Sull’occupazione-presidio a Roma
- aprile 09, 2008
- in emergenza, lotte sociali, riflessioni, sicurezza
- Edit
Dopo l’occupazione-presidio alla Bufalotta ho letto alcuni commenti sul web, ai quali cerco di rispondere. Per una volta lo farò non tanto da mediattivista, ma da tecnico comunale, ritenendo di avere una minima conoscenza della materia.
Non credo sia utile chiedersi se la casa sia o meno un bene primario o un oggetto su cui investire. Il punto è chiedersi se, oltre che un bene o un investimento, sia un diritto per tutti. Questo non in nome di un astratto egualitarismo, ma di considerazioni più pragmatiche, in parte presenti in una sentenza di cassazione che fece scalpore lo scorso settembre, dove si stabiliva che l’occupazione di una casa, da parte di persona indigente e in stato di necessità, potesse ritenersi giustificata e non perseguibile penalmente. Al di là della giurisprudenza, non sembra paradossale ricordare che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona” (art. 3 della Costituzione).
E’ da sottolineare che una politica illuminata in materia di emergenza abitativa, fatta anche del coraggio di requisire gli appartamenti sfitti o le case abbandonate, è stata fatta anni fa. E non dal subcomandante Marcos, ma dal cattolico Giorgio La Pira a Firenze, cui è stata recentemente dedicata la sezione del PD a Manfredonia. Veltroni e Domenici, invece che metterlo fra i loro santini, potrebbero onorarne la memoria prendendo spunto da quella sua azione, che oggi sarebbe purtroppo considerata eversiva.
Costruire case non è di per sé un bene o un male. Dire “costruiremo più case” non significa nulla. E’ come dire “diminuiremo le tasse”: se non si parla anche di aliquote o di scaglioni di reddito, non ha nessun senso. Il discorso va inquadrato nelle politiche abitative, comprendenti controllo del fabbisogno, assegnazioni, analisi dei prezzi, attenzione alle pulsioni speculative. Altrimenti non si riuscirà a capire il processo urbanistico che sta trasformando i centri metropolitani in una sorta di città parallela (fatta di studi, negozi e poche abitazioni, costosissime e sempre più rare) e le periferie composte di alloggi sempre più degradati, a scalare dal centro fino alle zone più lontane.
Proprio questa mancanza di chiarezza si intreccia con due elementi su cui riflettere: il fatto che alla natalità zero si abbina un andamento costante dell’espansione edilizia, e il fatto che, paradossalmente, pur costruendo costantemente (e quindi creando più offerta) i prezzi invece di diminuire aumentano.
Il fatto se sia legale o meno occupare case, poi, mi sembra di lana caprina. Già in passato abbiamo disquisito di legalità o dei limiti che possono essere messi alla disobbedienza civile. Non mi sembra il caso di rimettersi a parlare di Thoreau, ma magari ricordiamo Martin Luther King, che non ebbe remore ad affrontare il carcere e a sfidare le leggi allora vigenti. Se si chiede “ma disobbedire alle leggi non è reato?”, il succitato articolo della Costituzione e quello del codice penale sullo stato di necessità aiutano a capire…Ma la risposta più corretta è forse questa: “non lo so, dipende”. Che è molto più zen, che non ideologica, come ricorderebbe Matthieu Ricard, intervistato da Liberazione pochi giorni fa.
Non credo sia utile chiedersi se la casa sia o meno un bene primario o un oggetto su cui investire. Il punto è chiedersi se, oltre che un bene o un investimento, sia un diritto per tutti. Questo non in nome di un astratto egualitarismo, ma di considerazioni più pragmatiche, in parte presenti in una sentenza di cassazione che fece scalpore lo scorso settembre, dove si stabiliva che l’occupazione di una casa, da parte di persona indigente e in stato di necessità, potesse ritenersi giustificata e non perseguibile penalmente. Al di là della giurisprudenza, non sembra paradossale ricordare che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona” (art. 3 della Costituzione).
E’ da sottolineare che una politica illuminata in materia di emergenza abitativa, fatta anche del coraggio di requisire gli appartamenti sfitti o le case abbandonate, è stata fatta anni fa. E non dal subcomandante Marcos, ma dal cattolico Giorgio La Pira a Firenze, cui è stata recentemente dedicata la sezione del PD a Manfredonia. Veltroni e Domenici, invece che metterlo fra i loro santini, potrebbero onorarne la memoria prendendo spunto da quella sua azione, che oggi sarebbe purtroppo considerata eversiva.
Costruire case non è di per sé un bene o un male. Dire “costruiremo più case” non significa nulla. E’ come dire “diminuiremo le tasse”: se non si parla anche di aliquote o di scaglioni di reddito, non ha nessun senso. Il discorso va inquadrato nelle politiche abitative, comprendenti controllo del fabbisogno, assegnazioni, analisi dei prezzi, attenzione alle pulsioni speculative. Altrimenti non si riuscirà a capire il processo urbanistico che sta trasformando i centri metropolitani in una sorta di città parallela (fatta di studi, negozi e poche abitazioni, costosissime e sempre più rare) e le periferie composte di alloggi sempre più degradati, a scalare dal centro fino alle zone più lontane.
Proprio questa mancanza di chiarezza si intreccia con due elementi su cui riflettere: il fatto che alla natalità zero si abbina un andamento costante dell’espansione edilizia, e il fatto che, paradossalmente, pur costruendo costantemente (e quindi creando più offerta) i prezzi invece di diminuire aumentano.
Il fatto se sia legale o meno occupare case, poi, mi sembra di lana caprina. Già in passato abbiamo disquisito di legalità o dei limiti che possono essere messi alla disobbedienza civile. Non mi sembra il caso di rimettersi a parlare di Thoreau, ma magari ricordiamo Martin Luther King, che non ebbe remore ad affrontare il carcere e a sfidare le leggi allora vigenti. Se si chiede “ma disobbedire alle leggi non è reato?”, il succitato articolo della Costituzione e quello del codice penale sullo stato di necessità aiutano a capire…Ma la risposta più corretta è forse questa: “non lo so, dipende”. Che è molto più zen, che non ideologica, come ricorderebbe Matthieu Ricard, intervistato da Liberazione pochi giorni fa.
Share this: