ora. Ieri il presidente Reuven Rivlin, sdegnato, ha descritto quanto avvenuto martedì notte a Lod come un «pogrom» anti-ebraico ed ha evocato le persecuzioni antisemite del secolo scorso nell’Europa dell’Est.
E il sindaco della città Yair Revivo ha parlato di una nuova «notte dei cristalli» riferendosi alla distruzione di sinagoghe da parte di una folla di abitanti arabi e all’incendio di automobili di ebrei. Rivlin e Revivo, se sono coerenti con quanto dicono, allora dovranno condannare, usando la stessa parola «pogrom», quanto hanno compiuto ieri sera centinaia di ebrei, dell’estrema destra, contro gli arabi e le loro proprietà a Lod, Acri e in altre cittadine miste del paese.
Chiamati per garantire protezione, i coloni israeliani più fanatici della Cisgiordania si sono riversati nei quartieri arabi di Lod. «I volontari sono centinaia – ha affermato un esponente della comunità ebraica locale – consiglio agli arabi di non avventurarsi per strada». A nulla è servito il coprifuoco proclamato dalla polizia che in molti casi, secondo testimoni, si è tenuta a distanza senza garantire alcuna protezione ai residenti arabi presi di mira. Ieri sera si parlava di numerosi feriti e di distruzioni gravi non solo a Lod.
Michele Giorgio
da il manifesto
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Bombardamenti israeliani sulla Palestina, la fenomenologia delle presstitute mainstream
Nessuno può negare che il linguaggio è anche una questione politica ed ogni parole viene calibrata dal mainstream per poter dare un’impressione piuttosto che un’altra.
È dalla fine della Seconda Intifada che ogni ciclo di violenza tra israeliani e palestinesi dà opportunità a commentatori, giornalisti e analisti di paventare l’inizio di una nuova Intifada. Già dalle proteste del 2014 si sperava in una sollevazione popolare e, addirittura, con l’Accordo del Secolo voluto da Trump e i vari patti di normalizzazione avvenuti con molti Paesi arabi come Marocco, nell’aria si percepiva l’ormai riluttanza dell’opinione pubblica palestinese verso gli Accordi di Oslo del 1993 che hanno portato alla situazione in cui ci si trova, ovvero: un popolo palestinese sempre più solo e sguarnito dal punto di vista politico.
Già nel 2015 i commentatori televisivi parlavano di una ipotetica “Terza Intifada”, spesso strumentalizzando il tema per usarlo contro i palestinesi. Alla fine quell’Intifada, come evento di protesta di massa, non c’è mai stata, sebbene la resistenza del popolo palestinese continui nel quotidiano, subendo ogni giorno occupazione illegale, sfratti, militarizzazione, sradicamento di ulivi, demolizione delle proprie case, razzismo, suprematismo bianco e lo stigma tout court del “terrorista arabo con la kefiah”.
Ora, con le cosiddette “tensioni” in atto, nessuno sta parlando di Intifada, ma la stampa si sta concentrando su quello che che sta succedendo ad Israele, come se fosse una vittima di tutto questo.
Un articolo di Open.online, dal titolo “Israele, raid contro Gaza: 20 vittime, 9 sono minorenni. Netanyahu: «Varcata la linea rossa»”, esce con un altro titolo nello slideshow del link, ovvero “Pioggia di razzi su Israele: a Gerusalemme suonano le sirene, evacuati il Muro del Pianto e la città vecchia di Gerusalemme”. Abbastanza imbarazzante.
L’articolo non si concentra sull’evento complessivo, ma fa luce sul fatto che Hamas avesse dato l’ultimatum affinchè le autorità israeliane ritirassero i soldati dalla Spianata delle Moschee, dal quartiere di Sheikh Jarrah e rilasciassero i manifestanti palestinesi arrestati. L’articolo prosegue: “Gerusalemme e altre cittadine limitrofe sono state inondate dal suono delle sirene di allarme per la pioggia di razzi in arrivo. I media locali hanno riferito che si sono udite esplosioni nella città, teatro delle proteste nelle ultime settimane per lo sfratto di famiglie arabe dal quartiere di Sheikh Jarrah. Le città di Tel Aviv, Rishon Lezion e Ramat Gan hanno aperto i rifugi pubblici anti missile”.
Praticamente il protagonista della notizia è Hamas che lancia piogge di missile su Israele. Detta così la notizia, oltre ad essere profondamente ideologica e di propaganda, omette dei punti fondamentali:
La Spianata delle Moschee, quella che è andata a fuochi qualche giorno fa, chiamato anche Monte del Tempio è dominata da tre imponenti edifici risalenti al periodo omayyade: la Moschea di Al-Alqsa, la Cupola della Roccia, la Cupola della Catena, e i quattro minareti, rispettivamente il Minareto al-Fakhariyya, Minareto Ghawanima, Minareto Bab al-Silsila e Minareto al-Asbat. Un luogo interamente sacro ai musulmani a tal punto che al sito si può accedere attraverso undici entrate, dieci delle quali sono riservate ai musulmani, ma che quotidianamente vengono violate dai coloni israeliani che si divertono a profanare i luoghi sacri e ad organizzare banchetti, rendendolo un luogo a loro uso e consumo. Di età ebraica vi sono solo le mura erodiane.
Mentre la Spianata delle Moschee andava a fuoco, in piazza vi erano orde di coloni israeliani integralisti che festeggiavano come se fosse una conquista, mentre il giorno prima si potevano ben vedere le forze dell’Idf entrare nella moschea di Al-Aqsa e fare del luogo sacro un campo di battaglia.
