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Da Parigi a Stoccolma, rischio di espulsione per i militanti Curdi

In questi giorni si era parlata della possibile espulsione in Turchia del militante curdo Yilmaz Kokbakik, in passato esponente di HDP e ricercato da Ankara per presunta “propaganda terrorista” e altrettanto presunta (oltre che alquanto improbabile) “appartenenza a una organizzazione terrorista” (normale amministrazione per chiunque, curdo o meno, difenda in Turchia i diritti umani e il diritto dei popoli).

Nonostante le voci ricorrenti di attriti tra Macron e Erdogan, questi non sembrano inibire la ricorrente espulsione di militanti ricercati dal regime turco.

Come è facile intuire, una volta consegnato alla Turchia Yilmaz Kokbalik rischia, oltre all’ergastolo, anche di subire maltrattamenti (eufemismo) degradanti e disumani.

Ma Parigi non è sola in questa discutibile politica. La Svezia in questi giorni ha rifiutato l’asilo politico ad un’altra dissidente, la trentenne curda Hana Nasour (originaria del Rojhilat, il Kurdistan “iraniano”, ma che da tempo viveva nel Bashur, il Kurdistan “iracheno”) ordinandone l’espulsione verso l’Iraq da dove rischia di essere consegnata all’Iran.

Qui, oltre al carcere, potrebbe rischiare anche la morte.

“Le forze di sicurezza della regione del Kurdistan – ha dichiarato al Kurdistan Human Rights Network – hanno cercato costantemente di farmi rientrare in Iran o lasciare l’Iraq per la mia attività politica contro la Repubblica islamica dell’Iran”.

Figlia di una curda dell’Iran e di un curdo dell’Iraq, fino a 18 anni era vissuta come rifugiata a Sanandaj, vedendosi rifiutare la cittadinanza iraniana in quanto il padre era di origine irachena. Così come le era stato impedito di completare gli studi universitari di architettura dopo che suoi familiari avevano lasciato il paese per ragioni politiche.

La sua situazione si era aggravata, oltre che per la sua stessa attività militante, in quanto era la nipote di Farhad Vakili, un oppositore curdo giustiziato dal regime.

Sottoposta a dure pressioni da parte dei Servizi di sicurezza, nel 2011 si era trasferita in Bashur, in territorio iracheno, attendo anche la cittadinanza. Sempre per sfuggire alle pressioni di Teheran (in quanto aveva mantenuto il suo impegno politico) nel 2015 era fuggita in Svezia insieme al marito alla madre.

Qui avevano chiesto asilo politico che veniva rifiutato a tutti loro in quanto simpatizzanti del PJAK (il “Partito per una vita libera in Kurdistan” che opera entro i confini iraniani) e quindi considerati “estremisti che minacciavano la sicurezza nazionale svedese”. In realtà, oltre lavorare e studiare, i tre in Svezia avevano semplicemente proseguito – pacificamente – nel loro impegno civile a difesa dei diritti umani, contro le condanne a morte e la violenza sulle donne in Iran. In particolare Hana Nasour aveva preso parte all’attività della KJAR (Società delle donne libere del Kurdistan orientale).

In quanto cittadini iraniani, il marito e la madre di Hana avevano potuto usufruire di un permesso di soggiorno condizionale. Permesso che però non veniva attribuito alla giovane curda in quanto ufficialmente cittadina irachena.

L’ordine di espulsione nei suoi confronti risale all’8 ottobre e potrebbe diventare effettivo nel giro di quindici giorni.

Indipendentemente da quanto dichiarato dalle autorità svedesi, la vita della militante curda potrebbe veramente essere in pericolo una volta che, dopo essere stata rispedita in Iraq, venisse consegnata agli iraniani.

Ricordo che in passato si era tanto parlato della squadra di calcio “Dalkurd” formata da rifugiati curdi e fondata nel 2004 a Borlange. Squadra che era riuscita anche a raggiungere la Superettan, la serie A svedese. Spesso esibita, ostentata quasi, dai media locali (e non solo) come una testimonianza esemplare dell’intrinseca bontà delle politiche di accoglienza e integrazione svedesi. Sono oltre ottantamila i curdi presenti in Svezia, provenienti sia dall’Iraq che dalla Turchia o dalla Siria. Evidentemente finché giocano a calcio – anche con i colori della bandiera curda – non ci sono problemi. Ma guai a loro se pensano di poter svolgere attività politica in difesa di un popolo perseguitato.

Gianni Sartori