Come ha ben scritto l’attivista Samantha Comizzoli, i missili lanciati da Gaza vanno a frantumarsi contro il sistema di difesa aerea di Israele “Iron Dome”, ovvero lo scudo protettivo israeliano che copre tutto il territorio ed intercetta i razzi lanciati dalla Striscia di Gaza. Viene azionato alla prima “avvisaglia”, quindi è quasi sempre in azione. I missili lanciati da Gaza, dalla Resistenza, pertanto hanno lo stesso effetto delle pietre lanciate contro il muro israeliano. I palestinesi non hanno, ovviamente, lo scudo protettivo e quindi, anche solo un missile israeliano che cade sulle case palestinesi, fa morti e distruzione.
In voce corale i media si divertano a sparare cifre sui razzi sparati da Hamas. Open.online riporta che “Secondo il portavoce militare di Israele sono stati 150 i razzi lanciati da Hamas dall’inizio dell’attacco”; mentre secondo Il Fatto Quotidiano “sono più di 200 i razzi sparati verso Israele da più gruppi armati palestinesi tra cui gli islamisti di Hamas durante tutta la notte”. Nessuno si è posto la domanda di come fosse possibile che “i 200 razzi” abbiano provocato solo 2 morti negli edifici di Ashkelon. Secondo il Fatto Quotidiano, Israele avrebbe “poi risposto con l’esercito di Tel Aviv che ha colpito oltre 130 obiettivi militari nell’enclave palestinese”. Eppure nessuno mezzo stampa ha riportato che l’11 maggio mattina, un aereo da guerra israeliano ha nuovamente bombardato un condominio di 8 piani vicino alla Moschea al-Susi, nel campo profughi di Ash-Shati, a nord-ovest di Gaza, uccidendo una donna di 57 anni e altri due, compreso suo figlio.
Secondo il comunicato stampa della Mezzaluna Rossa palestinese, “da lunedì mattina fino all’inizio di martedì, il numero dei feriti è stato di 520” a causa delle continue violenze della polizia israeliana nella moschea di al-Aqsa e in altre aree nella Città Vecchia di Gerusalemme. Secondo gli aggiornamenti, addirittura il bilancio dei morti della nuova aggressione di Israele contro la Striscia di Gaza assediata è salito a circa 30 palestinesi.
Questi i dati che non si vogliono dire, ma questa è la realtà della Palestina: un contesto in cui vi è un oppresso ed un’oppressore, in cui gli unici a pagarne le conseguenze sono i palestinesi.
Ma peggiore tra tutti è stata la Rai nei suoi Tg che, a quanto pare, ha dimenticato completamente cosa voglia dire “servizio pubblico”, mentre Radio24, lasciando spazio agli “studiosi” dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi), ha ricondotto tutto “all’inevitabile esplosione di violenza generata dall’odio palestinese”. Espressioni simbolo delle mistificazioni falsate del presente che indignano ancor di più se pensiamo che sono state pronunciate da coloro che dovrebbero conoscere i contesti politici e geopolitici.
Anche i giornali locali hanno amplificato questa opera di propaganda. Il Giornale di Brescia, sulla sua pagina estera dell’11 maggio, ha pubblicato un articolo dal titolo “Gerusalemme sotto i razzi di Hamas” e come sottotitoli, “Dopo giorni di tensione alla Spianata delle Moschee, da Gaza lanciati missili a cui Israele ha risposto”. Questo vuol sottintendere solo una cosa: Gaza che provoca e Israele che reagisce per “legittima difesa”, quando in realtà Gerusalemme in questi giorni ha sofferto dei sistematici bombardamenti israeliani.
I media gettano enfasi per mantenere Israele come “unica vittima”, sebbene sia tra le più forti potenze tecnico-nucleare, senza dire che, purtroppo, in uno scontro, le morti sono fisiologiche. In questi giorni, secondo i media mainstream, ci sono le “forze di sicurezza israeliane” che si “scontrano” con i palestinesi all’interno del luogo sacro di Gerusalemme, causando “tensioni”. Questo, in media, il linguaggio usato dal mainstream, quello dei “professionisti dell’informazione”, quello secondo il quale “l’informazione per essere libera dev’essere neutra”.
Come affermato in un post di un attivista palestinese, bisognerebbe usare la terminologia corretta: “Le forze israeliane di OCCUPAZIONE ( non di sicurezza), ATTACCANO (e non si scontrano) FEDELI palestinesi e manifestanti all’interno di un sito sacro di Gerusalemme mentre le AGGRESSIONI (non le tensioni) israeliane aumentano”.
Nessuno può negare che il linguaggio è anche una questione politica ed ogni parole viene calibrata dal mainstream per poter dare un’impressione piuttosto che un’altra.
Ormai, con il pretesto della “neutralità”, da un lato vengono spacciate per “vere” notizie fortemente faziose, attraverso artifici linguistici e minimizzazione dei fatti; mentre d’altro, entrando nelle nostre case, questo tipo d’informazione funge da soft-power influendo sull’immaginario comune, distorcendo ancora una volta la verità. Il cerchiobottismo rivendicato formalmente dall’informazione italiana, ovvero l’atteggiamento di chi non prende una posizione netta, finisce per barcamenarsi tra due comportamenti opposti finendo per aderire a quello dominante.
Il cerchiobottismo mediatico, con la sua “faziosità” e le sue narrazioni tossiche, continua a creare stereotipi ed immaginari sbagliati che contribuiscono, nel caso della Palestina, a discriminarla più di quanto non lo sia già nel suo contesto internazionale.
Lorenzo Poli